Vela, con Liguria Nautica “dentro” la 151 Miglia-Trofeo Cetilar 2019: l’emozionante racconto di chi l’ha vissuta
Una regata lunga è fatta di paziente osservazione, di studio, di intuizione e soprattutto di relazioni e momenti sociali
Una regata lunga è fatta di paziente osservazione, di studio, di intuizione e soprattutto di relazioni e momenti sociali
Elena Bertè, membro dell’equipaggio di Piki, un Hanse 400e dell’armatore Paolo Maioli (Società Yacht Club Parma), ha partecipato alla decima edizione della regata d’altura 151 Miglia-Trofeo Cetilar. In esclusiva per Liguria Nautica il suo resoconto di questa fantastica avventura.
“Piki, il ‘nostro’ Hanse 400e, sta arrivando alla Giraglia alla velocità di 8,5 nodi. Dopo aver passato la Boa n.3, abbiamo issato il Gennaker, 145 mq di tela, e stiamo viaggiando come delle saette verso lo scoglio dove già hanno preannunciato bonaccia. Il timoniere sta ‘ingrassando’ dalla soddisfazione di portare la barca alla sua velocità limite. Il fragore della scia ci conferma che stiamo macinando miglia su miglia. Diamo un’occhiata al tracking: siamo primi nella nostra categoria“.
“Navighiamo verso la Giraglia nell’ora che intenerisce il cuore. Il sole è una palla rotonda arancione che lentamente si sta immergendo nel mare. Ci vuole dare il tempo di cogliere ogni momento di questa giornata che se ne sta andando e di ammirare la splendida immagine della goletta Freya che si sovrappone ad esso. Un’immagine da cartolina. Un vero privilegio. Il primo regalo di questa regata. Tra poco andrò in cuccetta per il mio turno di riposo e all’una di un altro giorno sarò di nuovo qui in coperta”.
“Una regata lunga si potrebbe descrivere con il ritmo dei turni. Tre ore di manovre e falchetta, poi il riposo, un boccone al volo, magari un tè o una barretta e poi a dormire, dove si può, dove qualcuno ha lasciato la branda ancora calda, mezzi svestiti ma sempre pronti per uscire a dare una mano se serve. Quando torno in coperta è buio. È una notte senza luna ma con molte stelle. Si vede chiaramente il faro della Giraglia, che con i suoi strani effetti di luce ci inganna, quasi come se uno stormo di uccelli ci stesse volteggiando attorno”.
“Come previsto siamo nella bonaccia: adesso comincia il bello. In una regata lunga la cosa più difficile a cui abituarsi non è il sonno, non è la fame o la mancanza di un piatto caldo, il non lavarsi o dormire scomodi. No, la cosa più difficile è affrontare una bonaccia senza poter prevedere per quanto tempo ti terrà in scacco. Diventa una prova di resistenza psicofisica, un esercizio di resilienza. È una sfida che non si può mollare, seduti in falchetta, abbracciati alla draglia, come se quello fosse da sempre il tuo mondo”.
“Passano le ore ma davanti ho sempre lo stesso paesaggio. Ad un certo punto però, non so neanche più esattamente quando e come, le cose sono cambiate. Il vento si percepisce con ogni senso ancora prima di arrivare. Alziamo le orecchie, gli occhi e il naso, una piccola regolazione, un cambio di peso e ricominciamo a vedere quella piccola scia formarsi dietro alla barca. Una piccola scia che conforta. Si va!”.
“Una regata lunga è fatta di paziente osservazione. Lo sguardo si muove costantemente intorno a cercare dei segnali. Si guardano le vele, i filetti e i numeri che cambiano continuamente negli strumenti all’albero. Si sbircia il tracking per spiare gli avversari, si osserva il timoniere per capire se è stanco, si controlla la rotta e i riferimenti a terra, se non è buio. E poi si guarda il viso dei propri compagni. Siamo a circa metà delle miglia che dobbiamo percorrere. Dietro abbiamo Macinaggio, davanti a sinistra la Capraia, poi l’Elba, in fondo si vede la sagoma di una isola bellissima, Montecristo. Ma Pianosa no, lei sta nascosta, così piatta, ma sappiamo bene la sua posizione”.
