Baron Gautsch, il Titanic dell’Adriatico – Parte 1
Il dramma del Baron Gautsch fece scalpore ma la notizia venne subito censurata perché capace di turbare gli animi di un popolo che stava entrando in una guerra devastante
Il dramma del Baron Gautsch fece scalpore ma la notizia venne subito censurata perché capace di turbare gli animi di un popolo che stava entrando in una guerra devastante
Quella che andremo a raccontare è un’incredibile storia di incompetenza umana, di fatalità e coincidenze, di errori, omissioni, coraggio e viltà. Un dramma che fece scalpore ma la cui notizia venne subito censurata perché capace di turbare gli animi di un popolo che stava entrando in una guerra devastante. Un conflitto che avrebbe cambiato per sempre le sorti di un mondo ritenuto immutabile e polverizzato la nazione a cui la nave apparteneva. Quella che andremo a raccontare è la storia del Baron Gautsch, il Titanic dell’Adriatico.
La tragedia di questa meravigliosa nave è propria del suo tempo, perché nasce in quello che idealmente è ancora l’Ottocento, con i suoi equilibri e i suoi valori, e si compie dando l’avvio a quello che fu chiamato dallo storico Eric Hobsbawn il “secolo breve“. All’interno di questo periodo (1914-1991), lo storico evidenziò tre fasi distinte, la prima delle quali venne da lui definita “Età della catastrofe“: si tratta degli anni dal 1914 al 1945, caratterizzati da due guerre mondiali e da sconvolgimenti politici, economici e sociali.
La storia di questa nave è proprio il simbolo di un’era che cambia e potrebbe essere raccontata in modi diversi. Alcuni punti chiave rimarranno infatti per sempre oscuri, a causa della censura militare intervenuta immediatamente dopo l’accaduto e durante il lungo processo ai comandanti e alla compagnia armatrice e a causa della perdita della maggior parte dei documenti per l’incendio del Tribunale di Vienna, avvenuto durante una manifestazione negli anni Venti. La scelta fatta è stata quindi quella di narrarne le vicende nella maniera che ci è parsa più aderente a ciò che successe davvero.
Le premesse
Agli inizi del secolo scorso l’Austria-Ungheria è un impero gigantesco che si estende per mezza Europa, caratterizzato dal fatto di essere multinazionale e multietnico e nel quale vengono parlate ben 13 lingue diverse. È tenuto insieme dai suoi eccellenti funzionari statali, dall’esercito e dalla fedeltà all’anziano imperatore Francesco Giuseppe, il marito della famosa principessa Sissi, che regna dal 1848. È un impero continentale con uno sbocco sul Mar Mediterraneo e il suo porto principale è Trieste. A Fiume ci sono importanti cantieri navali (dove viene costruita la famosa corazzata Szent Istvàn) e Pola è la base della Marina Militare.
Da Trieste partono le navi cariche di merci e di passeggeri per i porti della Dalmazia, in particolare Cattaro e Dubrovnik, che stanno assumendo una grande importanza economica e militare. I traffici marittimi sono intensi anche per la mancanza di efficaci vie di comunicazione terrestri e la principale compagnia armatrice austroungarica è l’Oisterreichischer Lloyd (il “Lloyd austriaco”), che deve garantire mezzi di trasporto adeguati alle nuove esigenze dell’impero. Agli inizi del secolo la compagnia decide così di far costruire tre splendidi piroscafi quasi gemelli: il Baron Gautsch e il Prinz Hohenlohe, presso i cantieri scozzesi Gourlay Brothers & Co Ltd di Dundee, e il Baron Bruck, nei cantieri San Rocco di Trieste.
