Le “tegnue” adriatiche: un paradiso sommerso tutto da scoprire

Uno studio ha stimato che queste oasi sommerse siano oltre 2 mila, disseminate lungo la costa veneta e romagnola

Le “tegnue” adriatiche: un paradiso sommerso tutto da scoprire

Le “tegnue” adriatiche: un paradiso sommerso tutto da scoprire

Uno studio ha stimato che queste oasi sommerse siano oltre 2 mila, disseminate lungo la costa veneta e romagnola

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Fu l’abate, nonché grande naturalista, Giuseppe Olivi – che per quanto ne sappiamo non sapeva neppure nuotare – il primo a formulare una spiegazione scientifica del mistero delle reti dei pescatori dell’alto Adriatico “trattenute” sul fondale

Questo mare – scrisse l’abate Olivi nella sua Zoologia Adriatica pubblicata nel 1792 – deve presentare una dimora opportuna alle produzioni sì vegetabili che animali amanti d’abitazione d’indole disparata… e per conseguenza vi abbondano gli animali coperti d’integumenti duri per lo più calcarei, i quali decomponendosi contribuiscono di nuovo a formare concrezioni parimenti calcaree, che rendono quei letti ineguali ed aspri”. 

Poche righe che svelano un mistero che aveva sempre accompagnato i pescatori che gettavano le loro reti lungo la costa veneta. L’ipotesi dell’Olivi però fu confermata solo dai primi subacquei che nel dopoguerra si avventurarono in quelle oasi sommerse che oggi come allora sono chiamate “tegnue”. Dei veri e propri isolotti di rocce e concrezioni animali che si ergono come castelli, anche di 5 o 6 metri, sul piatto e sabbioso fondale dell’Adriatico occidentale.

Prima dell’avvento della subacquea, i pescatori chioggiotti non avevano idea di cosa fosse a trattenere e strappare le loro reti proprio nelle aree maggiormente ricche di pesce. La questione veniva imputata al tridente di un Nettuno dispettoso o a qualche demone marino poco disposto a vedere saccheggiare di pescato il suo regno sommerso.

I pescatori chiamavano queste zone tegnue, che in dialetto significa per l’appunto “trattenute”, e sapevano solo che dovevano mettere in campo tutta la loro perizia di navigatori per gettare le reti il più vicino possibile a queste aree marine ma evitando di entrarci dentro per non doversi trovare la sera a rammendare le reti ed a rimpiangere il pescato perso. 

Oggi le tegnue adriatiche non sono più un mistero ma un vero e proprio paradiso tanto per i biologi marini che vi possono studiare pressoché tutte le specie che popolano l’Adriatico, quanto per gli archeologi che sotto una corazza di concrezioni non di rado scoprono antichi relitti. Va da sé che le tegnue sono gettonatissime anche dai subacquei sportivi.

Diciamoci la verità, la costa veneta dell’Adriatico, da un punto di vista del turismo subacqueo, non è neppure paragonabile a quella tirrenica, sia per la visibilità che per la varietà di immersioni, e a parte qualche rispettabilissimo relitto come il Quintino Sella o l’Evdokia, l’unica cosa da vedere da queste parti sono le tegnue! Eppure un’immersione in tegnua rimane sempre una bellissima esperienza anche per me che mi ci sono immerso non saprei dirvi quante volte, ricche come sono di pesci e animali da tana.

E sono anche tante, le tegnue, che non basterebbe una vita per esplorarle tutte. Uno studio ne ha contate circa 2 mila, distribuite in maniera discontinua nella fascia costiera che va da Trieste alla Romagna, su una batimetrica che spazia dai 15 ai 30 metri, con grandezze che vanno dalle dimensioni di un campo da calcio, le più grandi, a pochi metri quadri. 

I subacquei veneziani che nell’ultimo mezzo secolo le hanno scoperte ed esplorate, hanno dato loro i nomi più incredibili (e boccacceschi). C’è la tegnua Monte Bianco, la più alta, i cui pinnacoli raggiungono i 7 metri, la tegnua dei Fiori ricca di anemoni colorati, la tegnua Ammiragliato dal nome di una antica ancora ancora visibile e la tegnua della Bomba dove la Marina militare ha fatto esplodere un residuato bellico e il buco causato dall’esplosione è ancora visibile nel bel mezzo dell’oasi.

Ma ci sono anche la tegnua del Mona, chi l’ha scoperta non era famoso per la sua sagacia, quella della Gigia, una nota ostessa veneziana nel cui locale i sub andavano a festeggiare dopo le immersioni e anche quella del Cornuto, perchè la moglie dello scopritore – si racconta – aveva altri hobby che la subacquea. E poi ci sono le tegnue personali, quelle che ogni sub che bazzica l’Adriatico conserva gelosamente nel suo gps e di cui si illude di essere il solo a conoscere la posizione!

 

L’immagine di copertina è gentuilmente tratta dal sito tegnue.it che ha lo scopo di divulgare e difendere questo patrimonio sommerso

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