Il mistero del Lusitania, il “levriero dei mari” silurato da un U Boot tedesco
Cento anni dopo il suo affondamento, il relitto del transatlantico continua a conservare i suoi segreti in fondo al mare
Il mistero del Lusitania, il “levriero dei mari” silurato da un U Boot tedesco
Cento anni dopo il suo affondamento, il relitto del transatlantico continua a conservare i suoi segreti in fondo al mare
Il primo maggio del 1915, il transatlantico Lusitania lasciò il porto di New York per dirigersi verso Liverpool. A bordo di quella che era, all’epoca, la nave più veloce del mondo, lunga 240 metri e capace di raggiungere i 25 nodi, salirono 1964 persone, tra passeggeri e membri dell’equipaggio (circa un terzo del totale).
Non era un porto sicuro, Liverpool. L’intera Europa era precipitata in quel gigantesco ed inutile bagno di sangue che è stata la prima Guerra Mondiale e le coste inglesi erano pattugliate dai sottomarini della Kriegsmarine, i temibili U Boot.
Nei giorni precedenti alla partenza, le autorità portuali americane avevano diffuso manifesti e volantini per avvisare i viaggiatori del rischio in cui ponevano la loro vita cercando di raggiungere l’Inghilterra. Pochissimi saranno coloro che vi daranno retta e rinunceranno al viaggio. Molti passeggeri erano cittadini americani diretti al Vecchio Continente per affari o per congiungersi con familiari.
Gli Stati Uniti, nel maggio del 1915, erano ancora un Paese neutrale, pure se rifornivano non ufficialmente di armi i loro ex colonizzatori. Ma il Kaiser Guglielmo II aveva dato mandato ai suoi Unterseeboot, battelli sottomarini, di attaccare solo navi militari o carghi che trasportavano materiale bellico. Non aveva nessun interesse a far entrare gli Usa nel conflitto.
Dopo sei giorni di tranquilla navigazione, il “levriero dei mari“, come veniva chiamato il transatlantico per la sua velocità, aveva già attraversato l’Atlantico agli ordini del capitano William Thomas Turner. La società che aveva armato la nave, la Cunard, aveva preso accordi con l’ammiragliato inglese perché, una volta entrata nelle acque più pericolose, il transatlantico fosse scortato da una squadra di incrociatori britannici.
Turner, come racconterà in seguito, si sentiva sufficientemente tranquillo. Era convinto di essere difeso dalla Royal Navy ed inoltre, quella mattina del 7 maggio 1915, la sua nave si trovava già in acque britanniche: il Lusitania aveva già doppiato Cape Clear, l’isola più a sud dell’Irlanda, ed ora puntava verso le coste di inglesi. Dette l’ordine di ridurre la velocità a causa di una banco di nebbia e di dirigersi verso il porto di Queenstown.
Quello che il comandante Turner non poteva sapere è che il primo ministro Winston Churchill e il Primo Lord del Mare John Fisher avevano dato ordine all’incrociatore di scorta di abbandonare la missione e di lasciare il Lusitania al suo destino. Dopo la fine della guerra, il comandante della Naval Intelligence – il servizio segreto della marina – raccontò che il Lusitania fu “deliberatamente indirizzato verso un’area in cui era noto che si celasse un U-Boot in agguato”.
Alle ore 14 e 10 di quel fatidico 7 maggio 1915, la nave incrociava il suo destino a 10 miglia sud del promontorio Old Head di Kinsale. L’U Boot U-21, che ritornava alla base dopo una proficua battuta di caccia ai mercantili inglesi, incocciò nel transatlantico. Il capitano Walther Schwieger non si lasciò sfuggire l’occasione. Lanciò un siluro, uno solo, contro la grande nave, e solo dopo, mentre guardava dal periscopio l’enorme transatlantico che scendeva negli abissi, esclamò “Dio santo, ma quello è il Lusitania!”.
La nave affondò in soli 18 minuti, inclinandosi sul lato destro. Tra nuvole di polvere, fuoco, fumo, spari, esplosioni e confusione, l’equipaggio riuscì a calare in mare solo sei delle sue 48 scialuppe. La strage fu quantomeno veloce. I più morirono intrappolati dentro i grandi ed eleganti saloni della neve. Altri affogarono o bruciarono in un mare che ardeva per lo sversamento di carburante.
Il capitano William Thomas Turner fu l’ultimo ad abbandonare la nave. Dopo aver diretto le operazioni di salvataggio si gettò in mare aggrappato ad una sedia. Lo raccolsero che ancora respirava. Il bilancio fu quello di un massacro: 770 sopravvissuti contro 1194 vittime.
Secondo molti storici, l’affondamento del Lusitania fu la Pearl Harbor della prima guerra mondiale. In altri termini, fu una delle motivazioni più forti che determinarono l’entrata in guerra degli Stati Uniti d’America. Ma che Churchill ne fosse consapevole e che, come sospettano alcuni, avesse mandato apposta al macello la nave per far pressione sull’opinione pubblica americana, è tutto da dimostrare.
Così come è tutta da dimostrare la presenza di materiale esplosivo a bordo del Lusitania. Tesi questa, sostenuta da alcuni storici che tendono a giustificare l’affondamento di una nave passeggeri da parte dell’U Boot che aveva ordine di attaccare solo navi militari o carghi di rifornimento.
L’affondamento di una nave delle dimensioni del Lusitania ad opera di un solo siluro e in tempi così veloci, in effetti, tende a confermare questa teoria. Molti testimoni della tragedia raccontano che il colpo dato dal siluro si limitò a provocare uno sbandamento della nave e che le esplosioni che seguirono andrebbero imputate al materiale bellico nascosto nella stiva del Lusitania.
Un segreto questo, che il levriero dei mari continua a conservare gelosamente. Quel poco che rimane del suo scafo, adagiato su un fondale di 93 metri, giace da oltre cent’anni sotto quel mare d’Irlanda in cui incrociò il suo destino. Le sue lamiere contorte, difese da nuvole di reti da pesca che, col trascorrere degli anni, si sono aggrappare al relitto, rendono ancora oggi impossibile un’ispezione approfondita al suo interno. I segreti di quello che era il transatlantico più veloce del mondo sono destinati a rimanere tali.
Argomenti: Daily Nautica