Il narvalo: l’affascinante mammifero che viene dalle favole
Alla scoperta della straordinaria vita del cetaceo-unicorno
Alla scoperta della straordinaria vita del cetaceo-unicorno
I narvali sono dei cetacei odontoceti, ovvero muniti di denti, e assieme al beluga rappresentano le uniche due specie della famiglia dei Monodontidae. Conosciuti soprattutto per la loro distintiva e spettacolare zanna che sporge dalla mascella superiore, abitano principalmente le fredde acque dell’Artico: non a caso la loro pelle nasconde uno spesso strato di grasso che garantisce riserve energetiche e isolamento termico tali da consentire loro di vivere in un habitat proibitivo per molte altre specie. Popolano i mari circostanti la Groenlandia, il Canada, la Norvegia e la Russia e capita sovente di localizzarli in baie e fiordi dove il ghiaccio è meno stabile e più frammentato.
Hanno un corpo robusto di forma cilindrica adatto a muoversi con facilità nelle profondità gelide dell’Artico, che arriva a pesare oltre 1.500 kg e a misurare fino a 5 metri di lunghezza (“dente” escluso) nei maschi adulti. Il suo colore varia dal blu-grigio degli esemplari più giovani al grigio-nero degli adulti, per poi tendere al bianco in età più avanzata. Sono muniti di una pinna dorsale molto piccola o addirittura assente, probabilmente idonea a permettere loro di nuotare sotto il ghiaccio, e di due pinne pettorali corte e rotonde. La coda, grande e piatta, è capace di fornire una potente spinta. Questa particolare morfologia permette ai narvali di sopravvivere e prosperare in uno degli ambienti più ostili ed estremi del pianeta.
Si nutrono prevalentemente di pesci (come halibut e merluzzi), calamari e crostacei, che cacciano raggiungendo profondità notevoli, fino a 1.500 metri. Hanno una testa piccola e rotondeggiante e una sottile bocca che nasconde denti vestigiali del tutto inutili alla masticazione: i narvali, infatti, si nutrono prevalentemente tramite aspirazione, inghiottendo le prede tutte intere. Tanti sono i segreti che questi animali speciali ancora custodiscono, visto l’habitat remoto in cui vivono e la loro attitudine migratoria, ma sarà bello scoprire insieme molte delle caratteristiche che li riguardano, prima tra tutte la loro straordinaria “spada”.
Una zanna simile a quella di un unicorno
L’aspetto dei narvali affascina e incuriosisce per via della protuberanza molto simile a un corno (dritto e spiralizzato) che sporge quasi unicamente dalla testa degli esemplari maschi. Si tratta di un dente, precisamente un canino superiore sinistro, che cresce attraverso il labbro superiore fino a raggiungere, in alcuni casi, la lunghezza di 3 metri. Gli studiosi hanno elaborato numerose teorie sulla sua funzione. Ben vascolarizzato, attraversato da una complessa rete di terminazioni nervose e munito di un sottile strato esterno di smalto protettivo, risulta essere estremamente sensibile e quindi utile per localizzare pesci, individuare pericoli e rilevare parametri ambientali, inclusi la temperatura e la salinità dell’acqua.
Si ipotizza che abbia un ruolo durante il nuoto, oltre a rappresentare un ausilio in caso di combattimento con altre specie, sebbene le evidenze in tal senso siano di scarso supporto. Il dente di narvalo è un chiaro esempio di dismorfismo sessuale (rarissimi sono i casi di femmine che lo possiedono) e sembrerebbe essere sfruttato come ausilio alla socialità dell’animale e come strumento di corteggiamento e selezione della compagna.
Riproduzione e accoppiamento
La stagione dell’amore dei narvali è la primavera, momento in cui si spostano verso le acque costiere per riprodursi. Avvenuto l’accoppiamento, la gestazione dura circa 14 mesi. Solitamente le femmine partoriscono un solo cucciolo, che nutrono con un latte ricco di grassi attraverso le loro ghiandole mammarie e che proteggono e allevano per un periodo di circa 20 mesi: tale dato suggerisce una grande attenzione dei narvali alle cure materne. Le femmine e i loro piccoli sono soliti vivere in un gruppo separato dal branco dei maschi adulti, sebbene durante la stagione degli amori questa abitudine si modifichi temporaneamente.
Una comunità ben organizzata
I narvali vantano una complessa struttura sociale, all’interno della quale sviluppano comportamenti e abitudini precise. Sono organizzati in gruppi, detti “pod“, distinti per sesso ed età, le cui dimensioni possono variare fino ad includere anche centinaia di esemplari, come avviene nelle zone con abbondante cibo o durante le migrazioni. Queste ultime si verificano stagionalmente, in direzione delle coste durante la fase dell’accoppiamento, sfruttando i canali che si formano nella banchisa quando le temperature si alzano, mentre all’arrivo dell’inverno, quando la ricerca di cibo diventa una priorità, si spostano verso le acque più profonde e gelide ma ricche di prede, come quelle del mare di Baffin e della Groenlandia, dove restano per circa 6-8 mesi.
