Francia: la verità sulla nuova tassa anti yacht
E' stato ritirato il 19 novembre l'emendamento che proponeva di aumentare l’Iva dal 20% al 33% su un elenco eterogeneo di beni considerati di lusso tra cui gli yacht
Francia: la verità sulla nuova tassa anti yacht
E' stato ritirato il 19 novembre l'emendamento che proponeva di aumentare l’Iva dal 20% al 33% su un elenco eterogeneo di beni considerati di lusso tra cui gli yacht
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Accedi RegistratiNelle ultime settimane in Francia le proposte di modifica della legge finanziaria 2026 hanno allarmato il mercato della nautica. Lo scorso 14 ottobre è stato infatti depositato un emendamento che proponeva di aumentare l’Iva dal 20% al 33% su un elenco eterogeneo di beni considerati “di lusso”, tra cui i superyacht ma anche imbarcazioni più piccole da diporto a motore fisso o fuoribordo con una potenza di almeno 20 CV. È stata inoltre proposta una tassa annuale di stazionamento che, secondo i suoi promotori, mira a colpire la cosiddetta “ricchezza improduttiva”. Tra i beni mobili che concorrerebbero alla determinazione della base imponibile figurano anche gli yacht.
La proposta di aumentare l’aliquota Iva, in particolare, ha allarmato l’intero mercato della nautica d’Oltralpe. La nuova aliquota nazionale del 33% si sarebbe applicata indistintamente a tutti i prodotti il cui consumo fosse destinato al territorio o alle acque francesi, sia agli acquirenti di imbarcazioni di lusso che ai proprietari di barche a vela e a motore con più di 20 cavalli e di dimensioni ridotte. Il mercato della nautica francese è, per volumi d’affari, forse il più importante di tutta Europa, con un fatturato stimato di circa 5 miliardi di euro l’anno e con più di 50.000 lavoratori impegnati lungo tutta la filiera. La maggior parte delle imbarcazioni da diporto hanno una lunghezza inferiore a 8,5 metri e il loro valore economico non è minimamente paragonabile a quello di imbarcazioni considerate “di lusso”.
Ancora prima del suo esame in Assemblée Nationale, l'emendamento è stato ritirato il 19 novembre. Il passo indietro è giustificato dall’aver riconosciuto l’errore contenuto nel Codice Generale delle Imposte, che considera le barche a vela di lunghezza superiore a 8,5 metri e le imbarcazioni a motore di oltre 20 cavalli come, appunto, beni di lusso. La confusione sulla portata reale del testo e il rischio di penalizzare le attività locali e industriali legate alla nautica da diporto hanno, dunque, motivato questo rapido dietrofront.
È stata invece adottata in prima lettura la nuova “tassa sul patrimonio improduttivo”, che, successivamente all’approvazione della legge di bilancio, sostituirebbe l'attuale "imposta sul patrimonio immobiliare”. Alla determinazione della base imponibile concorreranno anche gli attivi patrimoniali non produttivi di occupazione o valore economico, sia quelli intangibili, come le criptovalute, che quelli tangibili, come le opere d’arte, le automobili di lusso, gli aerei privati e gli yacht. Per le imbarcazioni, in particolare, la qualifica di "improduttivo" potrebbe dipendere dallo sfruttamento commerciale o dall'uso privato che ne verrebbe fatto. La proposta è quella di tassare il proprietario che possiede uno o più beni di lusso, qualora il loro valore totale superi 1,3 milioni di euro, applicando un'aliquota unica dell'1% alla frazione del valore netto imponibile.
In Italia nel 2012, durante il governo Monti, era già stata approvata un’imposta di stazionamento annuale destinata ai titolari di imbarcazioni residenti in Italia o che nel territorio dello Stato avevano una stabile organizzazione. La norma era stata successivamente abrogata con la legge di stabilità del 2016. In particolare, erano interessate dalla misura le unità da diporto che stazionavano in porti marittimi nazionali, che navigavano o che erano ancorate in acque pubbliche, anche se in concessione a privati. L’imposta era calcolata sulla base di un sistema per quote che variavano a seconda della lunghezza dell’imbarcazione. Restavano escluse dal tributo tutte le imbarcazioni adibite alla locazione e al noleggio, laddove l'attività svolta risultasse regolarmente indicata nella licenza di navigazione.
Studio Armella & Associati
