Sulla rotta di Ulisse: alla scoperta di Itaca
Itaca è un’isola dedicata ai velisti e a chi è alla ricerca di tranquillità, per godere di un soggiorno all’insegna del mare, del relax e di ottimi ristoranti di pesce
Itaca è un’isola dedicata ai velisti e a chi è alla ricerca di tranquillità, per godere di un soggiorno all’insegna del mare, del relax e di ottimi ristoranti di pesce
Noi italiani siamo uomini del Mediterraneo. Anche se viviamo lontani dal mare, come chiudiamo gli occhi ne odoriamo i profumi, sentiamo le onde infrangersi sugli scogli, il rumore della risacca. Quando pensiamo ad esso ci viene in mente l’estate, il caldo, una distesa blu sulla quale passano le vele, la sabbia morbida e calda, la terrazza di un ristorantino dove il cameriere ci sta portando un piatto di triglie, dolci e profumate, mentre i grilli friniscono nel giardino di fronte. Il motivo è semplice: questo mare è dentro il nostro Dna, la nostra cultura ne è permeata, insieme all’ulivo, ai campi di grano e alle reti da pesca.
L’isola di Itaca
Se facessimo una classifica dei luoghi che meglio esprimono quest’anima, nelle prime posizioni non potrebbe mancare Itaca, l’isola greca di Ulisse. Quando viaggiamo, per terra e per mare, ci sentiamo un po’ come lui, con il sale addosso e le avventure oltre l’orizzonte. L’isola, però, esiste davvero e non si trova lontano dall’Italia: fa parte, infatti, dell’arcipelago delle Isole Ionie con Corfù, Lefkada, Zante e Cefalonia. Fra queste è quella meno frequentata dal punto di vista turistico, a causa di una maggiore difficoltà nel raggiungerla e per il limitato numero di strutture ricettive. Itaca è un’isola dedicata ai velisti e a chi è alla ricerca di tranquillità, per godere di un soggiorno all’insegna del mare, del relax e di ottimi ristoranti di pesce.
La visitai in moto partendo dal porto della vicina Cefalonia, godendo, durante la traversata, di una superficie piatta come una tavola, che mi permise di ammirarne ogni baia, ogni spiaggetta e le verdi pareti montuose che scendevano dritte sul mare. Il porto di Vathi, capoluogo dell’isola, è formato da minuscole casette in stile veneziano, negozi e locande ricostruite all’insegna della tradizione dopo il devastante terremoto del 1953. La baia è veramente bella e protetta dal mare, in mezzo al quale si intravede l’isola di Lazareto, dove i marinai in passato trascorrevano il periodo di quarantena prima di approdare su Itaca. Alle spalle del paese vi è un territorio montagnoso, dove un tempo regnavano le querce e ora ci sono ulivi, pini, cipressi e filari di vite, oltre ai gigli selvatici.
Il tempo appare subito distorto, rallentato da ritmi antichi e da un’atmosfera affascinante, charmant direbbero i francesi. Come si arriva sull’isola si viene presi immediatamente da un senso di serenità e rilassatezza che colpisce i cinque sensi. Davanti agli occhi passano colori pastello, quelli che dipingono il cielo di azzurro, il mare di blu, le colline di verde e le case del bianco e del celeste tipici di queste isole. Per non perdere le altre sensazioni occorre quindi chiuderli e sentire il caldo del sole sulla pelle mitigato dalla brezza marina, il frinire dei grilli e le urla dei gabbiani a caccia, il profumo del mare e delle conifere. Per il gusto, poi, ci penseranno le taverne del porto a togliere la voglia.
Dal punto di vista storico l’isola era già abitata dal XXI secolo a.C. e sicuramente era popolata da mercanti in età micenea. Gli archeologi hanno individuato almeno 30 siti antichi ma non la residenza di Ulisse e del padre Laerte. In realtà, non è nemmeno certo che l’isola di Itaca sia davvero quella di Ulisse per una serie di contraddizioni presenti nel poema. La più evidente è morfologica, perché Omero la descrisse come pianeggiante, mentre il moderno viaggiatore si trova di fronte più a montagne scoscese che a colline.
Itaca è attraversata da un’unica strada principale, con delle vie laterali che portano al mare o a piccoli centri disseminati nel verde, particolarmente gradevoli da percorrere in moto viste le curve, i continui saliscendi e la mancanza di traffico nel bel mezzo del mese di agosto. Poche le auto dei turisti ma ancora meno le moto. Durante una sosta il ragazzo che mi fa benzina mi guarda e mi dice in inglese: “Bella la tua moto”. La frase inorgoglisce sempre un motociclista e così rispondo con piacere: “È una Moto Guzzi, la conosci?”. Lui mi guarda titubante, poi dice: “No. È una marca nuova?”. Sto calmo e sorrido ancora. “Sì, del Ventuno. Millenovecentoventuno”.
