Si vive solo due volte: immergersi tra gli squali nelle isole Fiji

Lo stretto di Beqa è diventato un luogo eccezionale per studiare le otto specie stanziali di squali presenti: Tigre, Leuca, grigi, pinna bianca, pinna nera, nutrice, limone dell’Indo-Pacifico e Albimarginatus

16 July 2024 | di Paolo Ponga

Si vive solo due volte” fu uno splendido romanzo di Ian Fleming, l’inventore di James Bond, reso ancor più famoso dal film interpretato da Sean Connery nel 1967. Il titolo derivava dall’escamotage di inscenare la morte dell’agente 007 per permettergli di indagare indisturbato contro la famigerata Spectre. Il film, in realtà, si discostava dal libro, l’ultimo romanzo pubblicato mentre l’autore era ancora in vita, nel quale Fleming spiegava l’origine del titolo in maniera più precisa. Si tratta dell’inizio di un haiku, un poema giapponese in miniatura, che recita: “Si vive solo due volte. La prima quando si nasce. La seconda quando si guarda la morte in faccia”.

Io, quindi, ho già vissuto due volte: la prima quando sono nato e la seconda quando ho battuto una grave malattia, uscendone vivo al filo di lana. Poco tempo prima, però, avevo già provato la stessa sensazione. Mi piace così pensare di aver vissuto per ben tre volte.

Pacific Harbour, isole Fiji (giugno 2017)

Un catamarano in metallo, l’Hunter, mi sta trasportando sotto una pioggia torrenziale e in balia di onde possenti nel canale fra due isole di un oceano che di Pacifico ha solo il nome. Mi trovo su questa barca per effettuare la prima immersione del viaggio di nozze e poco prima ho salutato con un misto di titubanza e timore la mia novella sposa, che osservava dalla nostra casetta in riva al mare lo spettacolo della pioggia scrosciante sopra un mare color metallo. Ci troviamo a Pacific Harbour, isola di Viti Levu, arcipelago delle isole Fiji, e non sembra vero un tempo simile. “Sei proprio sicuro che sia la stagione secca?”.

Eh sì. Mi sono però dimenticato di informarti, amore, che da queste parti soffiano costantemente gli alisei di sud-est, che arrivano carichi di umidità dall’Antartide e che, quando si scontrano contro le cime dei vulcani di quest’isola, scaricano acqua in ogni mese dell’anno. Non vedi come è verde la foresta pluviale? Non sai che chiamano queste zone la “Green Side of the Islands”? Poi cambieremo isola e andremo a nord, verso il bello. Adesso, però, siamo qui perché questo è un posto unico al mondo per un subacqueo. Vedrai che foto e che filmati. Ho prenotato le immersioni 8 mesi fa trovando due giorni già esauriti, fai tu!

Nella realtà, dopo un attimo di meditazione, la risposta è stata invece: “Tranquilla, è sicuramente una nuvola passeggera. Oggi pomeriggio sole e mare, vedrai!”. E così dicendo, mentre le infondevo false speranze, sono sgattaiolato fuori dal bungalow carico della mia attrezzatura, lasciando il tepore delle sue mura e una donna poco convinta.

Adesso l’imbarcazione sale e scende come un cavallo imbizzarrito e la mia espressione deve essere quella dipinta sulle facce degli altri subacquei, piena di incertezza e timore per il tempo e per la meta dell’immersione. Quest’ultima è costituita dallo Shark Corridor, il canale fra Viti Levu e la piccola isola di Beqa, dove il geniale svizzero Mike Neumann, che conoscerò fra poco, ha creato una cosa unica al mondo.

