Il relitto del Boris nel mezzo dell’Oceano Atlantico
Il relitto del Boris è un peschereccio russo in acciaio lungo circa 50 metri, il cui vero nome è Kwarcit o, meglio ancora, Kwarktzit (quarzite)
Il relitto del Boris è un peschereccio russo in acciaio lungo circa 50 metri, il cui vero nome è Kwarcit o, meglio ancora, Kwarktzit (quarzite)
Incredibile quello che accade in molti posti del mondo. Un ambiente desertico terrestre nel quale la vita fatica a sopravvivere si alterna, sotto la superficie del mare, a un habitat ricco di fauna, con una varietà di specie ed un quantitativo di pesci inimmaginabile. Uno di questi luoghi è la meravigliosa isola di Sal, nell’arcipelago di Capo Verde, nella quale i colori sono pochi, molto semplici e ricordano una scatola di pastelli della nostra infanzia: giallo e ocra per le sabbie, nero e marrone per la roccia vulcanica, bianco per le case, azzurro per il cielo e un pazzesco blu per il mare sullo sfondo. Ben poca vita sopravvive a un ambiente così duro. Una volta che si varca invece il confine del sommerso, si viene avvolti da un mondo multicolore, dato da coralli, spugne e migliaia di pesci che ti circondano, per nulla intimoriti dalla presenza umana e dalle bolle che escono dall’erogatore.
Giunto su quest’isola per una breve vacanza a caccia di relitti, vengo coadiuvato in questa ricerca dal diving del bravo Fabrizio Accoroni, giunto anni fa dalla sua Bergamo per aprire il Cabo Verde Diving, il miglior centro immersioni di questo fantastico luogo. Fabrizio mi ha promesso una settimana a caccia di ferro sommerso e sta facendo di tutto per soddisfare i miei desideri ma i suoi sforzi sembrano resi vani da un destino avverso. Nella primavera 2024, infatti, il clima è decisamente anomalo e l’arcipelago è sempre caratterizzato da una quasi totale siccità, con un grande caldo mitigato dal vento che soffia costantemente dal mare. La situazione è più che sopportabile, tranne nei mesi di gennaio e febbraio, durante i quali la brezza si trasforma in un vento teso con forti raffiche che alzano il mare, rendendo perciò difficile navigare.
A quanto pare, invece, a caratterizzare i primi due mesi di quest’anno è un’insolita calma piatta ma la situazione sta cambiando proprio in quel momento, con tre mesi di ritardo. Il vento si sta infatti rinforzando e il mare è sempre più agitato, con onde frastagliate che non sembrano avere una regolarità. Che botta di fortuna per un subacqueo è il minimo che mi viene da pensare ma poi ricordo che, nel clima impazzito in cui viviamo, ho già provato l’esperienza di cicloni e uragani completamente fuori stagione. Malgrado questa situazione meteomarina in peggioramento, riesco comunque a fare delle ottime immersioni, anche se nella zona più vicina al molo di Santa Maria, da dove parte il gommone del diving. Oggi, però, guardando gli occhi delle guide, leggo delle espressioni perplesse mentre osservano la distesa dell’oceano, che appare arruffato e di cattivo umore. Sono solo quindici minuti di navigazione e i pochi subacquei presenti, tutti esperti, sono coscienti che il mare stavolta non è una tavola da surf.
Il relitto
Partiamo alla volta del relitto di una nave russa, chiamata per alcuni anni Boris dalla comunità subacquea. Si tratta di un peschereccio russo in acciaio costruito a Leningrado nel 1975, lungo circa 50 metri e dotato di un’elica mossa da un motore diesel. Da alcuni anni le sue stive non vedevano più la presenza di pesci del Mare del Nord ma quella di poveri migranti che partivano dal Senegal alla ricerca di una vita migliore. Durante una traversata ebbe un’avaria al motore e venne intercettato dalle autorità capoverdiane, che salvarono i clandestini, arrestarono i trafficanti di uomini e decisero di affondare la motonave l’8 gennaio 2006 per farne un reef artificiale a beneficio della fauna marina, del turismo e dei subacquei che si sarebbero recati a visitarlo. Il suo vero nome era Kwarcit o, meglio ancora, Kwarktzit (quarzite).
L’operazione di “scuttling“, ovvero di affondamento della nave, è stata utile all’ambiente sottomarino di Sal? Per il turismo sicuramente. Oggi quella sul Kwarcit è una delle immersioni più gettonate dai turisti e dal punto di vista della vita marina ancora di più. La Cambridge University Press, pochi anni dopo l’affondamento, ha pubblicato infatti uno studio intitolato “Confronto tra le comunità ittiche delle barriere coralline naturali e artificiali al largo dell’isola di Sal”, reperibile sul Journal of the Marine Biological Association of the United Kingdom vol. 93 (www.doi.org).
