L’incredibile storia della donna che sopravvisse ai naufragi del Titanic, dell’Olympic e del Britannic

Nata nella pampa argentina da genitori irlandesi, Violet Jessop è l’unica persona al mondo ad essere scampata a ben tre grandi disastri navali

L’incredibile storia della donna che sopravvisse ai naufragi del Titanic, dell’Olympic e del Britannic

L’incredibile storia della donna che sopravvisse ai naufragi del Titanic, dell’Olympic e del Britannic

Nata nella pampa argentina da genitori irlandesi, Violet Jessop è l’unica persona al mondo ad essere scampata a ben tre grandi disastri navali

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La stampa inglese le aveva affibbiato il soprannome di “Miss Unsinkable”, traducibile come  Signorina Inaffondabile”. E non senza ragione. Violet Jessop è l’unica persona al mondo ad essere scampata a ben tre naufragi. Sotto i suoi piedi, ha sentito affondare i tre più grandi transatlantici del suo tempo: il Titanic, l’Olympic e il Britannic.

E la cosa più incredibile è che per i marinai inglesi, il nome di Violet Jessop è considerato un portafortuna, una sorta di dimostrazione che, per quanto male possono andare le cose, alla fine c’è sempre la possibilità di sopravvivere! La sua incredibile storia comincia nella pampa argentina, un luogo in cui è difficile immaginare che da qualche parte, al di là dell’orizzonte, esista un qualcosa come il mare. Violet nacque nell’entroterra di Bahia Blanca il 2 ottobre del 1887, prima di nove fratelli e sorelle. I genitori erano migranti irlandesi che nell’immensa pampa argentina avevano trovato un luogo ideale per avviare un grande allevamento di pecore.

Già da bambina, Violet sfiorò la morte quando contrasse una violenta tubercolosi. I medici le avevano dato pochi giorni di vita ma la piccola riuscì incredibilmente a superare la malattia. Alla scomparsa del padre, la madre decise di far ritorno in Gran Bretagna. Violet andava a scuola in un convento ma fu costretta ad abbandonare gli studi quando la madre si ammalò e lei, come primogenita, fu costretta a cercasi un lavoro. Entrò così, a soli 21 anni, nel personale di bordo della grande compagnia di navigazione White Star Line.

Non era un lavoro che le piaceva, scrisse più tardi nelle sue memorie che intitolò “Titanic Survivor” (“La Sopravvissuta del Titanic”), John Maxtone-Graham editore. Cresciuta nel verde della pampa, non aveva nessuna simpatia per l’azzurro dell’oceano. Il mare le incuteva timore. Inoltre, il suo turno di lavoro durava ben 17 ore, sette giorni su sette, per la misera paga di 3 sterline e 10 scellini al mese. Come se non bastasse, il suo accento spiccatamente irlandese e i suoi capelli rosso fuoco le attiravano lo scherno del personale di origine inglese. Inoltre, come scriverà nelle sue memorie, “la clientela era esigentissima con noi cameriere”. I soli che le regalarono un po’ di affetto, erano i musicisti di bordo. 

E fu proprio nel suo viaggio inaugurale che Violet sopravvisse al suo primo naufragio. Era imbarcata sul transatlantico Olympic, il 20 settembre del 1911, quando questi entrò in collisione con l’incrociatore militare Hms Hawke nel canale Solent che separa l’Isola di Wight dalla Gran Bretagna, causando la distruzione di entrambe le prue. Riuscita a sbarcare a terra incolume, la White Star decise di imbarcarla nel nuovissimo transatlantico che sarebbe salpato da Southampton il 10 aprile 1912: il Titanic. 

Al momento dell’impatto fatale con l’iceberg, Violet si era appena assopita nella sua cabina. “Improvvisamente – spiegò – ci svegliarono e ci ordinarono di salire sul ponte. Mi sono fermata alla paratia con le altre hostess, guardando le donne aggrapparsi ai loro mariti prima di essere messe sulle barche con i loro figli. Poi un ufficiale della nave mi ha ordinato di salire sulla scialuppa dopo aver mostrato ad alcune donne che era sicura. Mentre la barca veniva abbassata, l’ufficiale mi chiamò: ‘Ecco, signorina Jessop. Tenga questo bambino’. E mi fece cadere tra le braccia un neonato in fasce”. La scialuppa stava per essere calata in acqua, quando arrivò una donna che le strappò il bambino dalle braccia e risalì nel ponte. Violet, “troppo intorpidita dal freddo e dalla paura per reagire”, non seppe mai se quella donna era la madre e se riuscì a salvarsi col suo piccolo dal naufragio. 

Scampata anche al Titanic, Violet fu imbarcata, sempre sotto le bandiere della compagnia White Star, sul transatlantico gemello Britannic. Stavolta però non era più una nave passeggeri. Era scoppiata la prima guerra mondiale e il Britannic era stato convertito in una nave ospedaliera. Violet era diventata infermiera e si occupava dei marinai feriti ricoverati a bordo. La  mattina del 21 novembre 1916 la nave che navigava al largo dell’isola di Ceo, nel mar Egeo, andò a cozzare contro una mina sistemata da un U-boot della Regia Marina Tedesca.

L’affondamento fu veloce e Violet non ebbe alternativa che gettarsi in mare. Furono i suoi capelli rosso fuoco a salvarla, scrisse nelle sue memorie, che permisero ad un marinaio a bordo di una scialuppa di salvataggio di vederla da lontano e soccorrerla. “Quando saltai in acqua – raccontò – fui subito risucchiata sotto la chiglia della nave. Qualcosa mi colpì forte la testa e persi i sensi. Anni dopo, quando sono andata dal medico a causa di forti mal di testa, ha scoperto che il naufragio mi aveva causato la frattura del cranio!”.

Chiuso con le navi, Violet si ritirò a vita privata in un piccolo cottage nel villaggio di Hartest, nella contea inglese del Suffolk, con l’unica preoccupazione di badare alle sue galline ovaiole e scrivere le sue memorie. Contrasse anche un matrimonio, che definì “breve e disastroso”, con un uomo di cui non volle mai fare il nome e che definì la disgrazia peggiore della sua vita. Peggio anche dei tre naufragi.

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