Il mare primo attore della globalizzazione
Attore ante litteram della globalizzazione di merci, idee, persone geniali, operai e disperati allo sbaraglio, il mare è da sempre una forza scatenante della fantasia, della creatività, della grandeur e dell’estensione dell’io
Attore ante litteram della globalizzazione di merci, idee, persone geniali, operai e disperati allo sbaraglio, il mare è da sempre una forza scatenante della fantasia, della creatività, della grandeur e dell’estensione dell’io
“La riva è più sicura ma a me piace combattere con le onde del mare” (Emily Dickinson).
Da millenni menti fluide scelgono il mare per commerci, avventure ed esplorazioni, donando linfe fresche al sapere del mondo. Raminghi, esploratori, mercanti, guerrafondai e delinquenti trasportati dalle correnti, dal vento e dal motore hanno arricchito il mondo di beni naturali, primari e culturali, sfidando le onde. Attore ante litteram della globalizzazione di merci, idee, persone geniali, operai e disperati allo sbaraglio, il mare è da sempre una forza scatenante della fantasia, della creatività, della grandeur e dell’estensione dell’io.
Cleopatra issava vele colorate con porpora fenicia (più costosa dell’oro) per impressionare Roma, mentre i suoi equipaggi, gli accompagnatori e lei stessa, incontrandosi coi romani, mettevano a un fruttuoso confronto civiltà lontane e diverse. Molto più avanti, i nostri trisnonni viaggiavano sui transatlantici, estrema espressione di lusso e tecnologia, insieme a valanghe di passeggeri di terza classe. Migranti Made in Italy disperati ma spesso trattati meglio di certi attualmente in fuga da Paesi lontani, che, una volta sbarcati all’ombra della Statua della Libertà e col beneplacito di Ellis Island, portarono la pasta, la pizza, la buona cucina e… la Mafia, facendo nascere negli americani una gran voglia d’Italia.
Sin da allora stressati dai riflessi degli eccessi e attualmente da maxi cargo che trasportano ogni giorno il 90% del commercio globale, dall’estrazione di idrocarburi e dalla pesca intensiva, oggi i mari si ribellano. Dando vita alla morte e attraverso la loro connessione con gli errori umani, sono diventati primi attori della scena blu, rimandando al mittente i resti indesiderati delle sue invasioni. Per lo più materiali plastici, raccolti e trasformati in vere opere d’arte dall’impegno di brillanti artisti votati alla salvaguardia dei mari e della natura.
Da tre millenni tracce di un mare globalizzatore
Pare infatti che nel 2000 a.C. uomini intraprendenti non esitassero a navigare tra Somalia e Mar Rosso su barche di canne di papiro per acquistare mirra e incenso. Nella Pietra di Palermo, frammento di una stele egizia in diorite, ci sono prove di una spedizione del 2650 a.C. in Libano su queste barche per acquistare legni di cedro, guidata dal faraone Snefru, consapevole di quanto potessero essere pericolose. Nel primo millennio a.C. i fenici dominavano i commerci nel sud del Mediterraneo, favorendo scambi di merci e di cultura. Da loro i greci adottarono l’alfabeto, oltre ad alcune tradizioni religiose, e altri Paesi mediterranei ne furono influenzati.
Si dice che nel 470 a.C. il navigatore ed esploratore cartaginese Annone abbia varcato lo stretto di Gibilterra con una flotta di 60 navi, spingendosi lungo l’Atlantico sino alle coste occidentali dell’Africa, in Sierra Leone, Camerun e Gabon: una spedizione orientata a fondare colonie nei Paesi occupati, portando con sé molti uomini e donne. Nel 330 a.C. il greco Pitea navigò poi verso nord alla ricerca delle miniere di rame dei Celti, arrivando sino al Circolo Polare Artico. Un viaggio a cui dedicò il libro “Oceano”, che racchiude importanti testimonianze.
Sembra incredibile ma più avanti una curiosa sfaccettatura degli scambi culturali passò ai barbari, in particolare ai Vichinghi, che, con le loro barche a doppia prua, in due secoli estesero il proprio dominio dalla Scandinavia a tutta l’Europa e all’Asia. Ragion per cui di loro si conoscono solo tremende scorrerie e terrificanti violenze e sopraffazioni, anche se avviarono al tempo stesso un’incredibile quanto insolita evoluzione culturale. Attorno al primo secolo d.C il loro sistema di scrittura apparve infatti nelle terre abitate dai Germani, tra il V e il VII secolo d.C. in Britannia produsse un’estensione dell’alfabeto a 32 simboli e nel IX secolo d.C venne usato in tutta Europa (poi in Islanda e in Groenlandia).
