Sicurezza nel lavoro subacqueo: tanti passi avanti negli ultimi 40 anni
Dal registro dei sommozzatori alla UNI11366: ecco come sono cambiate le norme dal 1979 ad oggi
Dal registro dei sommozzatori alla UNI11366: ecco come sono cambiate le norme dal 1979 ad oggi
Dai primi tentativi di solcare i mari ad oggi, il pilastro su cui si basa la navigazione è investire nella sicurezza dei passeggeri, dell’equipaggio e delle merci trasportate, anche se la sicurezza comporta dei costi elevati.
Nel porto di Genova, ad esempio, Corsica Ferries, in vista dell’intenso traffico passeggeri per le Isole, si appresta ad eseguire una serie di visite di controllo su tutte le sue navi osservando una rigida procedura. Oltre alle prove di abbandono nave, infatti, verrà verificato il corretto funzionamento dei sistemi di salvataggio, delle postazioni antincendio, della sofisticata strumentazione di controllo diretto e remoto della navigazione e verranno eseguite ispezioni video subacquee per accertare le condizioni della carena, dei sistemi di propulsione e dei sistemi direzionali, alla presenza della Capitaneria e degli enti di classificazione navale.
Di prevenzione e sicurezza ne sanno qualcosa i sommozzatori della Tetramarine Group, una giovane società genovese che ha saputo evolversi professionalmente e tecnicamente applicando le direttive della norma UNI 11366, la linea guida sulla sicurezza nel lavoro subacqueo e che presta la propria opera di assistenza alle navi di tutte le compagnie, comprese quelle della Corsica Ferries.
E’ stato un incidente mortale avvenuto durante la costruzione di un bacino di carenaggio nel porto di Trieste nel 1979 a portare alla modifica delle normative sul lavoro subacqueo. Prima esisteva solo una linea guida per i palombari (che ormai erano in via di estinzione). Da quel momento, invece, venne costituito presso tutte le Capitanerie il registro dei sommozzatori, al quale si poteva accedere soltanto dopo aver frequentato un corso di formazione riconosciuto dallo Stato.
A seguito della crescente richiesta di lavoro subacqueo ma anche a causa di una serie di incidenti nel campo petrolifero, venne poi adottata una linea guida internazionale, applicata in Italia dalla norma UNI 11366, che viene ora seguita da tutte le Capitanerie per poter rilasciare l’autorizzazione al lavoro subacqueo.
In sintesi la squadra minima per un intervento deve essere composta almeno da tre persone: un sommozzatore che si immerge con un casco di sicurezza con cui può respirare, comunicare ed inviare immagini alla superficie dall’apposita telecamera posizionata sul casco stesso e provvista di luce tramite un ombelicale ad alta resistenza vincolato ad un’apposita imbracatura, un secondo sommozzatore in stand-by pronto ad intervenire in caso di necessità e un qualificato assistente di superficie che controlla le immagini e comunica con l’OTS in immersione, fornendo le necessarie indicazioni grazie ad un apparato mobile certificato.
La sicurezza nel lavoro subacqueo, come in tutte le professioni, è anche frutto quindi di coloro che hanno perso la vita lavorando. Di queste vittime conosciamo il numero esatto ma non possiamo realmente sapere quante persone hanno “salvato” grazie al loro sacrificio.
Argomenti: Daily Nautica, mare
La squadra minima di tre persone, uno in acqua, uno stby vestito e pronto ad immergersi, non uno con la muta a metà che fa il jolly fra centraline compressori manichette ed altro, e il terzo alla radio, non è lavorare in sicurezza, non è lavorare e basta.
È come ritenere che la sicurezza sul lavoro dipenda principalmente da scarpe antinfortunistica caschetto senza sottogola e guanti da
3 euro.
Ad onor del vero la “squadra minima” per lavori in basso fondale contemplata dalla Norma UNI 11366 è di 4 persone.