“In questa regata non si è mai soli. C’è la terra delle isole e ci sono le altre barche che, sembra assurdo, in tanta acqua si cercano per stare vicine. Decidiamo di percorrere la rotta ideale e di passare poco lontano dalla costa sud dell’Elba. La sera sta calando e il vento rinforza. Facciamo un gesto coraggioso. Decidiamo di affidarci ancora una volta al nostro Armando, così è stato soprannominato il Gennaker, anche se è buio, anche se siamo coscienti di prenderci dei rischi ma ce la sentiamo. E soprattutto non vogliamo mollare il nostro vantaggio. Il tracker ci dice che ci stiamo giocando il secondo o terzo posto nella classifica di categoria. ‘Oh, andremo mica a podio, t’immagini?’, dice qualcuno. Cavoli, questa sì che sarebbe una sorpresa”.
“Paolo, al timone, porta la barca come se fosse un purosangue arabo. Siamo tutti in coperta e stiamo facendo saltare tutti i turni di riposo perché abbiamo l’adrenalina a livelli insoliti. Ci rendiamo conto che ci stiamo spingendo al limite ma questa cosa ci eccita. Siamo in allerta, consapevoli che basta una piccola disattenzione per fare dei danni. Quando siamo in prossimità del cancello delle Formiche, ci ripetiamo mille e mille volte la sequenza della manovra e teniamo costantemente sott’occhio le lunghezze per decidere quando ammainare. La manovra è perfetta, anche se qualcosa dobbiamo averla calcolata male visto che quasi centriamo la barca del Comitato di Regata ancorata in prossimità delle boe del cancello. Hanno dovuto gridarci ‘poggia, poggia’ una serie di volte…”.
“Una regata lunga è fatta di studio ed intuizione. Navigare con il buio in una zona sconosciuta dà lo smarrimento. Bisogna stare vigili e attenti ma, purtroppo, l’adrenalina che ci ha sorretto in quest’ultima cavalcata, ci sta lasciando. Ci rendiamo conto di non essere più così lucidi. Stiamo facendo le ultime miglia di bolina per arrivare a Punta Ala. Il vento sta calando, questa non è la nostra andatura migliore. Ci lasciamo spegnere poco a poco e così, senza quasi rendercene conto, stiamo perdendo tutto il vantaggio accumulato nelle ultime ore. È arrivata l’alba e noi stiamo arrancando per arrivare alla linea di arrivo. Che è là ma sembra sempre così lontana. Povero equipaggio di Piki, che ormai non sogna altro che una buona colazione e un buon sonno”.
“Arriviamo anche noi alla fine, alle 6:51 di sabato 1 giugno, dopo 38 ore e 37 minuti di navigazione, ottavi di categoria. Una regata internazionale come la 151 Miglia è fatta anche e soprattutto di relazioni e di momenti sociali. Noi non ce ne siamo persi uno, come da nostra tradizione, apprezzando quel senso di ospitalità che solo la nostra Italia sa dare. Siamo stati accolti dall’esuberante simpatia dello staff dello Yacht Club Marina di Pisa, dall’Accademia Navale di Livorno nella sua suggestiva sede e dall’eleganza e dallo stile unico dello Yacht Club di Punta Ala”.
“E proprio durante la cena allo YC Punta Ala, mentre eravamo seduti al nostro tavolo, un gruppo di ragazzi si è avvicinato guardando incuriosito le scritte sui giubbotti della nostra divisa, come cercando qualcosa, forse una conferma. ‘Sì, siamo l’equipaggio di Piki, perché?’. ‘Noi siamo quelli di Tortuga e vi abbiamo seguito sul tracking per tutta la regata!’. E così c’è stato subito uno scoppio di allegria con quei simpatici ragazzi che hanno concluso la regata al primo posto nella loro categoria (che poi è anche la nostra)”.
“Loro adesso andranno alla Giraglia, noi abbiamo deciso di no per quest’anno ma li seguiremo e faremo il tifo per loro. Forza ragazzi! Alle regate lunghe ed internazionali succede anche questo: che ci si conosca, ci si incontri, ci si riveda. E che ci si commuova guardando i fuochi di artificio dalla spiaggia o le immagini di questi momenti mentre scorrono sul maxi schermo. Alla prossima!”.
Elena Bertè per il team Piki
Argomenti: Daily Nautica