Sardegna: aree protette per salvaguardare le aragoste
Qualsiasi attività di pesca in queste zone è severamente vietata; le aragoste possono essere catturate solo per finalità di ricerca scientifica
Qualsiasi attività di pesca in queste zone è severamente vietata; le aragoste possono essere catturate solo per finalità di ricerca scientifica
In Sardegna la pesca professionale vanta un grande produzione di aragoste sia in termini di qualità che di quantità. A Bona Marina, per proteggere questo speciale crostaceo, si sono create delle aree protette dove è vietata qualsiasi attività di pesca che possa nuocere loro o all’ambiente in cui esse vivono e si riproducono.
L’aragosta mediterranea, anche conosciuta con il nome scientifico Palinurus elephas, vive solitamente in fondali ghiaiosi o rocciosi a profondità variabili tra i 20 e 110 metri; ma è possibile tuttavia trovarne alcuni esemplari anche a profondità più elevate. Può arrivare fino a 50 centimetri di lunghezza e solitamente si riproduce nei primi mesi invernali.
A causa di una pesca troppo intensiva e del mercato nero che ruota intorno alle aragoste di piccola taglia ( sotto i 24 cm di carapace), a Bona Marina si è deciso di intervenire in favore di questi crostacei istituendo delle zone di ripopolamento dove qualsiasi tipo di pesca, sportiva o professionale, è severamente proibita.
In queste aree, l’unica attività di pesca concessa è quella che ha finalità di ricerca scientifica: da alcuni anni, infatti, l’Università di Cagliari porta avanti un progetto che prevede una specifica marchiatura per le aragoste di taglia non commerciabile che poi vengono liberate all’interno di queste riserve protette. In seguito, alcune aragoste vengono “ripescate”, con l’utilizzo di reti autorizzate che non danneggino l’ambiente marino, per monitorare il grado di ripopolamento e confrontare i dati ottenuti.
Chiara Biffoni
Argomenti: ambiente-&-sostenibilità