17 ottobre 2023

Il relitto della “Giuseppe Dezza” che combatté due guerre mondiali

17 ottobre 2023

Dopo l’ingresso dell’Italia nella seconda guerra mondiale, la Giuseppe Dezza venne destinata alla scorta dei convogli diretti verso il fronte nordafricano e fino all’armistizio fu impiegata in ben 174 operazioni di scorta e 27 di caccia ai sommergibili alleati

Dopo l’ingresso dell’Italia nella seconda guerra mondiale, la Giuseppe Dezza venne destinata alla scorta dei convogli diretti verso il fronte nordafricano e fino all’armistizio fu impiegata in ben 174 operazioni di scorta e 27 di caccia ai sommergibili alleati

8 minuti di lettura

Questa è la storia di un battello militare che combatté in due guerre mondiali. Una di quelle navi sconosciute che hanno lavorato con onore, senso del dovere e dedizione verso il loro Paese, senza brillare in eventi saliti agli onori delle cronache. Tranne uno, in effetti, ma per il quale divenne famosa in senso negativo. La nave della nostra storia nacque come cacciatorpediniere Pilade Bronzetti della classe Rosolino Pilo, una delle numerose navi della serie delle “tre pipe”, caratterizzate cioè da tre fumaioli, varate durante la prima guerra mondiale.

Costruita nei cantieri navali Odero fu Alessandro & Co. di Sestri Ponente (GE), aveva 770 tonnellate di dislocamento, era lunga 73 metri, larga 7,3 metri e aveva un pescaggio di 2,7 metri. Era dotata di ben quattro caldaie Thornycroft, che con due set di turbine a vapore Tosi sviluppavano 15.500 hp, una potenza tale da spingere la nave fino alla ragguardevole velocità di 30 nodi. Aveva 69 uomini di equipaggio fra ufficiali, sottufficiali e marinai e il suo armamento iniziale era costituito da 4 cannoni da 76/40 mm, 2 cannoni da 76/30 mm e 4 lanciasiluri da 450 mm.

Varata nel 1915, entrò in servizio il 1° gennaio 1916, in piena Grande Guerra, e venne immediatamente dislocata a Brindisi, con il Basso Adriatico come area delle operazioni. In queste acque operò con compiti di scorta, di caccia antisommergibile, di ricognizione e di attacco contro le unità dell’Impero Austroungarico, dimostrando tenacia e volontà bellica ma senza distinguersi in nessun episodio particolarmente eclatante. Al termine del conflitto venne destinata a compiti di scorta e sorveglianza in Alto Adriatico.

L’episodio di Fiume

Alla fine del 1920 accadde il fattaccio. Gabriele D’Annunzio, alla testa di 2.600 militari rivoltosi (i cosiddetti “legionari fiumani”) si impadronì della città di Fiume, fondando la Reggenza del Quarnaro, con lo scopo di annetterla all’Italia malgrado il veto degli accordi di pace. Il Bronzetti venne quindi destinato con altre navi al blocco navale di Fiume ma nella notte fra il 6 e il 7 dicembre l’equipaggio si ammutinò, catturando gli ufficiali, legandoli e imbavagliandoli, e condusse il cacciatorpediniere a Fiume per metterlo agli ordini del vate: un vero disonore per lo stemma della Marina.

Le vicende si conclusero alla fine del mese, durante il cosiddetto “Natale di sangue“, quando l’esercito regolare attaccò la città con l’ausilio dei cannoni della corazzata Andrea Doria e, in una battaglia durata cinque giorni, costrinse alla resa le forze di D’Annunzio. Il Bronzetti rientrò a Pola e per punizione venne radiato dai ruoli del naviglio militare e poi in essi nuovamente iscritto con un nuovo nome, quello di “Giuseppe Dezza“, un generale e patriota ottocentesco. Dopo lavori di modifica, durante i quali il dislocamento fu aumentato a 900 tonnellate, i sei cannoni vennero sostituiti con cinque da 102/35 mm e furono installati due cannoncini contraerei da 40/39 mm. Nel 1929 la Dezza fu declassata a torpediniera e assegnata alla Scuola Comando di Taranto.

Durante il secondo conflitto

Dopo l’ingresso dell’Italia nella seconda guerra mondiale, venne destinata alla scorta dei convogli diretti verso il fronte nordafricano e fino all’armistizio fu impiegata in ben 174 operazioni di scorta e 27 di caccia ai sommergibili alleati che pattugliavano il Mediterraneo per affondare le navi dirette al fronte cariche di truppe e materiali. Si trattò di un lavoro enorme, sempre irto di pericoli, in un mare pieno di nemici. Il suo lavoro instancabile venne però riconosciuto dai vertici della Marina, tanto da meritare un elogio diretto da parte del Capo di Stato Maggiore.

L’8 settembre 1943, quando venne firmato l’armistizio tra l’Italia e gli Alleati, per ironia della sorte la Dezza si trovava per lavori presso i Cantieri del Quarnaro a Fiume, la stessa città che 23 anni prima l’aveva vista protagonista dell’episodio di ammutinamento. Nella pazzesca confusione di quei momenti frenetici, il comandante Crespi, responsabile del Comando Marina della città, si trovava stretto tra i tedeschi, con i quali il generale Gastone Gambara aveva inopinatamente firmato la resa, e i partigiani jugoslavi di Tito che stavano avanzando. Diede così l’ordine di sabotare le navi approntabili in meno di 3 mesi, come la Dezza, e di far partire ogni natante in grado di navigare entro l’una dell’11 settembre.

