30 maggio 2019

Subacquea, relitti che passione!

30 maggio 2019

Normalmente si parla di natanti di tutti i generi, dalla canoa alla portaerei, che, con la loro storia e il loro mistero, aumentano sempre il fascino dell'immersione

Subacquea, relitti che passione!

Normalmente si parla di natanti di tutti i generi, dalla canoa alla portaerei, che, con la loro storia e il loro mistero, aumentano sempre il fascino dell'immersione

6 minuti di lettura

Il subacqueo esperto sa bene che ogni immersione è diversa dalle altre e anche in questo sta il suo fascino: non sapere esattamente cosa ci aspetterà l’indomani. La stessa immersione dell’anno precedente, o addirittura del giorno prima, può risultare infatti diversissima, a causa di variabili causate da condizioni meteomarine, visibilità, pesci, compagnia subacquea e condizioni fisiche.

Mi è capitato così di fare immersioni famose nel mondo (ad esempio Richelieu Rock in Thailandia) e trovarle di medio livello. Forse per la presenza di troppi subacquei, per scarsa visibilità o semplicemente perché era una giornata storta. Poi vai a fare quella che viene considerata un’immersione “di ripiego”, perché magari sta montando il mare ed è l’unico punto riparato e ti ritrovi a vivere un’esperienza fantastica (in Thailandia, due giorni dopo).

Inoltre, le immersioni possono essere estremamente differenti a seconda del luogo, dello scopo e dell’attrezzatura utilizzata. Possiamo, infatti, immergerci in acqua dolce, ovvero nei laghi, nei fiumi, sotto i ghiacci e nelle grotte terrestri, oppure in mare, in condizioni diversissime, per fare immersioni squisitamente naturalistiche in acque gelide, temperate o tropicali, in corrente, nelle grotte marine o per esplorare un relitto. In quest’ultimo caso esiste una distinzione netta fra i subacquei: c’è chi ama i relitti e chi li fugge come la peste. Di solito, chi appartiene alla seconda categoria evita i relitti per cinque motivi fondamentali:

  • sono il luogo di un disastro che spesso ha causato vittime umane
  • sono (quasi) sempre in mezzo al mare, quindi in balia di correnti spesso forti e visibilità alquanto variabile
  • molti sono fondi, quindi per vederli occorrono attrezzature adatte, buona forma fisica e corsi idonei
  • invogliano la penetrazione (molto simili alle immersioni in grotta), quindi hai un tetto sopra la testa che ti impedisce di risalire immediatamente in caso di problemi
  • scendi e risali lungo una sagola e se la perdi, ti tocca risalire “in libera” e sparare il tuo pallone verso la superficie per avere un riferimento in acqua. È una scelta che, in caso di corrente, è sgradevole fare, anche perché non sai quanto lontano potrai risalire. Anzi, è sempre un’opzione sgradevole, soprattutto se devi fare decompressione

Tuttavia, ci sono molti subacquei che non riescono a farne a meno. Io rientro in questa categoria: adoro esplorare relitti. A questo punto occorre porsi una domanda: cosa si intende per relitto? È un manufatto finito sott’acqua, generalmente in maniera non voluta. Sono eccezioni le navi bonificate che vengono affondate per ripopolare di pesci una zona povera, creando così una specie di reef artificiale. Alcune volte lo scopo è proprio quello di aumentare il turismo subacqueo nella zona.

Qual è la tipologia del manufatto? Solitamente si tratta di imbarcazioni. Però non è detto. Infatti, ci sono e ho visto automobili (per esempio nella baia di Monte Moregallo, nel lago di Lecco, oppure in Croazia), camion (famosa l’autobotte di Varenna e il vicino Lupetto), aerei (come il BR20, la semplice “cassaforma” del lago di Lecco), fino ad arrivare ai celebri resti di Precontinente II di Jacques Cousteau nel Mar Rosso. Normalmente si parla però di natanti di tutti i generi, dalla canoa alla portaerei, che, con la loro storia e il loro mistero, aumentano sempre il fascino dell’immersione.

