26 aprile 2012

Intervista: la ricetta di Nicola Bisso per il rilancio del porto

26 aprile 2012

Commercialista, candidato alle comunali di Genova, appassionato di nautica. In questa nostra intervista Nicola Bisso racconta la sua ricetta per lo sviluppo del porto e della città: trasferimento delle aree industriali a ponente e creazione di un waterfront che vada dal Porto Antico alla Fiera, improntato al diporto e al turismo

Commercialista, candidato alle comunali di Genova, appassionato di nautica. In questa nostra intervista Nicola Bisso racconta la sua ricetta per lo sviluppo del porto e della città: trasferimento delle aree industriali a ponente e creazione di un waterfront che vada dal Porto Antico alla Fiera, improntato al diporto e al turismo

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Genovese, padre di tre figli, Nicola Bisso oggi è un affermato commercialista, che non nasconde la sua passione per la politica (è candidato alle comunali di Genova) e per il diporto. Dopo il servizio militare, sottufficiale in Marina presso la Capitaneria di Porto di Genova, ha iniziato a lavorare alle dipendenze di un’impresa privata, conseguendo contemporaneamente l’abilitazione di commercialista e revisore legale. Successivamente, si è laureato in Economia Aziendale presso la facoltà di Economia e Commercio dell’Università di Genova. Lo abbiamo intercettato in uno dei suoi (pochi) momenti liberi per fare una chiacchierata sul rapporto futuro tra Genova e il mare: ecco alcune delle sue ricette per il rilancio del porto, sia dal punto di vista turistico che industriale.

 

Dott. Bisso, Genova è una città dalla vocazione marinara. In che modo, secondo lei, può recuperare la sua tradizione portuale?

«Il legame tra Genova e il mare è intrinseco. Il porto, in passato, ha rappresentato la risorsa principale, e deve tornare ad esserlo, seppur in un modo diverso. C’è bisogno di una maggiore integrazione con la città. Oggi Comune e Autorità Portuale operano su binari separati: credo che, a livello turistico, la situazione potrebbe essere migliorata abbattendo le barriere che ancora esistono tra porto e città, fatta eccezione per quelle che proteggono le zone portuali ancora interessate da traffici di tipo commerciale».

 

In concreto, quale sarebbe la sua proposta?

«Innanzitutto, rendere più omogeneo il porto nelle sue funzioni: per esempio, concentrare il settore produttivo a ponente, nelle aree attigue a Fincantieri per intenderci, che urbanisticamente sono state concepite per ospitare strutture industriali. Se, ad esempio, trasferissimo le attività del molo Giano e i cantieri Mariotti a ponente, si aprirebbe la possibilità di prolungare il waterfront a levante, magari fino in Fiera, creando di fatto una zona potenzialmente importante dal punto di vista turistico».

 

Due poli in due diverse zone della città: uno di stampo turistico-diportistico in centro, l’altro produttivo a ponente. Quali sarebbero i vantaggi?

«Si pensi ad esempio alla creazione di nuovi posti barca: un’operazione che produrrebbe due effetti positivi. Un maggiore indotto proveniente dal diporto nautico e un calo dei costi di ormeggio, derivanti da un’offerta di posti barca allargata. D’altro canto, partendo dal terminal traghetti in direzione ponente, io vedrei bene il distretto industriale: riqualificando (con il ribaltamento a mare di Fincantieri, che dovrà essere eseguito anche in caso di una riconversione dello stabilimento, e il recupero delle aree abbandonate, come quelle di Multedo) e circoscrivendo l’area commerciale riusciremmo a preservare meglio lo stato di salute delle nostre acque, diversamente dalla situazione attuale in cui l’inquinamento del mare avviene a macchia di leopardo».

 

Si tratterebbe di una svolta radicale, forse utopica in una città “sorniona” come Genova…

«Mi ricordo che quando frequentavo ragioneria, ci portarono a vedere i Magazzini del Cotone: era il 1982 o l’83. All’epoca nell’area c’era ancora attività portuale, ma la scelta di lì a poco di riqualificare la zona a scopo turistico, coinvolgendo anche nomi importanti dell’architettura, si è rivelata vincente. Si tratterebbe di estendere l’idea “fronte del porto” fino alla Fiera, creando contemporaneamente una commissione di studio che si occupi delle aree industriali, interfacciandosi con le infrastrutture già esistenti (il polo tecnologico degli Erzelli, ad esempio) e quelle future, come la gronda e il terzo valico. Un’integrazione tra hi-tech, produzioni industriali, riparazioni navali in grado di renderci più competitivi sul mercato internazionale».

 

Parliamo della Fiera di Genova. C’è qualcosa, secondo lei, che potrebbe essere migliorato?

«Siccome la Fiera nasce come polo espositivo, e non può vivere di solo Salone Nautico, dovremmo cercare di recuperare alcune importanti mostre e manifestazioni che in passato erano ospitate negli spazi fieristici e che poi si sono spostate altrove. D’altro canto, in maniera complementare, si potrebbe pensare di aprire la Fiera – oltre che a un maggior numero di eventi di tipo sportivo – ai turisti e alle famiglie. Soprattutto nel periodo tra giugno e agosto: perché non creare all’interno dell’area uno spazio per i camper (le infrastrutture e gli allacci sono già presenti), e dare la possibilità a coloro che arrivano in città con una barca a rimorchio, di utilizzare gli scali per metterla in mare?».

 

Tassa di possesso sulle imbarcazioni e liberalizzazione del charter. Cosa ne pensa?

«Credo che la possibilità di affittare la propria barca, per un privato, possa essere una buona soluzione per ammortizzare i costi del posto barca: contemporaneamente, ne trarranno vantaggio anche le società di charter, perché vedranno visibilmente aumentato il numero delle barche date a loro in gestione. Pagare il 20% sugli utili derivanti dal noleggio non professionale inferiori ai 30 mila euro, forse, è troppo: per far partire più velocemente l’attività, probabilmente il 10% di tassazione sarebbe stato più adeguato. Per quanto riguarda la tassa di possesso – fortunatamente non più imposta sui diritti di stazionamento – ritengo che vada a colpire soprattutto la classe media, perché non possiamo definire ricchi coloro che hanno barche dai 10 ai 15 metri. Se fossi stato nel legislatore, avrei optato per una maggiore progressività: 25 mila euro annui per una barca al di sopra dei 64 metri è davvero poco».

 

Eugenio Ruocco

 

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