La famiglia che fotografava i naufragi

Dal 1860 al 1997, per quattro generazioni, John Gibson e i suoi discendenti hanno immortalato i disastri navali della Cornovaglia

La famiglia che fotografava i naufragi

La famiglia che fotografava i naufragi

Dal 1860 al 1997, per quattro generazioni, John Gibson e i suoi discendenti hanno immortalato i disastri navali della Cornovaglia

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John Gibson aveva due grandi passioni: il mare e la fotografia. Per tutta la vita aveva lavorato come marinaio nei grandi vascelli che facevano la spola tra la sua nativa Inghilterra e il continente americano. Arrivato alla pensione, scelse come residenza una casa vicino al mare e si stabilì con la sua famiglia in una delle isole Scilly. Conosciute nel nostro Paese come le Sorlinghe, costituiscono un arcipelago di 58 isole ed isolette a circa 45 chilometri dalla punta sud occidentale dell’Inghilterra, la Cornovaglia. 

All’epoca dei grandi velieri, che era poi quella in cui visse il nostro marinaio John Gibson, quel tratto di mare, caratterizzato da forti correnti e violente burrasche, costituiva un vero pericolo per i naviganti che, non di rado, finivano per schiantarsi con i loro vascelli contro le insidiose scogliere che emergevano dai fondali. Si tratta in altre parole, di una zona in cui i naufragi erano frequenti. E sono proprio le navi naufragate lungo la costa delle sue isole ad attirare l’attenzione di Gibson, che decise di investire la sua buonuscita di marinaio nell’acquisto di una macchina fotografica e aprire uno studio di fotografo. Era il 1860.

Negli anni successivi, John Gibson si specializzò nel ritrarre navi naufragate sulle scogliere delle isole Scilly. In alcune interviste rilasciate ai giornali locali, racconta di come si inerpicasse nelle alte scogliere dell’arcipelago trascinando l’attrezzatura fotografica che, all’epoca, era tutt’altro che maneggevole considerato che, oltre alle lastre ad al cavalletto, comprendeva anche una camera oscura portatile! John Gibson voleva essere il primo a raggiungere il luogo del disastro. In barca o a piedi, affrontava senza risparmiarsi tempeste e mare grosso, per fotografare i relitti delle navi prima che il mare li inghiottisse. 

Nel 1869, nell’arcipelago arrivò il telegrafo e John Gibson divenne il primo corrispondente locale dei giornali londinesi ai quali forniva notizie dettagliate sui disastri ai quali aveva assistito. Il nostro marinaio fotografo immortalava anche le operazioni di soccorso e, in qualche caso, anche gli atti di pirateria della popolazione locale che saccheggiava i relitti spiaggiati. Ben presto nelle sue scorrerie fotografiche cominciarono ad accompagnarlo i due figli, Alexander ed Herbert, che lo aiutavano a corredare ogni foto con notizie sul disastro ed interviste ai superstiti e ai soccorritori. John, Alexander ed Herbert possono in questo modo vantarsi di essere stati probabilmente i primi reporter di foto giornalismo della storia. 

Il lavoro dei Gibson proseguì poi grazie a James, figlio di Alexander e nipote del capostipite John, quindi al figlio di lui, James, e, ancora, alla figlia di James, Sandra, l’ultima rampolla della dinastia di fotografi, che scattò la sua ultima foto di un naufragio nel 1997. In poco meno di 150 anni di attività, John e i suoi discendenti, per quattro generazioni, hanno immortalato almeno 200 naufragi e consegnato alla storia della marineria oltre 1.800 fotografie. Immagini in bianco e nero, elaborate con le tecniche del loro tempi, passando dal collodio umido al nitrato.

Qualche mese fa, Sandra Gibson, oramai una signora avanti con l’età, ha deciso di vendere l’intera collezione al National Maritime Museum di Londra, che si è preso l’impegno di provvedere al restauro del materiale fotografico, messo in serio rischio di deterioramento dal trascorrere degli anni. Non aveva più senso proseguire la tradizione di famiglia. Oramai i naufragi, anche nella costa della Cornovaglia, sono diventati rari e le fotografie, ahimè, le scatta il primo che passa con il suo cellulare. Non serve neppure correre all’ufficio del telegrafo per mandare per primi la notizia ai giornali col codice Morse. 

La storia dei Gibson rimane comunque una di quelle che fa piacere raccontare e leggere, e molti autori, come Daphne du Maurier nel suo “Taverna alla Giamaica”, si sono lasciati ispirare da questa strana famiglia che ha immortalato 150 anni di naufragi a testimonianza di un’epoca che non c’è più.

 

Nell’immagine di copertina una foto dell’Archivio Gibson risalente al 1911 che ritrae il veliero norvegese Hansy naufragato sulle scogliere orientali della Cornovaglia