Mike Neumann e il suo progetto

Originario di Ascona, nella Svizzera italiana, Neumann lavorava in banca ed era appassionato di immersioni. Arrivato da queste parti, era sceso sotto la superficie riuscendo a intravedere tre squali ma soprattutto le potenzialità del luogo. Decise così di licenziarsi e rilevare il diving center locale, stringendo poi un patto con lo Stato figiano e le comunità locali. In cambio dell’istituzione di un’area protetta per gli squali, nella quale avrebbe portato i subacquei (in seguito diventata il primo parco marino dell’arcipelago delle isole Fiji), e dell’impegno da parte dei locali a non effettuare pesca indiscriminata nella zona, lui avrebbe fatto pagare una tassa d’ingresso, i cui ricavi sarebbero stati devoluti ai villaggi al fine di costruire strutture comunitarie, scuole e fondi per far studiare i ragazzi più meritevoli.

L’accordo, stretto nel 2003, ha portato vantaggi per tutti. Neumann ha ora un’impresa fiorente, due barche e una quindicina di dipendenti figiani (tutti Marine Rangers dello stato), con prenotazioni per le immersioni fatte anche un anno prima. Lo stato vede un notevole afflusso di turismo in un’area che non ne aveva affatto e con i villaggi che tendevano a diventare degli slum carichi solo di povertà. Infine, gli abitanti del luogo sono entusiasti perché i villaggi hanno pozzi, strade, la luce elettrica, ci sono le scuole e molti ragazzi riescono a frequentare l’università, con i migliori che vanno addirittura a studiare a Sidney. Dotati di una simpatia senza limiti, ti fermano sempre quando cammini per strada per chiederti “di dove sei? Italia? È vicino al Canada, vero? Sei qui per gli squali? Li hai già visti? Ti sono piaciuti?” e sono contentissimi perché hanno la moglie a lavorare in un hotel, il nipote al diving o magari perché fanno artigianato. E così, grazie agli squali e a Neumann, sono usciti da un vicolo cieco di povertà senza speranza.

Gli squali

Sono quindi tutti soddisfatti: Neumann, lo Stato e i figiani. Ma i veri protagonisti cosa ne pensano? In effetti, quando vai a vederli, scopri che vengono attirati facendo “shark feeding“, cioè dando loro da mangiare, una pratica normalmente non tollerata dal punto di vista etico, in quanto effettuata uccidendo altri pesci e che soprattutto cambia le abitudini alimentari degli squali. A differenza di molti altri luoghi nel mondo, però, qui vengono a “rubare” qualche testa di tonno acquistata da una fabbrica di tonno in scatola, ovvero un prodotto di scarto della lavorazione che viene venduto al diving surgelato, evitando così l’uccisione di altri pesci. Inoltre, occorre considerare che quest’area di mare è quella nella quale hanno vissuto stabilmente per migliaia di anni, venendo poi decimati e cacciati senza alcun limite. In questo modo gli animali sono ritornati a vivere dove un tempo erano normalmente presenti, creando una specie di “simbiosi” con i ragazzi del diving, i BAD (Beqa Adventure Divers).

Senza contare che la località è diventata un centro di studi e ricerche importantissimo, famoso nelle università di tutto il mondo. Durante la mia permanenza, ad esempio, erano presenti i francesi di Tara Expeditions e un fotografo naturalista thailandese di fama mondiale. D’altronde, dove riuscire ad avvicinare in sicurezza degli squali altrimenti estremamente schivi e pericolosi? Lo stretto di Beqa è diventato un luogo eccezionale per poterli studiare, quasi unico al mondo. Delle 500 specie di squali esistenti in natura, solo una decina è realmente pericolosa. Qui vivono stanziali otto specie diverse: Tigre, Leuca o Zambesi (i bullshark, per le persone di lingua inglese), grigi, pinna bianca, pinna nera, nutrice e, anche se meno frequenti, limone dell’Indo-Pacifico e Albimarginatus. Di questi solo i primi due sono realmente pericolosi, mentre i grigi possono diventarlo se si sentono minacciati. Per quanto riguarda gli altri, è raro che attacchino l’uomo.