Capaci di comunicare tra loro attraverso fischi e suoni pulsati e di emettere onde sonore a mezzo del loro dente, i narvali cooperano in numerose situazioni: si proteggono dai predatori, si aiutano nella caccia, si orientano durante gli spostamenti e definiscono le gerarchie nel gruppo a suon di “colpi di spada”, in un affascinante duello tra maschi che conferma un’estrema attitudine alle relazioni sociali.
I narvali sono una specie a rischio?
Secondo la IUCN (International Union for Conservation of Nature) i narvali sono mammiferi considerati a “rischio minimo” di estinzione, il che non significa che siano immuni da questo pericolo ma sicuramente se la cavano meglio di altre specie, soprattutto se teniamo conto dei tanto discussi cambiamenti climatici, autentica minaccia per i nostri ecosistemi che non lascia indifferenti neanche questi cetacei. Il riscaldamento globale, provocando il ritiro dei ghiacci, danneggia infatti il loro habitat, lasciandoli più esposti agli attacchi di orche e altri predatori, che, unitamente alla caccia per mano dell’uomo, possono essere considerati un contributo indiretto all’indebolimento della loro comunità.
Un’altra seria causa di mortalità del narvalo è legata a quella che potremmo definire una loro “imprudenza”, piuttosto che una responsabilità dell’uomo, ed è rappresentata dall’intrappolamento sotto la banchisa. Quando cacciano a grandi profondità hanno un’autonomia di circa 25 minuti, tempo entro il quale devono tornare in superficie per respirare attraverso uno sfiatatoio posto sulla sommità della loro testa, simile a quello delle balene. Se non riemergono in tempo rischiano di morire soffocati, analoga sorte a cui vanno incontro se non rientrano dalle acque artiche prima della fine dell’autunno, quando la banchisa diventa troppo spessa per essere penetrata fino alla superficie. Per quanto possa sembrare incredibile, l’intrappolamento ha un’incidenza notevole sulla mortalità dei narvali e storicamente si sono registrati numerosi episodi, il più significativo dei quali avvenne nella Groenlandia occidentale nel 1915 e contò circa 1.000 vittime.
A quanto descritto aggiungiamo l’inquinamento, inteso come dispersione di metalli pesanti nei mari, che i narvali assimilano cibandosi e accumulano nei loro organi interni con inevitabili conseguenze sulla salute. C’è poi il traffico marittimo. Come detto, i narvali hanno uno strumento, il dente, dotato di una spiccata sensorialità. Il rumore subacqueo prodotto dalle navi può interferire con la comunicazione, la navigazione e la ricerca di cibo. In ultimo, tra i pericoli per la sopravvivenza della specie è inevitabile citare la caccia, sebbene consentita e scrupolosamente regolamentata dalle agenzie governative interessate.
Gli Inuit, piccolo popolo meglio conosciuto con il termine “eschimesi”, sono soliti cacciare i narvali per nutrirsi del loro grasso, oltre che di carne, organi e pelle, preziosa fonte di vitamina C. Le parti dure vengono tradizionalmente usate per costruire utensili, mentre il dente del maschio viene venduto come oggetto di valore. Sebbene la caccia rappresenti un’attività di sussistenza importante per molte comunità artiche, è giusto e doveroso raccomandare pratiche sostenibili e rispettose delle popolazioni di cetacei.
I narvali, tra mito e leggende
Tanti i miti e le leggende legate ai narvali, che nei secoli hanno trasformato questo animale in carne e ossa in un simbolo di magia e mistero. In epoca medievale si credeva fossero unicorni marini: le zanne venivano acquistate nella suggestione che si trattasse dei loro fiabeschi corni, che, oltre ad essere molto preziosi, venivano considerati magici e possederli conferiva potere. In altre epoche si pensava che il dente del narvalo custodisse proprietà curative sovrannaturali, al punto che re e nobili erano disposti a pagare vere e proprie fortune per accaparrarsene uno. Senza contare che esporlo nelle loro aristocratiche dimore era motivo di vanto e gran soddisfazione. Alcune credenze marinaresche consideravano il loro avvistamento un segno di buon auspicio e i racconti che li riguardavano stimolavano la fantasia, dando luogo a storie di regni sottomarini abitati da mitiche creature.
Infine, ci sono le leggende delle culture indigene artiche, nelle quali i narvali occupano sicuramente un posto speciale. Si narra che in principio essi fossero sprovvisti di zanna, fino al giorno in cui una donna malvagia e spietata fu gettata in mare da suo figlio, legata a una corda che teneva un arpione che lui stesso conficcò nella testa di una balena. Questa trascinò la donna in mare: il suo corpo si allungò e si trasformò in narvalo e i suoi lunghi capelli si intrecciarono alla lancia come una spirale, fino a creare il dente. Una storia che parla di crudeltà trasformata in bellezza e tiene avvolta nel fascino del mistero la potente connessione dell’antico popolo Inuit con la sua terra e con i narvali, le straordinarie creature che la abitano.
Priscilla Baldesi