11 settembre 2012

SPECIALE VELA – I trucchi del velaio. Intervista a Roberto Westermann

11 settembre 2012

Il velaio spesso è uno dei principali artefici del successo di un velista. Marco Nannini, con le vele del ligure Westermann, si è piazzato secondo alla Global Ocean Race, nonostante disponesse di un budget ridotto all'osso. Leggete i "trucchi" adottati da Westermann per garantire una maggiore durata alla sue vele e fatene tesoro!

Il velaio spesso è uno dei principali artefici del successo di un velista. Marco Nannini, con le vele del ligure Westermann, si è piazzato secondo alla Global Ocean Race, nonostante disponesse di un budget ridotto all'osso. Leggete i "trucchi" adottati da Westermann per garantire una maggiore durata alla sue vele e fatene tesoro!

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La Liguria è una terra di velisti e di velai. Questi ultimi, un po’ sottovalutati, sono spesso gli artefici di successi importanti. Qualche tempo fa ho avuto l’occasione di intervistare, per il Giornale della Vela, Roberto Westermann, che ha realizzato le vele con le quali Marco Nannini è arrivato secondo all’ultima edizione della Global Ocean Race. Westermann, lavagnese doc, mi ha svelato un sacco di accorgimenti e consigli utili che, decontestualizzati dall’universo delle regate intorno al mondo, possono essere di aiuto anche per la navigazione in crociera. Ecco l’intervista integrale (dal sito del Giornale della Vela):

 

«Navigare per 30 mila miglia intorno al mondo, affrontando tempeste, calme piatte e burrasche con lo stesso gioco di vele, a molti sembra proprio un’impresa. Ecco perché il nostro Marco Nannini può considerarsi doppiamente soddisfatto insieme al suo velaio e amico Roberto Westermann. Nannini infatti ha concluso la Global Ocean Race al secondo posto senza praticamente nessuna rottura alle vele. Co-artefice di questo successo è appunto Roberto Westermann, titolare della Di-Tech Sailmakers di Lavagna (Ge), esperto velista con il vizietto delle traversate in solitario (bronzo alla Ostar 2009), che ha seguito la preparazione del Class 40 di Nannini, (nostro Velista dell’Anno 2012). Lo abbiamo incontrato per fargli una domanda tanto banale quanto essenziale. Ma quali sono i segreti per preparare una barca per un giro del mondo evitando rotture?

 

Ecco l’impresa di Nannini raccontata da Roberto Westermann: “Alcuni main sponsor hanno dato forfait – lasciandoci, a poco tempo dalla partenza, con il 70% di fondi in meno rispetto al budget preventivato. Il nostro programma prevedeva di cambiare vele e manovre ad ogni tappa, ma con i soldi che avevamo a disposizione, era pura utopia”. Non è un caso che Nannini abbia ribattezzato la sua barca ‘Financial Crisis’. “Abbiamo tagliato ogni costo possibile, cambiando strategia. Avremmo cambiato le specifiche delle vele e delle manovre in modo da spendere di più, ma una volta sola, cercando il miglior compromesso tra affidabilità e prestazioni”.

 

LA SPENDING REVIEW DI WESTERMANN

Primo problema, le vele: tempo e denaro per randa e solent nuovi non ce n’era: “Abbiamo deciso di utilizzare la randa di 75 metri quadri con cui Marco ha partecipato alla Route du Rhum e al Giro d’Irlanda e di Gran Bretagna. L’ho realizzata in membrana incollata, a taffetà interno esclusivamente in fibra aramidica di kevlar tinta di nero. Non abbiamo optato per il classico colore dorato perché il nero filtra ulteriormente i raggi UV: un po’ come accade per i cavi elettrici, che si rovinano all’esterno ma il filo interno resta in buone condizioni. Sapevamo che le vele sarebbero state esposte agli elementi e alla luce per mesi. La randa, full-batten e square top (testa quadra), aveva tre mani di terzaroli più una quarta che ne avrebbe ridotto la superficie fino a renderla uguale a una randa di cappa (anche nel colore: abbiamo tinto la penna in arancione, come stabilisce il regolamento per favorire la visibilità), di norma obbligatoria sui Class 40 ma non in occasione della GOR. Il vantaggio è evidente: meglio ridurre che ammainare e ingarrocciare una nuova vela in condizioni estreme”. Anche il Solent di 40 mq (una vela simile al fiocco), a bassa sovrapposizione, è stato realizzato con la stessa tecnica ma “senza stecche tubolari in vetroresina come quelle applicate sulla randa: mettere le stecche verticali al fiocco avrebbe significato, a ogni tappa, doverlo portare dal velaio per far riparare le tasche. Abbiamo rinunciato a 2 mq di tela, ma non è mai stato tolto dallo strallo! Non l’ho tagliato alto sulla base – come di solito si fa per impedire che le onde in coperta lo spancino rallentando la barca – perché si tratta di un fiocco che, con più 15 nodi, viene rollato e sostituito dalla trinchetta”.

 

La trinchetta nelle lunghe navigazioni assume enorme rilevanza: “Un’altra ‘reduce’ dalla Route du Rhum: era la trinchetta in dacron pannellato in orizzontale, dotata di una mano di terzaroli e armata su uno strallo amovibile in tessile. Anche in questo caso, è meglio ridurre tela piuttosto che ammainare e montare la tormentina (che comunque va portata a bordo per regolamento)”.  E per quanto riguarda le vele per le andature portanti? “Avevamo un gennaker armato in testa e uno frazionato, entrambi in Nylon radiale, realizzati in modo tale che fosse semplice metterci le mani per effettuare riparazioni (nelle lunghe metti in conto di strappare questo tipo di vele, quindi devi progettarle in modo tale che ogni velaio sparso per il mondo possa ripararle con facilità). Le abbiamo sovradimensionate per poter riparare e riciclare il materiale ad ogni tappa”. Completavano il set il cosiddetto ‘Ciccio’s Code’, una sorta di “Code 0” in membrana senza sovrapposizione, sviluppato assieme a Franco ‘Ciccio’ Manzoli, unico italiano ad aver vinto la Ostar, ideale per le bonacce e una vela a metà tra un “Code 0” e un Drifter.

 

I TRUCCHI SULLE MANOVRE

Westermann si è occupato anche dell’ottimizzazione delle manovre di bordo, sfruttando la collaborazione con Armare, che ha fornito l’attrezzatura di coperta e le cime per drizze e scotte: “Ogni manovra aveva calza e anima idonee, a seconda della sua funzione. Spesso un’unica cima aveva calze differenti in diverse porzioni della manovra: spectra nei punti più critici e kevlar o cordura in prossimità dei winch”. Tutte le drizze sono state concepite 5 metri più lunghe del dovuto: “Le tappe erano 5, per cui ad ogni scalo tagliavamo un metro, mettendo sotto sforzo una nuova porzione di cima”. La maggior parte dei bozzelli, a bordo di Financial Crisis, è stata sostituita con delle redance in modo da sfruttarne l’attrito sul colpo d’onda, sgravando la pressione sugli stopper».

 

Eugenio Ruocco

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