Sottomarino Titan: sogni e speranze perduti sul fondo dell’oceano
Dalle profondità degli abissi solo silenzio: una tragedia che si poteva evitare
Dalle profondità degli abissi solo silenzio: una tragedia che si poteva evitare
Silenzio. È tutto ciò che giungeva dagli abissi profondi, da quando domenica 18 giugno alle 9:45 (ora locale) si erano perse definitivamente le comunicazioni con il sommergibile Titan.
Quest’ultimo, di proprietà della OceanGate Expeditions, azienda statunitense specializzata nella costruzione di sommergibili, era protagonista, assieme ai suoi 5 “privilegiati” passeggeri, di una spedizione tanto rischiosa quanto straordinaria: l’immersione estrema alla scoperta del relitto del Titanic, il transatlantico britannico classe Olympic affondato dopo la collisione con un iceberg nella notte del 15 aprile 1912 e adagiato sul fondale dell’Atlantico settentrionale ad una profondità di circa 3.800 metri, 900 miglia a est di Cape Cod, nel Massachusetts.
La missione era iniziata la mattina dello stesso giorno. La durata prevista, quella massima, era di 96 ore: quattro giorni, tanti quanto l’autonomia d’aria all’interno del batiscafo. Conseguentemente, la risalita sarebbe dovuta avvenire entro le nostre ore 14 di giovedì 22 giugno. Una stima auspicabilmente prudenziale, perché il consumo d’aria è direttamente proporzionale all’uso che se ne fa e alle condizioni di stress, ipotizzabili in un contesto simile, che portano un essere umano a respirare più velocemente.
Tanti numeri, tanti dati, informazioni preziose e necessarie quando si tratta di una spedizione così delicata, così al limite del possibile che per molti proprio fattibile non era. Perché di interrogativi senza risposta, a quanto pare, ce n’erano e ce ne sono ancora molti, forse troppi, al punto da definirlo un “azzardo“, piuttosto che un’operazione rischiosa. Ed effettivamente è stato poi annunciato che il Titan era imploso e i suoi passeggeri morti. Ma andiamo per gradi, per avere maggiore contezza dei fatti e una visione più ampia di quanto accaduto.
Il sommergibile Titan
Il Titan è un sommergibile prodotto e gestito dalla OceanGate Expeditions. Realizzato in fibra di carbonio e titanio per favorire resistenza e leggerezza, è lungo 6.70 metri e largo circa 2 metri e mezzo. Può ospitare 4 passeggeri, oltre al pilota, in un ambiente riscaldato, poiché a livello del fondale si registrano temperature molto vicine allo zero. Nessun comfort all’interno: fatta eccezione per un indispensabile bagno separato da una tenda, non c’è altro, neppure le sedute! Diversamente da un sottomarino, questo tipo di mezzo non gode di una propulsione propria ma necessita di una nave di supporto (per il Titan era la Polar Prince di OceanGate) che lo trasporti al sito stabilito per l’inizio dell’immersione.
Qui, partendo da una piattaforma, inizia la sua discesa, facilitato da zavorre che verranno abbandonate solo alla fine del viaggio. Raggiunto l’obiettivo, che in questo caso erano i 3.800 metri circa di profondità, il Titan può navigare in assetto neutro con l’ausilio di 4 propulsori elettrici Innerspace 1002. Al termine dell’inabissamento, una volta raggiunta la superficie, il sommergibile torna alla piattaforma per l’attracco, per poi essere issato nuovamente sulla nave. Quest’ultima dialoga con il batiscafo per tutto il tempo, a mezzo di sistemi acustici che “rimbalzano” il segnale avanti e indietro, dando aggiornamenti costanti sull’esatta posizione. Se si verificano determinate circostanze, è possibile anche inviare brevi messaggi di testo attraverso un modem acustico.
Al suo interno il Titan è provvisto di una telecamera subacquea 4k, un sonar e uno scanner laser 2G, a cui si aggiunge una potente illuminazione esterna da 40.000 lumen, indispensabile per vedere qualcosa attraverso il grande oblò a murata, visto che il relitto del Titanic giace in un ambiente buio, lontano dalla luce del sole, che, come alcuni sapranno, penetra riducendosi gradualmente fino ai 200 metri di profondità, dove inizia la cosiddetta “zona afotica“.
La spedizione e il tragico epilogo
A bordo erano presenti personalità non convenzionali: il pilota francese Paul-Henry Nargeolet, esploratore appassionato ed esperto del Titanic e già a capo di numerose spedizioni sul suo relitto, l’ingegnere aerospaziale Stockton Rush, Ceo e fondatore di OceanGate, l’uomo d’affari pakistano Shahzada Dawood e suo figlio Suleman e, per concludere, l’avventuriero miliardario britannico Hamish Harding, che lo scorso anno è volato nello spazio con Blue Origin, la società di Jeff Bezos. Ciascuno dei passeggeri sembra aver pagato ben 250.000 dollari americani per prendere parte a questa avventura ed essere tra i pochi esseri umani a osservare quanto resta del maestoso e dannato Titanic.
E c’erano quasi riusciti. Chissà quante emozioni e che sentimenti contrastanti hanno provato quando il Titan è scivolato sotto la superficie dell’acqua. Eccitazione e paura, gioia e ansia, meraviglia e forse un pizzico di claustrofobia. Di lì a poche ore avrebbero visto la nave dei loro sogni e della loro ossessione. Ma così non è stato. Dopo i primi 120 minuti di immersione (o giù di lì, perché le informazioni sono ancora poco chiare) le comunicazioni si sono bruscamente interrotte. A nulla sono valsi i tentativi di ripristinarle da parte dei tecnici a bordo della Polar Prince. A nulla sono servite, stando alle ipotesi degli esperti, le sofisticate strumentazioni di bordo, tra cui il sistema integrato di monitoraggio in tempo reale dello stato dello scafo durante la discesa, il Real Time Hull Health Monitoring (RTM), fiore all’occhiello del Titan.