Quando si arriva invece al livello del mare, è impossibile non rimanere affascinati dagli incredibili colori e dalle baie meravigliose, dove la vegetazione giunge fino alla riva. Le spiagge sono solitamente di sassi, che finiscono in un’acqua limpidissima, poi azzurra e quindi sempre più blu man mano che aumenta la profondità: la perfezione per il Mare Nostrum. La strada termina a Kioni, un tradizionale e pittoresco villaggio di pescatori la cui vista apre il cuore, facendo tornare il visitatore indietro di millenni. Piccole botteghe artigianali si alternano a case in pietra con cortili pieni di fiori, bar e ristoranti con i tavolini praticamente sull’acqua. Impossibile non godersi un tramonto davanti ad un piatto di feta o ad una grigliata di pesce, con una bottiglia di vino fresco ad addolcire l’anima.
L’immersione
Tuttavia, una volta tornato a Cefalonia, mi rendo conto che manca qualcosa a questa vacanza motociclistica e non riesco a stare tranquillo. Comincio a darmi da fare e trovo l’Aquatic Divers Scuba Diving Club nella splendida località di Agia Efimia, dove i titolari si dividono tra molte prove subacquee (soprattutto per turisti nordeuropei) e qualche visita guidata ai fondali della zona. Nel negozio incontro Dario, un subacqueo napoletano, e insieme riusciamo a convincerli a tirare fuori il gommone, noleggiarci l’attrezzatura e accompagnarci ad ammirare qualche relitto della zona, soprattutto anfore di navi antiche, da guardare ma non toccare. Quando mi accennano la possibilità di immergermi a Itaca, mi si accendono gli occhi ed è quindi con la solita trepidazione che mi preparo, mentre mia moglie non smette di prendermi in giro: “Cosa sei? Un motosubacqueo? Scendi con l’erogatore Moto Guzzi? Hai lo snorkel per guidare sul fondo del mare?”, e così via.
Poggiato il casco e indossata la muta, saliamo sul gommone e ci dirigiamo verso la parte sudoccidentale dell’isola di Ulisse, verso il Saint John’s Wall, il Muro di San Giovanni, che raggiungiamo in poco meno di mezz’ora di navigazione su un mare che continua a essere piatto come una tavola. Ancoriamo quindi in una bella baia disabitata e con acque limpidissime e cristalline. Finiamo di prepararci e indosso il computer subacqueo che ho portato insieme alla maschera dall’Italia, all’insegna del “non si sa mai”. Motociclista sì ma sempre motosub: in fondo aveva ragione mia moglie.
In superficie la temperatura è di circa 27 gradi, che scendono a 20 sul fondo, con un taglio repentino che mi fa rabbrividire nella muta da 5 mm. D’altronde, sono un subacqueo freddoloso. Si tratta di una fantastica immersione verticale, dove la parete scende dalla superficie fino a 35 metri, offrendo immagini spettacolari in tutte le direzioni, con un’eccezionale visibilità. Le pareti sono un po’ povere di vita marina e non c’è una particolare concentrazione di pesci, anche per l’abitudine greca di recuperare indiscriminatamente tutto ciò che si trova sott’acqua, oltre alla mancanza di aree marine protette. Ci sono, però, un po’ di saraghi, qualche cerniotta, delle castagnole, dei pesci pagliaccio e qualche nudibranco a farci compagnia.
Le anfore sono parecchie, molte delle quali rovinate dal tempo e dalle mareggiate, probabilmente facenti parte del carico di un’antica nave da trasporto finita contro le rocce della baia a causa di un improvviso fortunale, dal quale il naturale riparo non era riuscito a proteggerla. Improvvisamente trovo una lucerna e la mostro al mio compagno d’immersione: siamo entrambi stupiti dal fatto che nessuno se ne sia appropriato ma non lo vogliamo fare nemmeno noi e la rimettiamo delicatamente dove l’abbiamo trovata.
Ho visto i resti della nave che aveva accompagnato a casa Ulisse dopo il suo lungo viaggio? L’eroe ha bevuto il vino contenuto in quelle anfore mentre la luna e quella lucerna illuminavano il suo viso, teso a cercare l’isola dove lo aspettavano Penelope, Telemaco e i suoi sudditi? È sbarcato in questa baia protetta per non farsi vedere dai proci, i suoi nemici? Non potrò mai dare una risposta a queste domande. Quello che so è che in questi luoghi i paesaggi, i profumi, i sapori e la gente fanno ritornare indietro di migliaia di anni, a un’epoca più primordiale ma molto più vera. E se vi piace leggere di storie di mare, viaggi e immersioni, non mi resta che segnalarvi “Storie Sommerse – Esplorazioni tra i relitti“, edito da Il Frangente di Verona.