Il Baron Gautsch
La prima nave ad essere varata è il Baron Gautsch, nel 1908. Meravigliosa alla vista con la sua linea filante d’acciaio, è lunga 84,5 metri, larga 11,64 metri e con un dislocamento di 2.069 GRT. È dotata di tre motori alimentati a olio pesante che muovono tre eliche in grado di spingerla a una velocità di crociera di 17 nodi (31km/h), un vero record per l’epoca. Si tratta di una nave moderna e lussuosa. I passeggeri sono alloggiati in sistemazioni di tre classi diverse: la terza dispone di 150 posti a sedere, la seconda ha cabine a tre, quattro e sei letti sistemate a poppa, mentre quelle di prima classe, singole e doppie, si trovano a centro nave e sono davvero molto belle, arredate con mobili di prima qualità e dotate di lavandini e smaltitoi.
Le passeggiate esterne sono chiuse da vetrate antivento, così da permettere ai passeggeri l’uscita all’aperto anche col maltempo o durante l’inverno. Gli interni della nave sono invece interamente illuminati e riscaldati. Vi sono delle celle frigorifere in grado di garantire la freschezza dei cibi, consumati in una meravigliosa sala da pranzo in legno di quercia scolpito che può accogliere fino a 96 persone. Sulla nave è stata curata inoltre in maniera particolare la sicurezza: ci sono infatti ben 8 scialuppe con 30 posti ciascuna e salvagenti e cinture di salvataggio per tutti i passeggeri. Il suo nome viene da Paul Gautsch von Frankenthurn, barone della Carinzia ed ex ministro, vissuto dal 1851 al 1918.
Dopo il varo, la nave viene inviata, con un significativo ritardo, al porto di Trieste, dove ci si accorge che i motori non sono performanti come garantito. Il Lloyd austriaco obbliga così la Gourlay Brothers a intervenire sul posto. Le riparazioni per renderla perfetta saranno così gravose da portare la ditta scozzese alla bancarotta, avvenuta nel 1910. Tuttavia, una volta terminati gli interventi meccanici, il Baron Gautsch diventa l’orgoglio della compagnia armatrice e compie il lungo percorso Trieste-Cattaro in sole 23 ore di navigazione, che effettua attraverso numerose fermate intermedie carica di uomini, posta e merci.
La situazione in Europa
In quel momento nessuno è in grado di immaginare la gravità delle nubi che si stanno addensando sull’Europa e sul mondo. A parte conflitti considerati limitati e circoscritti, come l’unificazione della Germania e dell’Italia o la guerra franco-prussiana del 1870, il continente sta vivendo in pace dalla fine dell’era napoleonica. Le persone hanno fiducia nel futuro e nelle nuove tecnologie, che fanno passi da gigante in campo medico, nei trasporti, nell’informazione, nel benessere, nel settore dei divertimenti: basti pensare alle automobili, alle motociclette, ai giornali, alle vacanze, al cinema. Le classi abbienti mirano a mantenere il loro livello di vita e lo status quo e ad accrescere in cultura e disponibilità economica, mentre quelle più povere sognano una vita migliore senza più soffrire la paura e la fame.
Nuove idee politiche, nuovi modi di pensare e nuovi strumenti di comunicazione trovano grande diffusione e ovunque si respira un sentimento di rinascita, di speranza per gli anni a venire. Gli inglesi possiedono un enorme impero marittimo “sul quale non tramonta mai il sole”, i tedeschi un’economia e un’industria di prim’ordine, gli austroungarici un enorme impero multinazionale dove si vive bene e al sicuro dagli Ottomani. La situazione in Russia non è così rosea ma il popolo è tenuto fermo sotto il tacco dello Zar, mentre Francia e Italia cercano di crescere e conquistare nuove colonie. L’Europa si sente così padrona del mondo e al sicuro, anche se un episodio orribile scuote le menti di coloro che leggono i giornali: l’affondamento dell’RMS Titanic durante il viaggio inaugurale, avvenuto a causa di un iceberg il 15 aprile 1912. La morte di centinaia di civili inermi impressiona fortemente il pubblico e non si parla d’altro nei circoli di tutto il continente.