Dopo di loro il mondo arabo ebbe il campo libero in un’espansione della cultura a 360°, portando quella greca nell’Occidente, in Persia e in India, arricchita da chiari influssi della propria. In Europa seminarono le tracce di ciò che sarebbero state le prime forme delle lingue nazionali e furono sempre loro a far conoscere i sistemi di irrigazione della terra e la fusione dei metalli tramite mercanti, avventurieri e soprattutto navigatori, che, dai porti del Golfo Persico, si spinsero fino a Canton. Peregrinazioni nautiche durante le quali, prima di arrivare in Cina, fecero scalo in India, nelle isole di Sonda, di Sumatra e di Giava.
Considerato il più grande viaggiatore di tutti i tempi, il giurista e storico marocchino Ibn Battuta percorse il Mar Rosso sino ad Aden, dove per la prima volta vide i serbatoi per acqua piovana. Poi, lungo il Volga, arrivò sino all’ipotetica città di Bulgar e nel lago salato Aral, oggi alla frontiera tra Uzbekistan e Kazakistan. Dal 1325 al 1354 viaggiò per mezzo mondo visitando il sud-est europeo, il Nord Africa, il Medio Oriente, il centro e il sud-est asiatico, in Russia, India, Kurdistan, Madagascar, Zanzibar e Ceylon. Più di 120.000 km durante i quali conobbe più di 1.500 persone, di cui parla minuziosamente nel suo libro “Al-Rihia”.
Tra il 1271 e il 1288, nel suo viaggio in Cina, tra terra e tantissimo mare, Marco Polo fu colpito dalla grandezza delle giunche, in grado di imbarcare sino a 300 uomini oltre alla merce, dalle loro paratie di protezione e dalle tecniche di costruzione, conoscenze di cui fece tesoro e portò a Venezia. Il XV e XVI secolo segnano invece l’era dei grandi navigatori portoghesi, come Enrico Aviz, Alvise Cadamosto e Bartolomeo Diaz, che arrivò a 800 km dal Capo di Buona Speranza, doppiato poi da Vasco de Gama, che raggiunse l’India nel 1498 e vi tornò altre due volte, dopo che Cristoforo Colombo scoprì le Americhe. Nel XVI secolo Ferdinando Magellano circumnavigò invece la terra attraversando l’Oceano Pacifico.
Da allora grandi navigatori, sovvenzionati da chi sperava in scoperte che avrebbero potuto generare opportunità economiche, continuarono ad esplorare mari e oceani, in una corsa verso mercati sempre più lontani, in una sorta di globalizzazione sempre più simile al sistema capitalistico e, al tempo stesso, scoprendo nuove terre. Rosenstock-Hussey disse: “L’oceano che Cristoforo Colombo ha attraversato ha trasformato l’Europa in Occidente”. Tra il 1642 e il 1644 l’olandese Abel Tasman, cartografo della Compagnia Olandese delle Indie Orientali, scoprì Tasmania e Nuova Zelanda e avvistò le isole Fiji. Più avanti, insieme al suo navigatore e a un mercante, si recò in Australia per accertarsi che fosse un’enorme isola e vi tornò in cerca di oro, argento e spezie, che non trovò.
Anni dopo l’olandese Jakob Roggeveen scoprì le isole di Pasqua e il danese Johansen Bering, che fece costruire due navi per esplorare il mare nel punto più estremo della Russia, raggiunse le coste polari e l’Alaska. James Cook esplorò Australia e Nuova Zelanda, scoprì le Hawaii, attraversò per primo il Circolo Polare Antartico e navigò attorno a tutta l’Antartide. L’ammiraglio e matematico Louis Antoine Bouganville circumnavigò il mondo intero ed esplorò Tahiti e le isole del Pacifico. Il suo libro sul viaggio fu letto a Berlino, in Prussia, da Caterina II di Russia, da Voltaire, che ne fu talmente affascinato da studiare il tahitiano, e da Diderot, che scrisse un libro sulle usanze dell’isola.