Lo scopo di questa ricerca era quello di confrontare le varietà di specie e il quantitativo di animali presenti nelle barriere naturali e in quelle artificiali dell’isola, considerando anche che la crescita del turismo a Capo Verde avrebbe condotto a pesca e immersioni più intense e incontrollate, influenzando così la qualità degli habitat marini. In totale nell’indagine sono state registrate 64 specie ittiche diverse, nella maggior parte dei casi comuni a entrambe le barriere ma con varietà e densità di pesci superiori in quelle artificiali. La conclusione dello studio è stata quindi che le barriere artificiali possono avere un ruolo importante nel promuovere la biodiversità ittica locale e supportare lo sviluppo sostenibile del turismo subacqueo. Anche questa volta non rimane che domandarsi come mai non si possano portare avanti iniziative di questo genere in Italia.
L’immersione
Sarà davvero pieno di pesci il relitto? È questo il mio pensiero mentre il gommone danza sulle onde di un mare decisamente montato a causa del vento invernale fuori stagione. Quando mi tuffo in acqua sono cosciente che le condizioni non sono ideali per un’immersione. La corrente è fortissima ed è obbligatorio tirarsi con le mani, oltre che pinneggiare, per arrivare alla sagola di discesa fissata sul relitto: scendere in “libera” significherebbe ritrovarsi in mezzo ad un oceano turbolento. È davvero poco piacevole, anche se nutro la massima fiducia in questi ragazzi nati e cresciuti sul mare di quest’isola, tanto da non avere in nessun momento alcun dubbio o timore.
Arrivo fra i primi sulla verticale del Kwarcit e segnalo alla guida che aspetterò il gruppo a cinque metri di profondità. Fra corrente e onde cattive, è impossibile farlo in superficie, è sfiancante. Scoprirò invece di riuscire a stare tranquillo solo verso i dieci metri di profondità, dove mi fermo, riprendo fiato e poi giro lo sguardo verso l’alto, accorgendomi che in superficie sta succedendo qualcosa. Al momento non posso capire ma verrò a sapere in seguito che qualcuno ha rinunciato, altri non si sono sentiti bene poco prima di scendere e un paio sono stati presi da una crisi di panico durante i primi metri di discesa. Un disastro.
Passato qualche minuto vedo finalmente arrivare i primi subacquei e parto così verso il fondo, “atterrando” sulla poppa del relitto. Sistemo i bracci delle lampade, accendo l’attrezzatura, la controllo e comincio a scattare delle foto, poi mi accorgo di essere rimasto completamente solo. Rimango perplesso ma a questo punto decido di godermi ugualmente l’immersione, anche se la corrente non vuole mollare neppure a 30 metri di profondità. La temperatura dell’acqua è di 22 gradi, che tollero bene grazie alla muta da 5 mm e alla maglietta da surf dell’idolo locale Mitu Monteiro, che mi sono comprato a Santa Maria: è fantastica, tiene davvero caldo. Poi c’è un bel relitto, tanta vita marina, condizioni accettabili e una sagola che mi riporterà in sicurezza al gommone. Cosa posso volere di più?
Il relitto si trova in assetto di navigazione ed è uno spettacolo di vita pazzesco: banchi di pesci si incrociano in continuazione, specie mediterranee e tropicali mescolate. Ci sono saraghi, ogni genere di pesce di barriera corallina, cernie, trigoni, banchi di carangidi ma anche squali nutrice nascosti tra le lamiere, crostacei, frog fish, nudibranchi, spugne e mille altre forme di vita coloratissima. Rispetto alle isole Canarie, qui la preponderanza è data dalle specie tropicali ed è uno spettacolo incredibile a ogni scorcio, a ogni passaggio dentro e fuori le lamiere del relitto.
Alla fine vengo raggiunto da due guide e alcuni “sopravvissuti”, con i quali terminerò l’immersione. In queste condizioni non è il caso, però, di effettuare una seria penetrazione nel relitto, normalmente possibile e molto affascinante, a quanto raccontano. Ho consumato anche molta aria fra la discesa e l’attesa dei compagni, per cui dovrò rimandare ad una prossima occasione, che non mancherà di sicuro vista la mia voglia di tornare su quest’isola sorprendente per i suoi paesaggi, il suo mare e i suoi simpaticissimi abitanti, sopra e sotto la superficie. Fabrizio mi ha inoltre promesso altri relitti: come potrei dirgli di no?
Argomenti: relitti