Tigre e Leuca non amano stare insieme e i primi si fanno vivi solo durante il periodo invernale (quello delle forti piogge), quando i bullshark se ne vanno dalla costa e risalgono il fiume. Questa specie ha infatti delle caratteristiche incredibili, fra cui quella di riuscire a modificare la salinità del proprio sangue, riuscendo in questo modo a vivere anche in acque salmastre o persino nell’acqua dolce. Alcuni esemplari hanno addirittura preso residenza nel laghetto di un golf club australiano, giunti in seguito all’esondazione di un fiume. Le palline finite in acqua non le raccoglie proprio nessuno! Quando avevo descritto a mia moglie l’opportunità pazzesca per un subacqueo di fare immersioni con questi animali in libera, senza gabbia, mi aveva chiesto: “Ma non sono quelli che mangiano?”.

Se provassimo a fare una classifica degli squali più pericolosi al mondo, in cima troveremmo il GWS, il Grande Squalo Bianco. Questo però, anche se presente nei mari di tutto il mondo, è un animale solitario e schivo, che non si incontra frequentemente se non in Sudafrica e in Australia. Pare non amare la carne umana e attacca solo se confonde il nuotatore o il surfista con una foca, suo cibo prelibato e amatissimo. La seconda specie è quella del Tigre, sempre meno diffusa e che solo in rarissimi casi ha attaccato l’uomo, forse più per errore che per intenzione. Quali sono allora i più rischiosi per l’uomo? In mare aperto la specie incriminata è quella del Longimanus, il terrore dei naufraghi di tutte le guerre, vero spazzino degli oceani, mentre lungo le coste dei mari tropicali e nelle acque dei fiumi e dei laghi la specie responsabile della maggior parte degli attacchi all’uomo è quella del Leuca.

Un esempio della sua cattiva fama? All’inizio del secolo scorso, lungo le coste del New Jersey, ci fu una frenetica caccia allo squalo, a seguito di alcuni attacchi all’uomo con esito purtroppo fatale. Questa storia, riportata ampiamente dai giornali dell’epoca e corredata da una fotografia che ritraeva la cattura del temibile pesce, diede ispirazione al romanziere Peter Benchley per la stesura di un libro che ebbe grande fortuna e dal quale un giovane regista di nome Steven Spielberg ricavò un film di enorme successo: Jaws (mascelle), in italiano Lo Squalo. Una grande fortuna per attori e regista, un’enorme sciagura per tutte le specie di squali, ritenuti da allora, nell’immaginario collettivo, dei micidiali robot assassini affamati di carne umana.

L’immersione

Oggi scenderò sott’acqua proprio per vedere questi bestioni: quasi tutte femmine che amano vivere in branco, lunghe circa 3 metri e mezzo per 250 kg di peso. Con una gabbia? No, protetto, si fa per dire, da dei figiani senza paura, armati del proprio coraggio, della conoscenza ancestrale di questi splendidi animali e di un bastone ricurvo di alluminio con cui spingere via gli esemplari più curiosi o intraprendenti senza far loro del male. Quando scopro che Neumann è in barca con noi, ci mettiamo a chiacchierare e la domanda sorge spontanea: “Li vedremo oggi, Mike?”. “Tranquillo, le mie ragazze non ti deluderanno”.

Una volta giunti sul luogo dell’immersione, scendiamo sotto la superficie color metallo fino a 30 metri di profondità e veniamo messi in ginocchio su un cornicione di sabbia corallina. Davanti a noi tre guide si pongono intorno a una cassa di alluminio che contiene le teste di tonno. Uno sarà il “feeder”, l’esperto che darà il cibo agli squali, mentre gli altri due si metteranno a sinistra e dietro di lui per proteggerlo da attacchi improvvisi e inaspettati. Altri cinque si dispongono dietro ai turisti, uno invece a vigilare la situazione qualche metro più in alto, mentre Neumann sarà sul fondale di sabbia con la sua enorme telecamera subacquea.

