Dallo Squalus ai giorni nostri: soccorso e salvataggio dei sommergibili affondati – La nostra intervista all’esperto
Tra le storie più famose riguardanti immersioni e sommergibili spicca quella dello "Squalus", che affondò durante delle prove di verifica
Tra le storie più famose riguardanti immersioni e sommergibili spicca quella dello "Squalus", che affondò durante delle prove di verifica
Un precursore degli studi sugli effetti dell’embolia gassosa fu il capitano della Marina americana Albert Richard Behnke. Poco conosciuto ai giorni nostri, Behnke nacque a Chicago nel 1903, si laureò in medicina nel 1925 ed entrò a far parte della Marina nel 1929, dove completò il suo dottorato.
Da subito particolarmente attratto dalle immersioni profonde, come medico presso il US Naval Medical Research Institute sviluppò uno studio sulla idrodensitometria nei vari tessuti del corpo umano. Per il calcolo delle decompressioni, studiò anche la tossicità cognitiva dell’azoto nel palombaro, quando superava i 30 metri di profondità, sperimentando l’uso dell’elio in parziale sostituzione dell’azoto nella miscela respiratoria.
La dedizione mostrata nello studio della decompressione lo portò, nel 1938, al servizio medico presso la “Experimental Diving Unit“. In seguito, nel 1939, il suo trasferimento a bordo della “USS Ortolan“, nave di soccorso per sommergibili, gli consentì di verificare i suoi studi con i palombari della Marina e di eseguire la sua prima immersione. Studiò il rapporto tra embolia gassosa arteriosa e malattia da decompressione, effettuando test medici sui sommergibilisti impegnati nelle esercitazioni di abbandono dei sommergibili dal fondo, e sperimentò l’uso dell’ossigeno nella terapia in camera iperbarica.
Nell’agosto di quell’anno, dopo essere uscito dal cantiere, il sommergibile “Squalus” affondò durante delle prove di verifica a causa di un errore di chiusura delle valvole, che fece entrare un’enorme quantità di acqua al suo interno. Il sommergibile si adagiò in prossimità delle isole Shoals, di fronte alle coste della Virginia, a circa 80 metri di profondità. Mentre 26 marinai annegarono subito, grazie ai compartimenti stagni si salvarono in 33, mettendo in atto i sistemi di depurazione dell’anidride carbonica con i contenitori ventilati di calce sodata (che ha il compito di catturare la CO2).
Le squadre di soccorso, comandate dal capitano Charles Bowers Momsen, pioniere del soccorso sommergibili e inventore del dispositivo di abbandono chiamato “Momsen Lung”, un apparato simile all’A.R.O (Auto Respiratore ad Ossigeno) utilizzato dalla Decima MAS, accorsero immediatamente e, sotto l’attenta supervisione del dottor Behnke, utilizzarono l’elio nella miscela respiratoria per consentire ai palombari di intervenire con la massima capacità cognitiva.
Per il salvataggio venne impiegata anche la “campana McCann“, sviluppata da Momsen e McCann nel 1926. Tutto il team fu quindi imbarcato sulla nave di soccorso “Falcon“, progettata proprio per il salvataggio e il recupero dei sommergibilisti. Dal sommergibile riuscirono ad inviare in superficie un segnale radio e dopo una prima indagine, visto il poco tempo a disposizione, i palombari decisero di intervenire utilizzando la campana conica di salvataggio che permise il trasferimento in superficie dei 33 sopravvissuti.
Successivamente lo Squalus venne recuperato e rimorchiato in bacino con i 26 marinai rimasti imprigionati al suo interno, che ebbero così una degna sepoltura. Dopo le riparazioni il sommergibile ritornò a navigare con il nome di “Sailfish” e il nome Squalus non fu più usato dalla Marina Militare americana.
Abbiamo intervistato l’ingegnere Marco Rizzuti, specializzatosi in sommergibili all’Accademia Navale Militare, esperto tec diver. Nella sua tesi di laurea del 2000 propose un sistema di nave per il soccorso dei sommergibili in avaria e ci ha fornito dei chiarimenti in merito. “La filosofia italiana – ha spiegato a Liguria Nautica – era quella che il sommergibile doveva avere mezzi autonomi per sopravvivere e consentire l’evacuazione dell’equipaggio anche sul fondo, senza la necessità di una nave di salvataggio. Mentre la filosofia americana, basata sull’esperienza sul campo di incidenti, mostrò il successo del salvataggio esterno“.
“Personalmente – ha ricordato Rizzuti – ho partecipato ad esercitazioni in progetto militare con varie nazioni, con fuoriuscita da un sommergibile su un fondale di 40 metri. Gli attuali limiti per queste operazioni sono stati raggiunti con dei test effettuati da esperti sommozzatori militari da 150 metri e da 180 metri di profondità. I primi sono risaliti con la rottura dei timpani ma poi non hanno avuto strascichi, mentre i secondi, oltre ai timpani, hanno subito danni fisiologici, che, seppur con una normale qualità della vita, hanno impedito loro di proseguire nelle immersioni”.
“Questa ‘guerra’ – ha sottolineato l’esperto – continua ancora oggi. Infatti, dopo vent’anni di sviluppo delle tute di fuoriuscita individuali, si è tornati a preferire i sistemi di salvataggio esterni con minisommergibili di soccorso, in quanto i limiti fisiologici di impiego delle tute sono forti e la probabilità di sopravvivenza all’uso al suo limite d’impiego è comunque bassa”.
“È attualmente in fase di costruzione – ha ricordato Rizzuti – una nuova nave soccorso della Marina Militare italiana con l’acronimo ‘SDO-SURS‘ (Special & Diving Operations-Submarine Rescue Ship), un concentrato di tecnologia che rientra nel concordato della Nato: sarà impiegata nella ricerca e soccorso di sommergibili in avaria fino ad una profondità di 600 metri, in attività subacquee e in quelle della Marina Militare e nel trattamento sanitario in camere iperbariche di militari e civili che presentano gravi patologie da attività subacquee”.
Ecco alcuni dati di questa straordinaria costruzione:
- 120 metri di lunghezza
- 22 metri di larghezza al ponte di volo elicotteri
- velocità di 16 nodi con un’autonomia di 500 miglia
- fino a 200 posti letto
- squadre sommozzatori altofondalisti
- impianto iperbarico integrato operativo fino a 300 metri
- campana immersione da centro nave
- posizione dinamica su eliche
- sistema satellitare
- SRV mezzo subacqueo + campana McCann operativa fino a 600 metri
- veicolo filoguidato di assistenza alle operazioni rescue SRV
La nuova nave soccorso sostituirà il diving vessel “Nave Anteo“, che ha maturato quarant’anni di glorioso servizio, a conferma della storica professionalità della nostra Marina Militare nel settore subacqueo.
Fonte foto: Wikipedia
Fonte video: Istituto Luce
Argomenti: Daily Nautica