Grazie a dei sensori acustici capaci di analizzare gli effetti della variazione della pressione sulla struttura, che a simili profondità arriva ad essere quasi 400 volte maggiore rispetto alla superficie, questa tecnologia avrebbe infatti dovuto preservare l’integrità del mezzo e l’incolumità delle persone a bordo, segnalando tempestivamente eventuali anomalie al fine di interrompere prontamente l’immersione. Perché, ironia della sorte, secondo le autorità, il Titan è stato distrutto proprio da una “implosione subacquea catastrofica“, cioè un improvviso collasso verso il suo interno, evento compatibile con i suoni rilevati da strumenti top secret della Marina degli Stati Uniti nelle ore immediatamente successive all’inizio della spedizione.
Un’implosione che voci esperte hanno definito “incredibilmente rapida”, quasi istantanea, e impossibile da essere realizzata dal cervello umano: i passeggeri sarebbero quindi morti sul colpo. L’evento è stato quasi sicuramente generato dall’enorme pressione a cui il battello è stato sottoposto in profondità. Una pressione alla quale, secondo le dichiarazioni di David Lochridge, il Titan non poteva resistere. L’ex direttore delle operazioni marittime della OceanGate fu licenziato e poi citato in giudizio proprio per aver sollevato e poi divulgato le sue perplessità sulla sicurezza del sommergibile, affermando infatti che il Titan era stato progettato per reggere la pressione solo fino a una profondità di 1.300 metri. Neppure questo è bastato ad impedire la tragica impresa.
Ci sono voluti giorni, dall’interruzione delle comunicazioni con il Titan, per mettere a fuoco quanto accaduto, tra mille ipotesi e congetture. Giorni in cui si sono contate le ore e le scorte d’aria disponibili, sperando in un ritrovamento e poi nel miracolo. Giorni in cui mezzo mondo si è attivato per cercare di salvare, in una disperata corsa contro il tempo, gli audaci partecipanti di un’impresa che oggi, alla luce dei fatti emersi, possiamo definire folle. Fino al drammatico epilogo, quando le autorità hanno dichiarato la morte dei cinque passeggeri e i sofisticati mezzi coinvolti nelle ricerche hanno finalmente identificato i resti del Titan sul fondale oceanico, nei pressi di quelli del Titanic.
Riflessioni
Tutta questa vicenda ha suscitato non poco scalpore. Da più una settimana non si parla d’altro e l’opinione pubblica è divisa. Da un lato la solidarietà di coloro che hanno provato ad immedesimarsi sia nell’incubo delle povere anime in trappola in una scatola a 4.000 metri di profondità che nella disperazione dei loro cari. Dall’altro le polemiche di quanti non hanno né compreso né accettato gli sforzi intrapresi e le energie impiegate per il salvataggio di cinque miliardari che si sono imbarcati volontariamente in una missione potenzialmente suicida, pagando profumatamente per questa impresa: perché tanto chiasso per loro mentre nessuno si cura delle migliaia di migranti disperati che muoiono ogni settimana? È questo che si domandano in molti sui social.
Ma sono tante le riflessioni che si potrebbero e si dovrebbero fare. Perché questa non è solo la storia del fallimento della missione del Titan. Cosa ha spinto queste persone a ignorare i seri rischi di una spedizione per andare in visita al cimitero del Titanic? Non è stata una scelta impulsiva. Hanno compilato un contratto che enuncia chiaramente e più volte l’ipotesi di morte. Il fatto che il Titan avesse già avuto problemi durante precedenti immersioni era di pubblico dominio. Come il fatto, citato anch’esso, della liberatoria a firma degli aspiranti passeggeri, che questo natante non era stato approvato o certificato da alcun organismo di regolamentazione.
Ci si domanda anche come un padre, ricco a tal punto che forse sulla terraferma aveva già fatto tutto quello che desiderava, possa aver trascinato un figlio a bordo di un sommergibile ufficiosamente poco sicuro. Un figlio di 19 anni che questa vacanza proprio non la voleva fare perché aveva paura… e aveva ragione purtroppo. Come può l’ossessione per una dannata nave dei sogni portare alcuni a prendere decisioni oltre la ragionevolezza? Forse noi non possiamo capire. Noi, che ancora non troviamo risposte alle sfide folli lanciate sui social, capaci di portarsi via giovani vite. Noi, che non ci rassegniamo alle continue morti dei profughi nei nostri mari, gli stessi mari che sanno regalarci tanti momenti felici. Noi, che sappiamo piangere per un clochard deceduto a pochi passi da un supermercato per mano di due sedicenni, che lo hanno ucciso senza un perché. Noi, che non comprendiamo come tutto questo possa accadere.
Non ci sono risposte alle disgrazie, men che meno a quelle che si potrebbero evitare. E nel caso del Titan le spiegazioni sono finite laggiù, in fondo all’oceano, dove giacciono 5 persone e i resti di un sommergibile, accanto a tutte quelle anime affondate più di cento anni fa insieme al Titanic. Quante cose taciute anche allora, quante domande non hanno mai trovato e mai troveranno risposta, che ancora oggi restano lì, sepolte sotto un muro di 4 chilometri d’acqua da cui proviene solamente silenzio.
Fonte foto: https://www.facebook.com/oceangatetitan
Priscilla Baldesi
Argomenti: Daily Nautica