Le leggendarie “pietre del sole” che indicavano la rotta ai vichinghi
Considerate sino a pochi anni fa una fantasia letteraria, ritrovamenti su relitti e recenti studi scientifici hanno dimostrato che le sólarsteinn esistevano davvero e funzionavano
Considerate sino a pochi anni fa una fantasia letteraria, ritrovamenti su relitti e recenti studi scientifici hanno dimostrato che le sólarsteinn esistevano davvero e funzionavano
Narrano le saghe che quando le nubi oscuravano il sole e i marinai vichinghi perdevano la rotta, re Olaf estraesse la sua “sólarsteinn”, la sua pietra del sole, e rivolgendola verso, il cielo indicasse al timoniere la giusta rotta.
Che cosa fosse questa “sólarsteinn” nessuno, in epoca moderna, lo sapeva. Gli storici la catalogavano come una delle tante leggende norrene. Al pari di Ymir, il gigante che nasce dal ruggire dell’acqua e dal crepitare fuoco. O Ask e Embla, il primo uomo e la prima donna, partoriti il primo da un frassino e la seconda da un olmo. Solo leggende e mitologie da consegnare agli antropologi culturali o tutt’al più agli studiosi dell’epica vichinga.
Rimaneva comunque il mistero di come gli intrepidi navigatori del nord riuscissero ad attraversare quei loro mari perigliosi per approdare nelle coste islandesi o di Groenlandia, considerando che non conoscevano l’uso della bussola, che le stelle sono visibili solo di notte e che anche il sole spesso viene nascosto dalla nebbia e dalle nubi.
Ebbene, studiando i reperti rinvenuti recentemente su alcuni relitti come quello di una nave da guerra al largo delle isole Canarie o quello trovato nel fiordo di Uunartoq, in Groenlandia, gli scienziati hanno stabilito che le “sólarsteinn” sono tutt’altro che una leggenda. Col nome “pietre del sole” i navigatori vichinghi indicavano i cristalli di calcite, chiamato anche spato d’Islanda, in quanto questo minerale si trova facilmente in quell’isola e, in generale, in tutti i Paesi nordici.
Il cristallo di calcite ha una proprietà fisica piuttosto interessante e unica: crea una birifrazione, cioè doppia rifrazione della luce. Il raggio che lo attraversa viene, in altre parole, diviso in due e, ruotandolo sino ad amplificare il fenomeno, è possibile determinare la posizione del sole anche quando la nave naviga nella nebbia più fitta.
Ma c’è di più. In un articolo scientifico intitolato “Success of sky-polarimetric Viking navigation: revealing the chance Viking sailors could reach Greenland from Norway”, pubblicato dalla Royal Society Open Science. due ricercatori, Dénes Száz e Gábor Horváth, più avvezzi a navigare nel gran mare di internet che in quelli gelidi e tempestosi dell’oceano artico, hanno voluto dimostrare l’efficacia delle pietre simulando con un algoritmo una serie di ben mille navigazioni di un drakkar vichingo dal porto norvegese di Bergen fino a Hvarf, sulla costa sud della Groenlandia.
Un viaggio di più di mille e 600 miglia che i vichinghi percorrevano in circa tre settimane. Ipotizzando la peggiore delle ipotesi, cioè una navigazione col cielo sempre coperto, i ricercatori hanno dimostrato che utilizzando la pietra del sole ogni tre ore, la nave vichinga aveva il 92% delle possibilità di arrivare a destinazione mantenendo la giusta rotta. Ma non è finita qua.
Quell’8% di errore possibile avrebbe portato la nave a “mancare” le coste della Groenlandia passando più a sud. In questo modo, i navigatori sarebbero finiti per forza di cose ad incocciare le coste di Terranova. Vien da pensare quindi che anche l’altra leggenda sui vichinghi abbia un fondo di verità: quella secondo cui questi intrepidi navigatori del nord avrebbero scoperto l’America 500 anni prima di Cristoforo Colombo.