Dopo quella che sembra una lunga attesa, dal blu vedo spuntare il primo squalo e l’eccitazione di tutti i subacquei è a mille. Lo inquadro subito con la telecamera e comincio a filmare, mentre, attraverso lo schermo, vedo l’immagine dell’animale che nuota verso di me, sempre più vicino. C’è qualcosa che non va, penso. Smetto di guardare nella fotocamera e mi concentro su di lui. Non mi è mai successo che uno squalo puntasse direttamente su di me e, a poco a poco, ogni forma di razionalità finisce per scomparire, lasciando il posto alla paura ancestrale dell’uomo primitivo che combatteva per non essere mangiato. Quando mi rendo conto che continua a venirmi direttamente incontro senza deviare, comincio a percepire una morsa alla bocca dello stomaco e una voce sempre più forte urlarmi nelle orecchie una frase tipo “via via via”, mentre noto i suoi occhi vitrei che sembrano fissarmi e dirmi “fame fame fame”.

In quel momento il tempo si dilata, prende una durata irreale e, non c’è niente da fare, provo davvero paura. Gli attimi scorrono con una lentezza infinita e quando arriva a un paio di metri di distanza non capisco più nulla: la tentazione di fuggire è fortissima. Rimango fermo solo grazie a tutto l’autocontrollo che non pensavo di possedere. Poi lo squalo si sposta di poco, mi dà una pinnata al braccio forte come uno schiaffo e se ne va. A questo punto penso: sono una delle poche persone al mondo che può dire di essere stato toccato da un Leuca ed essere ancora vivo. Capisco che oggi non mi succederà nulla e che vivrò un’esperienza unica nella vita. Da quel momento in poi sarà infatti solo pura magia.

Gli squali, giunti per rubare qualche testa di tonno o per semplice curiosità, oggi saranno 40 sugli oltre 80 stanziali, tutti catalogati, tutti con un nome proprio, quasi tutte femmine adulte. In questi giorni di immersioni farò centinaia di fotografie e molti filmati, che in gran parte risulteranno inutilizzabili perché, malgrado il forte grandangolare, riuscirò a inquadrare solo pezzi di squalo, vista la loro vicinanza. Inquadratura perfetta? Improvvisamente fotografi una pancia o una pinna che ti sfreccia a mezzo metro di distanza. Sempre così. Oltre l’incredibile per un subacqueo. Dopo una quindicina di minuti risaliamo verso la superficie, effettuando due lunghe soste di sicurezza (e divertimento): la prima con altri due feeder e squali di taglia inferiore (soprattutto grigi di barriera), mentre la seconda viene chiamata “The Shark’s Highway” (l’autostrada degli squali), per il passaggio veloce di innumerevoli squali pinna bianca, pinna nera e grigi davanti ai subacquei estasiati.

Il ritorno al resort

A pranzo sono di ritorno nel mio resort, sotto il tetto della splendida capanna che fa da ristorante e che mi protegge dalla pioggia che continua a scendere imperterrita. Vedo avvicinarsi Nancy con il suo splendido sorriso, impreziosito dal vezzo di un incisivo per metà incapsulato d’oro, che mi porge una tazza di Kokoda (si legge Kokonda), il piatto nazionale figiano, pezzi di pesce, nel caso odierno wahoo, cotti marinandoli nel lime e serviti freddi con latte di cocco, peperoncino rosso e verde, pomodoro e cipolla. Mi viene l’acquolina in bocca: è semplicemente delizioso. Nancy, d’altronde, mi adora e mi sta viziando, lo so. È una figiana di origini miste samoane, la mia cameriera preferita dell’Uprising Beach Resort.

Mentre serve a mia moglie un’enorme insalatona di verdure e tonno fresco alla griglia, mi lancia di sbieco uno sguardo preoccupato e mi fa segno come a chiedermi: “Come va?”. “Don’t worry Nancy”, le rispondo facendole l’occhiolino di nascosto. Poi mi giro verso mia moglie e provo a scherzare dicendole: “Dai amore, il tempo è migliorato. Adesso è solo pioggerella fine, molto meglio di stamattina”. Il tentativo è però vano e i suoi denti sembrano più pericolosi di quelli che ho visto sotto la superficie dell’oceano, mentre lo sguardo vaga verso le nubi all’orizzonte.