Un mare di plastica: quando i rifiuti diventano arte
Da allora ad oggi i mari, il cui tappeto blu è violato da un continente all’altro, hanno deciso di prendersi una rivincita su chi negli anni, specialmente i più recenti, lo ha reso così. Offese umane tradotte in valanghe di rifiuti che gli artisti raccolgono per creare opere d’arte, facendo vincere la vita sulla morte, e tra cui abbiamo scelto Pam Longobardi e Cynthia Minet. Scienziata, artista, archeologa e ambientalista, Pam Longobardi è autrice di installazioni e sculture ottenute da rifiuti di plastica che raccoglie nell’ambito del suo “The Drifters Project“, una dichiarazione visiva sul motore del consumo globale e del loro impatto, presentata con successo nel 2009 alla Biennale di Venezia. Negli oltre 20 anni del suo lavoro per gli oceani ha coinvolto comunità locali di Cina, Costa Rica, Grecia, Monaco, Panama, Indonesia e non solo. Per lei l’arte va oltre l’oggetto fisico e si estende in interazioni con persone, luoghi e creature di siti sparsi nel mondo.
“I siti di raccolta su cui ho lavorato – ha detto in una mia intervista di qualche anno fa – rivelano aspetti della cultura di ogni luogo. Sull’isola di Lesbo le mie opere hanno generato aiuti diretti per i rifugiati e i cittadini che gestiscono un’impresa sociale”. Figlia di un bagnino oceanico e di una campionessa di immersioni, Pam ama l’oceano da quando, bambina, collezionava oggetti portati dal mare sulle spiagge del New Jersey per creare composizioni artistiche. Da adulta, impressionata dalla quantità di plastiche sulle spiagge più remote delle Hawaii, decise di usare prevalentemente rifiuti plastici recuperati per creare opere capaci di mandare dei messaggi. Per ogni pezzo cerca indizi su dove è stato realizzato, quanto ha viaggiato e come convive con la natura animale e vegetale circostante.
Dei suoi dipinti dice: “Sono visualizzazioni di forze di collisione tra processi naturali e prodotti industriali nella scala gestibile di uno spazio pittorico, pratica che mi aiuta nel lavoro emotivamente e fisicamente difficile con la plastica. Attraverso l’astrazione collaboro con le energie della natura. All’inizio lancio su superfici di rame un insieme di patine e vernici. Quando asciugano inizia il processo più lento: trovare un luogo di bellezza e di energia viva”. La mostra-progetto “Gyre: The Plastic Ocean“, di cui è promotrice, è partecipata da artisti come Mark Dion, Alexis Rockman e Dianna Cohen e ha viaggiato per due anni tra musei e gallerie universitarie statunitensi.
Diversa la storia di Cynthia Minet, che, nata in USA e cresciuta a Roma, vive e lavora a Los Angeles e in Italia ebbe l’idea di produrre arte coi rifiuti plastici prima che raggiungessero il mare. “Nel 2008 – mi ha detto tempo fa – fui invitata a fare una mostra in una discoteca di Padova situata accanto a un impianto di riciclaggio e il curatore mi suggerì di utilizzare per le mie opere dei materiali di quella struttura. Tornata a Los Angeles, ho iniziato a lavorare alla serie ‘Unsustainable Creatures‘, che combina la plastica riciclata con l’illuminazione a LED, e nel 2013 ho accettato l’invito al progetto Gyre: The Plastic Ocean”.
“Inizialmente – ha spiegato l’artista – avrei voluto intraprendere il viaggio di raccolta della plastica che faceva parte del concept del progetto ma non era possibile. Inoltre, la curatrice, Julie Decker, mi invitò a realizzare un’opera specifica per la mostra. A quel tempo il mio lavoro si concentrava sugli animali, così scelsi di ritrarre i cani da slitta, centrali per la comprensione di una mia esperienza rurale in Alaska. Sculture che puntano al problema dell’inquinamento realizzate con la plastica di scarto dell’area di Los Angeles, che, dai tombini della città, a ogni pioggia finisce nell’Oceano Pacifico. Le correnti poi la catturano e la fanno roteare in giro per il mondo nei vortici oceanici, finendo in parte lungo le spiagge dell’Alaska, dove in alcune zone è profonda fino alle ginocchia”.
L’opera di Cynthia per il Gyre: The Plastic Ocean, che compare nella prima edizione del 2014 all’Anchorage Museum (Alaska), è l’installazione “Pack Dogs” della serie Unsustainable Creatures. Cinque husky con personalità diverse trainano una slitta i cui LED colorati interni riprendono le magie dell’aurora boreale: un insieme di grande effetto artistico, oltre che ambientale. Tra i suoi progetti più attuali di arte pubblica lo Stacked (Monument), una scultura in alluminio in mostra da quest’anno a dicembre 2027 in un progetto curato da Carl Berg a Santa Monica, in California. Sempre in California, dal 2023 al 2026, la sua opera “Creature insostenibili: elefante” è al Pasadena Rotating Public Art Program IV, nel Convention Center di Pasadena, a cui si somma una serie di prestigiose collettive.
Donatella Zucca