Le aree marine protette e gli interventi per proteggere l’ambiente marino servono davvero?
Uno studio condotto in 2.600 siti di barriere coralline mostra che circa il 10% di tutti i pesci presenti sopravvive grazie agli sforzi di conservazione internazionali
Uno studio condotto in 2.600 siti di barriere coralline mostra che circa il 10% di tutti i pesci presenti sopravvive grazie agli sforzi di conservazione internazionali
Al termine di uno studio condotto in 2.600 siti di barriere coralline, i ricercatori dell’Università di Sydney, in collaborazione con la Wildlife Conservation Society (WCS) e altri partner, hanno scoperto che circa il 10% di tutti i pesci delle barriere coralline sopravvive grazie agli sforzi di conservazione internazionali. Questo è un dato straordinario, che indica come le misure atte a salvaguardare la natura funzionino davvero e non siano parole vuote e gocce d’acqua nell’oceano. La scoperta apre così le porte ad un’ulteriore impegno per la protezione delle popolazioni delle barriere coralline: aumentando gli interventi a loro difesa, infatti, possiamo sperare in un miglioramento di più vasta entità.
A comunicare il risultato dello studio sono stati diversi ricercatori, tra cui il canadese Iain Caldwell, analista capo di MERMAID, una piattaforma dedicata all’aggregazione e alla gestione dei dati sulla salute delle barriere coralline, che trasforma dati grezzi rilevati in sito in informazioni fruibili dai biologi. MERMAID, come recita il loro sito internet, immagina un futuro in cui le barriere coralline più critiche e resistenti al clima del mondo saranno identificate, monitorate e conservate entro il 2030.
Il dottor Caldwell è intervenuto anche sullo spinoso tema della pesca, chiarendo il loro concetto base secondo cui “le zone di divieto di pesca stanno dando il massimo, soprattutto quando vengono rispettate, ma non sono l’unico modo per aumentare le popolazioni ittiche. Mentre proibire la pesca – spiega – fornisce il maggiore impulso alla biomassa ittica per unità di area protetta, anche altre forme di gestione della pesca possono essere efficaci e potrebbero essere più adatte alle persone che dipendono dai pesci della barriera corallina per la loro vita e il loro sostentamento”. Quindi, come già sottolineato in altri articoli, la soluzione è una forma di convivenza con la natura data dal buonsenso e da sistemi tradizionali non impattanti.
Un altro ricercatore intervenuto sui risultati dello studio è stato il professor Joshua Cinner, direttore del Thriving Oceans Research Hub, un gruppo di ricerca per oceani e comunità più sane che si concentra sull’interfaccia tra scienze sociali ed ecologia per sviluppare soluzioni ai problemi degli oceani e delle milioni di persone che dipendono da essi, integrando teorie e metodi tratti da geografia, economia, scienze politiche, ecologia e informatica.
“Milioni di persone – ricorda Cinner – dipendono dai pesci della barriera corallina per il loro sostentamento e la loro nutrizione. Tuttavia, la pesca eccessiva sta minacciando gravemente il benessere delle comunità costiere di tutto il mondo. La protezione può aiutare a incrementare gli stock ittici e avere benefici a catena per le persone. Il nostro studio è una specie di controllo sanitario per la conservazione globale delle barriere coralline. Da un lato abbiamo scoperto che gli sforzi di conservazione hanno contribuito alla quantità di pesce nelle barriere coralline globali, il che è promettente, ma dall’altro questo contributo sembra piuttosto modesto e il nostro studio chiarisce quanto spazio ci sia per i miglioramenti. La nostra modellazione ha dimostrato che potremmo ottenere fino al 28% in più di pesce nelle barriere coralline a livello globale aumentando la copertura delle barriere coralline completamente protette al 30%, ma solo se queste vengono scelte strategicamente”. Siamo di nuovo all’obiettivo “trentaxtrenta“, un argomento di grande attualità.