Dal porto sommerso di Thonis-Heracleion riemerge la nave di Erodoto

Nelle sue "Storie" il grande greco di Alicarnasso aveva descritto un'imbarcazione egiziana che è rimasta per 2500 anni uno dei più grandi misteri dell'archeologia navale

Dal porto sommerso di Thonis-Heracleion riemerge la nave di Erodoto

Dal porto sommerso di Thonis-Heracleion riemerge la nave di Erodoto

Nelle sue "Storie" il grande greco di Alicarnasso aveva descritto un'imbarcazione egiziana che è rimasta per 2500 anni uno dei più grandi misteri dell'archeologia navale

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“L’albero era fatto di acacia e le vele di papiro. Questi battelli non possono risalire il fiume se non sotto la spinta di un forte vento, altrimenti vengono tirati da terra”, scriveva Erodoto nel secondo libro delle sue Storie. Il grande storico greco visitò l’Egitto attorno nella metà del V secolo avanti cristo. Da viaggiatore curioso ed attento come era, Erodoto non trascurò di visitare i cantieri navali del Paese dei Faraoni, descrivendo minuziosamente le imbarcazioni locali e le loro tecniche costruttive.

Tra le barche che solcavano le placide acque del Nilo, Erodoto racconta in particolare di insoliti battelli chiamati “baris” che venivano usati dagli egiziani per il trasporto delle merci. E per gli archeologi comincia un mistero destinato a rimanere tale nei secoli a venire, sino all’incredibile scoperta avvenuta poche settimane or sono, nella acque antistanti il porto sommerso di Thonis-Heracleion. 

Le baris, scriveva il grande storico greco, erano interamente “costruiti in legno di acacia”. L’albero veniva tagliato per ricavarne dei “pezzi di legno di circa due braccia” che venivano poi messi “insieme come mattoni. (Gli artigiani) collegano i pezzi di legno, di due cubiti, con lunghi e frequenti cavicchi e quando hanno costruito in questo modo vi tendono sopra delle traverse. Nessun uso di tavole laterali. Turano le commessure interne con papiro e apprestano un solo timone, che passa attraverso la carena”. L’assemblamento della carena avveniva seguendo quelle che Erodoto chiama “costole interne” e che hanno fatto ammattire i futuri archeologi navali, alcuni dei quali sono arrivati a mettere in dubbio l’attendibilità della descrizione del Padre della Storia. 

La nave di Erodoto al computer

Una scannerizzazione al computer dello scafo della “betis”, la nave da carico di cui si legge nelle Storie di Erodoto

“Nessuno ha mai capito cosa intendesse dire con queste ‘costole interne’ -ha spiegato Damian Robinson, direttore del Centro di Archeologia Marittima dell’Università di Oxford- una struttura navale come quella descritta dal grande storico non era mai stata riscontrata prima e neppure se ne trova tracce in altri documenti storici”. Ci sono voluti 2 mila e 500 anni per stabilire che Erodoto aveva ragione.

A fine marzo l’equipe di acheosub guidata da Robinson ha, infatti, portato alla luce il relitto di una nave incredibilmente conservata, che ricalca la tecnica costruttiva descritta dal grande storico, se pure le dimensioni dello scafo risultano più grandi di quelle da lui descritte. “Ma adesso che abbiamo scoperto questo relitto -ha dichiarato Damian Robinson al Guardianpossiamo dire che Erodoto aveva ragione”. Addirittura, secondo alcuni archeologi, la nave scoperta potrebbe essere stata costruita proprio nel cantiere visitato dal grande greco di Alicarnasso. 

Risolto anche il mistero dei due fori situati nella parte poppiera. Servivano ad infilare il timone regolandolo secondo il carico della nave. Con le stive piene di merci, i marinai utilizzavano il foro più alto, con le stive vuote quello più in basso, in modo che la pala del timone fosse sempre immersa nell’acqua indipendentemente dalla linea di galleggiamento. 

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