In questa fase di falsa sicurezza si ragiona con vecchie impostazioni di pensiero, in una realtà in grande mutamento. Sembra non esserci nessun desiderio di conflitto: re Giorgio a Londra, il kaiser Guglielmo a Berlino e lo zar Nicola a Mosca sono cugini di primo grado, discendenti della regina Vittoria, rivali ma in ottimi rapporti personali. A Vienna Francesco Giuseppe ha 84 anni e nessuna intenzione di veder distrutto il suo impero. D’altra parte, c’è il fuoco sotto la cenere. Gli antagonismi crescono in campo economico e industriale, i militari tengono pronta la macchina da guerra e c’è una corsa al riarmo navale che irrita gli inglesi. Allo stesso tempo aleggia un sentimento di leggerezza su questioni davvero delicate, causato dal fatto che nessuno si ricorda davvero cosa significhi una guerra globale o immagina quanto potrebbe essere devastante un conflitto combattuto con i nuovi armamenti. In realtà, c’è stato un terribile banco di prova delle nuove armi: la Guerra Civile americana, della quale però in Europa nemmeno i militari sembrano conoscerne le tragedie.
Lo scoppio della guerra
In una situazione colma di tensioni celate, di sfide tecnologiche e industriali gestite da menti ottocentesche, di espansionismo mescolato a tradizione, scoppia una scintilla. Durante una visita ufficiale a Sarajevo, l’arciduca Francesco Ferdinando e sua moglie Sofia vengono assassinati a colpi di pistola dal nazionalista serbo Gavrilo Princip. L’episodio è particolarmente grave, perché l’arciduca è il legittimo erede al trono austroungarico, colui che a breve sostituirà l’anziano imperatore. Le autorità di Vienna sospettano (a ragione) che la mano omicida sia stata mossa dalla Serbia, una nazione che oggi verrebbe considerata uno Stato canaglia, in un’area, quella dei Balcani, che negli ultimi anni è stata estremamente turbolenta. Il governo austriaco pone dunque un ultimatum alla Serbia, poi decide di farla finita e le dichiara guerra il 28 luglio 1914.
È la fine di un’era ma nessuno può rendersene conto. Nessuno immagina gli sconvolgimenti che arriveranno, i milioni di morti, le successive feroci dittature e il secondo conflitto, ancora più devastante del primo. Si sta chiudendo un’epoca di relativa pace, caratterizzata dalla fiducia nel progresso, dal positivismo: è il tramonto della Belle Époque. I dirigenti di ogni Stato che verrà coinvolto sono convinti che la guerra durerà pochi mesi, al massimo fino alla primavera del 1915. Nella speranza di un seppur minimo guadagno territoriale, economico o di prestigio, entrano uno dopo l’altro nel conflitto, seguendo lo schema delle alleanze.
Questa ingannevole sicurezza, la sensazione che nulla potrà mutare davvero il corso delle cose, scende a cascata verso la gente comune, che ne viene permeata e la fa propria. Un giornale tedesco intervista un fante mentre sale sul treno che lo porterà al fronte: ha dei fiori infilati nella canna del fucile e saluta con la mano la folla festante. “La guerra è come il Natale”, dichiara alla stampa. Sarà invece uno dei primi a morire in una fetida trincea del fronte occidentale.
Il Baron Gautsch durante il conflitto
Intanto nell’Adriatico il Baron Gautsch viene requisito dalla Marina Militare per la mobilitazione e il trasporto delle truppe verso le zone di guerra. A questo scopo compie quattro viaggi, trasferendo verso sud 2.855 militari, poi torna civile e riprende il consueto percorso. Dal 7 luglio 1914 il nuovo comandante della nave è il capitano Paolo Winter, un triestino di umili origini, alto, con grandi baffi e la passione per lo sport e la forma fisica. Viene convocato a Trieste, presso il Quartier Generale della Marina, per istruzioni relative alla posa dei campi minati che dovranno proteggere l’accesso ai porti, in particolare quello militare di Pola, in Istria. Il comandante, però, sottovaluta l’importanza dell’incontro e affida il compito al terzo in comando, il giovane secondo ufficiale Giuseppe Tenze. Questi, a sua volta, dovrà riferire quanto appreso al primo ufficiale Giuseppe Luppis, che avrà il compito di impostare la rotta.