In una pausa dalle piogge facciamo due passi nel vicino paese, con il cielo divenuto per una volta azzurro pastello, in contrasto con l’infinito verde della vegetazione tutta intorno a noi, incrociando diversi abitanti del posto con i capelli simili ai protagonisti dei film americani degli anni Settanta e un sorriso stampato in volto. Colpisce incontrare così tante persone socievoli e desiderose di contatto, soprattutto al pensiero che fino a 130 anni fa erano guerrieri feroci e cannibali, il terrore dei naviganti che tentavano di approdare sulle coste delle 330 isole che compongono l’arcipelago. Ora, invece, sono educati, gentili e sembrano sorridere sempre: d’altronde, sembrano essere in cima alle classifiche delle popolazioni più felici al mondo, con una voglia innata di fare amicizia con persone che vengono da lontano. Ferventi cristiani ma con origini animiste, rispettano gli squali senza averne timore perché fanno parte della natura in mezzo alla quale sono cresciuti e con la quale hanno imparato a convivere.

Un’esperienza indimenticabile

Faccio anche l’errore di raccontare alle guide del diving le mie disavventure familiari causate dal tempo, che impedisce di andare in spiaggia a prendere il sole e a fare un bagno. Una volta tanto seri, mi avvisano che da una parte è meglio così, perché le nuotate non sono consigliate nella zona. Chiedo perché e penso alle correnti ma dallo sguardo capisco il vero motivo. Poi tornano subito normali e si divertono a prendermi in giro. “Tutto a posto con tua moglie? Sei ancora tutto intero o ti manca qualche pezzo?” e giù a ridere a crepapelle tutte le volte. Le immersioni successive saranno sempre molto belle ed entusiasmanti, anche perché non ci si può abituare a certe situazioni così ravvicinate ma si impara a goderle con maggiore serenità. Farò anche immersioni naturalistiche in mezzo a foreste incredibili di alcionari, murene, tartarughe ed enormi banchi di pesci ma sempre con qualche squalo, ovviamente.

Visto poi che non sono un subacqueo di primo pelo, che gli sono simpatico e che (probabilmente) ha voglia di giocare con me e di vedere i miei limiti, Neumann decide di farmi immergere nei giorni successivi con delle varianti. Nella prima, ad esempio, vengo inserito in una buca nel corallo esattamente in mezzo all’autostrada degli squali, con il risultato che mi sento Titti in mezzo a 50 gatti Silvestro che mi passano così vicini da toccare frequentemente me e la mia telecamera. Nell’ultima immersione vengo poi portato in fondo alla buca, con gli squali Leuca proprio davanti e sopra di me e il povero ranger Manoa, biologo marino laureatosi a Sidney grazie a Neumann, a proteggere la nostra pelle col suo bastone ricurvo da Gandalf. Nei miei ricordi sarà sempre San Manoa e ho conservato con piacere una sua foto.

Durante l’immersione nella buca raccoglie dalla sabbia, senza dirmelo, un dente perso da un bullshark e poi me lo regala come ricordo dell’esperienza. L’ho bucato e legato con una corda di canapa e da allora lo porto al collo. È ancora affilato come un rasoio e a volte mi punge ma la vita è così, alterna momenti di miele a momenti di dolore. Mi piace considerarlo apotropaico: sento che mi ha protetto durante la malattia. Non dimenticherò mai lo stretto di Beqa e i suoi figiani. È stato un viaggio che ha segnato una svolta nella mia vita: il mio matrimonio, la paura sotto la superficie, l’inizio dell’attività di scrittore, il preludio inconsapevole delle sofferenze fisiche. In pratica, un nuovo inizio.

“Perché lo fai?”, mi hanno chiesto tanti amici. “Perché ami fare una cosa così pericolosa come immergerti sui relitti oppure con gli squali?”. Perché un uomo fa lo speleologo, l’astronauta, il pilota d’aerei, l’alpinista? Perché gli piace, lo fa sentire vivo. Perché è bellissimo vedere questi animali da vicino e imparare a rispettarli senza avere nei loro confronti una paura irrazionale. Perché è meraviglioso guardare oltre l’orizzonte. Perché si vive solo due volte.

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