Il mio primo relitto risale alla fine degli anni novanta. Mi trovavo in vacanza su un’isola della Croazia e, in un paesino sul mare, mi imbattei in un “raffinato” diving center: una rimessa di barche di pescatori dove uno spilungone dormiva beato su un’amaca. In un mix di lingue diverse mi propose di portarmi a visitare un paio di relitti il giorno seguente. Finii così per vedere un maggiolino Volkswagen e i resti di una piccola imbarcazione in legno andata a fuoco, della quale rimanevano solo i resti in metallo bruciati e un tubo lanciasiluri finito poco distante. Per me fu una vera folgorazione: avevo trovato avventura, mare e storia in un colpo solo.

Durante l’inverno seguente passai molte pause pranzo nella Biblioteca Sormani di Milano e nella Biblioteca Comunale di Como per trovare l’origine del relitto e scoprire la probabile (ma non certa) verità: si trattava del MAS 423, requisito dai tedeschi dopo l’armistizio e affondato, probabilmente da un aereo, nel luglio 1944. Da allora cerco ogni informazione disponibile sui relitti che vado a visitare, per conoscere la loro storia e quella dei marinai che vi erano imbarcati, facendo in modo che non siano dimenticati. Un’immersione su relitto è dunque una commistione di passioni diverse: per la subacquea, per l’attività sportiva, per gli animali marini ma anche per la storia e l’avventura.

Da allora, ogni volta che vado in una nuova località di mare, la prima domanda che faccio è: ci sono dei relitti? Anzi, in realtà mi informo bene prima sulla loro presenza o addirittura programmo un viaggio apposta, come in Bretagna o nel cuore della Manica. Prima recupero un’infarinatura ma dopo l’immersione cerco tutte le informazioni storiche sulla nave in questione, tutto ciò che esiste (foto, disegni, ecc.). Inoltre, ho scoperto alcuni canali di informazione a cui, qualche volta, partecipo inserendo alcune notizie. Perché una cosa è certa: è pieno di gente pazza come me, a volte molto di più.

E poi è sempre meraviglioso scoprire che il mare ha trasformato un momento di morte in un’esplosione di vita. Capita ovunque, dalla Haven, la superpetroliera affondata ad Arenzano, ai relitti più piccoli in tutti i mari del mondo. Nel Mare del Nord si trovano al loro interno migliaia di merluzzetti striati, i tacauds, insieme ad astici, pesci San Pietro ed enormi gronghi. Nei mari tropicali, a pochi anni dall’affondamento, si fa fatica a distinguerne le strutture, tanto sono concrezionate da coralli e spugne. Per non parlare dei pesci, che sono dappertutto.

Studiarne la storia, poi, significa trasformare semplici pezzi di ferro in racconti di uomini e navi, rendere onore ai caduti. Così l’ammasso di lamiere del “Città di Sassari” a Loano diventa storia di emigranti che cercano fortuna su un magnifico piroscafo, il BR20 “Cicogna” di Santo Stefano al Mare il racconto di arditi aviatori mandati a morire su un trabiccolo volante, il “Mortera” a Cuba il vero emblema della sfortuna. “Il destino contro uomini valorosi” fu il titolo di un articolo del New York Times nel 1895. È per questo che quando guardo un relitto sul fondo del mare, vedo molto di più di un ammasso di lamiere più o meno ben conservate.

Vedo uomini che hanno vissuto e lottato, magari finendo tragicamente sotto le onde del mare, oppure salvandosi grazie alla loro tenacia o all’aiuto del buon Dio. Si dice che nei fondali di tutto il mondo giacciano ben 3 milioni di navi, affondate durante la storia dell’uomo, che racchiudono inestimabili ricchezze. Forse un po’ del fascino che emanano deriva anche da questo: ritornare bambini, fra pirati e cacciatori di tesori. “Cacciatori di navi fantasma”, scrisse Clive Cussler, scrittore, subacqueo e grandissimo ricercatore di navi perdute.

Paolo Ponga

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