Nulla di scritto viene lasciato agli ufficiali della Marina mercantile per ovvi motivi di segretezza. Di certo l’ordine è quello di mantenersi a 12 miglia dalla costa, fuori dai campi minati, e le tabelle di marcia sono strettissime: a esse sono legati anche premi in denaro e il Baron Gautsch dovrà compiere ogni tragitto in 23 ore di navigazione. Il 12 agosto la nave si trova a Cattaro e riparte in direzione di Trieste. Su di essa sono imbarcati 64 uomini dell’equipaggio e circa 300 passeggeri registrati, che in realtà, durante il viaggio, diventano molti di più. Le autorità hanno infatti comunicato che chiunque voglia fare ritorno potrà farlo anche senza biglietto: la Duplice Monarchia intende mettere al riparo dalla guerra coloro che si trovano sulle coste della Dalmazia. Si tratta di famiglie di funzionari statali e di ufficiali, persone che erano in vacanza, militari non ancora richiamati in servizio, donne e bambini che al di sotto dei dieci anni non vengono nemmeno inseriti nei documenti di bordo. La cifra più probabile dei passeggeri imbarcati è quindi di 500 persone.
L’affondamento
Alle 11 del 13 agosto 1914 il Baron Gautsch lascia il porto di Lussin Grande diretto verso Trieste, dove è atteso per le 18. In maniera inattesa, in una zona minata e in tempo di guerra, il capitano Winter lascia il comando della nave, pranza e poi si chiude nella sua cabina: secondo il racconto fatto da un superstite durante il processo, accompagnato da una passeggera. Il comando passa quindi al primo ufficiale Luppis, che alle 13 e 45, in anticipo rispetto al previsto, si reca anch’egli in sala da pranzo, lasciando la nave nelle mani del secondo ufficiale Tenze. A questo punto accade l’imprevedibile.
Il piroscafo stava già seguendo una rotta pericolosamente vicina ai campi minati ma ora devia verso est, ancora più vicino alla costa. È un ordine di Winter o di Luppis per abbreviare i tempi di viaggio e ottenere il relativo premio oppure un’iniziativa personale e folle del giovane Tenze? Nessuno saprà mai la verità: Tenze non sopravviverà al naufragio, forse per affogamento oppure, come sostengono dei testimoni oculari, perché si è sparato un colpo in testa. Negli anni Ottanta viene persino riesumato il suo probabile corpo per un’autopsia ma non vengono trovati segni di colpi d’arma da fuoco.
Intanto il Baron Gautsch si avvicina sempre di più alla costa e in direzione opposta incrocia la nave gemella, il Prinz Hohenlohe, che si trova almeno tre miglia più al largo. Alcuni passeggeri si recano in cabina di comando per segnalare un probabile errore di rotta ma Tenze decide di proseguire senza modificarla. La giornata è bellissima, il mare calmo e il sole quello di metà agosto. I passeggeri, ignari del destino che li attende, sono intenti a passeggiare, a bere un caffè o a riposare nelle loro cabine. Il piroscafo è però fuori dalla rotta indicata dall’Ammiragliato, così vicino alla costa da risultare incomprensibile che in plancia nessuno si renda conto del terribile pericolo: infatti, a circa sette miglia a nord delle isole Brioni, entra in un campo minato.
Sono circa le 14.40 e gli uomini del posamine Basilisk si accorgono inorriditi che la grande nave è entrata proprio nel punto di mare dove, poco prima, hanno gettato le mine. L’ufficiale in comando fa quindi emettere dei frenetici segnali di emergenza. Improvvisamente, alle 14.45, Tenze ordina di virare verso babordo: forse si è finalmente accorto di essere tragicamente fuori rotta, a circa sei miglia di distanza dalla costa. Alle 14.50 il Baron Gautsch incontra il suo destino. L’esplosione della mina subacquea è terrificante ed avviene a centro nave, vicino a una caldaia che in breve tempo esplode a sua volta. La nave affonda in cinque o sei minuti.
Argomenti: relitti