Salparono quindi verso le coste italiane otto navi mercantili e quattordici pescherecci carichi di militari in fuga dalla città che stava per cadere in mani nemiche. Alcune di queste imbarcazioni riuscirono a passare, altre vennero catturate dai tedeschi, come la motonave Leopardi, sulla quale si erano imbarcati i marinai della vecchia torpediniera (o buona parte di essi). Gli uomini presero così la strada dei campi di prigionia come “internati militari italiani” e non tutti avrebbero purtroppo rivisto le loro famiglie.

La Dezza venne recuperata e mandata in riparazione a Trieste. Inizialmente i tedeschi pensarono di offrirla allo stato fantoccio croato degli Ustascia di Ante Pavelic ma poi cambiarono idea, decidendo di tenere la nave e di inserirla nella Kriegsmarine. Non venne mai presa in considerazione l’ipotesi di offrirla alla Marina Nazionale Repubblicana, con grande imbarazzo da parte dei vertici di Salò. Durante i lavori di riparazione fu potenziato l’armamento antiaereo, con l’aggiunta di numerose mitragliere, una delle quali in impianto quadrinato da 20/65 mm.

Il 9 giugno 1944 entrò in servizio con equipaggio tedesco, rinominata TA 35 e assegnata alla Seconda Flottiglia di Scorta, con altre vecchie torpediniere ex italiane. Al comando del tenente di vascello Keck, presto sostituito dal parigrado Adolf Dirks, venne destinata a missioni di scorta nelle acque croate. Il 17 agosto 1944 alle 4.58, mentre stava percorrendo il Canale di Fasana, un tratto di mare istriano che si trova a sud di Rovigno ed è delimitato dalle isole Brioni, urtò una mina (probabilmente tedesca), che spezzò in due l’unità, causando la morte di 71 uomini dell’equipaggio sui 95 imbarcati, compreso il comandante.

Il relitto oggi

Esattamente dopo 79 anni mi trovo nella splendida località istriana di Rovigno a caccia di navi affondate. Mi sto appoggiando al Rovinj Sub, che, con grande perizia e simpatia, mi permette di fare immersioni fantastiche sui relitti istriani. Oggi sarà la volta della Giuseppe Dezza. La giornata è magnifica per uscire in immersione: cielo completamente azzurro, sole, mare blu cobalto e nessuna onda. Ci sono 34 gradi ma una leggera brezza marina rende la mattinata piacevolissima. Non conosco ancora in maniera precisa la storia della piccola nave che andremo a vedere, se non a grandi linee.

La profondità massima, che si aggira intorno ai 35 metri, consente di scendere con una miscela nitrox iperossigenata che aumenterà il tempo di fondo e così la sicurezza. È prevista un’immersione di tutto relax, anche perché scenderò in “coppia” con Alessandro e Mauro, due bravi ragazzi bresciani esperti di immersione al lago. La macchina fotografica è pronta e pare scottare dopo le fantastiche immagini scattate il giorno precedente al famoso Baron Gautsch. Durante il briefing ci viene spiegato come il relitto sia stato trovato alla fine degli anni Ottanta del secolo scorso perfettamente conservato, con ancora visibili le strumentazioni della plancia nell’interno della nave, ai tempi facilmente accessibile.

Purtroppo qualche furbo di passaggio, prima dell’intervento protettivo delle Autorità croate, ha portato via molti degli oggetti presenti e oggi non è più possibile effettuare penetrazione in sicurezza a causa del degrado delle lamiere. Il relitto è spezzato in due tronconi. La poppa, ben conservata, si trova in assetto di navigazione ed è pedagnata con una boa. Il troncone di prua, invece, è adagiato sul fianco sinistro e si trova a circa 80 metri di distanza, collegato da una sagola. Con i miei compagni decidiamo così che, se avremo una buona scorta di gas, ci dirigeremo verso di essa, dopo aver segnalato la cosa alle nostre guide subacquee. Dalla superficie si intravede solo il blu ma le condizioni sottomarine continuano ad apparire perfette. Una veloce preparazione e ci tuffiamo verso l’avventura.

Poco dopo l’amara sorpresa: il relitto è avvolto da un fangone pazzesco, tanto che l’esperienza maturata nei nostri laghi non potrà che essere d’aiuto. Tutto è avvolto da una nebbia fittissima che sembrerà alzarsi leggermente solo al termine dell’immersione, permettendomi qualche scatto. Facciamo un primo giro tutto intorno alla Dezza senza nemmeno vedere la sagola che conduce alla prua: inutile e pericoloso mettersi a cercarla. Ci concentriamo così su quello che riusciamo a vedere del relitto, ovvero il cannone di poppa (“sei sicuro che siamo a poppa?”), l’impianto quadrinato antiaereo da 20 mm (la famosa Flak) e delle strane strutture che scoprirò in seguito essere i congegni per il lancio delle bombe di profondità, due tramogge di forma quadrata.

Pesci? Probabilmente sì ma la visibilità è davvero minima e non consente di vedere la vita che sicuramente alberga anche su questo relitto. Per la maggior parte dell’immersione è impossibile fotografare alcunché, poi qualcosa si riesce a fare sulla parte superiore della nave, come se la nebbia stesse lentamente scendendo verso il fondo, almeno un poco. Durante la risalita riesco persino a fare uno scatto nel quale si intravedono il cannone e le canne della contraerea sbucare dalla nuvola.

Peccato, ma capita. Il mare è sempre così: non prevedibile. Un giorno dovrò sicuramente tornare a immergermi in queste acque fantastiche piene di relitti e fare un’altra visita ai resti del Pilade Bronzetti, divenuto poi Giuseppe Dezza e TA 35. Se vi affascinano le storie di mare e di relitti, vi rimando a “Storie sommerse – Esplorazioni tra i relitti“, edito da Il Frangente di Verona.

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