Nelle Cinque Terre è tornata la “Pinna nobilis”: può raggiungere un metro e mezzo di altezza
Il Parco Nazionale delle Cinque Terre, che studia questi molluschi, dopo averne censito la moria, ha registrato una piccola ripresa con la nascita di nuovi esemplari
Il Parco Nazionale delle Cinque Terre, che studia questi molluschi, dopo averne censito la moria, ha registrato una piccola ripresa con la nascita di nuovi esemplari
Alla fine dello scorso anno sulle coste venete si è registrata una moria di “Pinna nobilis“, comunemente nota come “nacchera” o “cozza penna“, mentre alle Cinque Terre, nella Riviera Ligure di Levante, questo mollusco potrebbe tornare a proliferare.
La Pinna nobilis, un incrocio tra mitili e ostriche, può raggiungere anche un metro e mezzo di altezza. Nel 1992 era stata dichiarata in via di estinzione ma oggi ben due leggi, una nazionale e una europea, la tutelano, vietandone la raccolta.
Il Parco Nazionale delle Cinque Terre, che studia questi molluschi, dopo averne censito la moria, ha registrato una piccola ripresa con la nascita di nuovi esemplari. A studiare la Pinna nobilis, oltre al citato parco, l’Università di Genova e l’associazione “Cinque Terre sotto il mare“, guidata dal biologo Lorenzo Rollandi, nativo di Manarola, frazione di Riomaggiore.
“Abbiamo collaborato – spiega Rollandi – ad un censimento della Pinna nobilis che ha coinvolto anche tutto il bacino del Mar Mediterraneo centrale, dalla Costa Azzurra a tutto il Mar Ligure, dalle coste tirreniche alle due isole italiane, la Sardegna e la Sicilia. Abbiamo verificato la moria di questo importante mollusco bivalve, dovuta ad un’infezione“.
“Il programma di censimento che ci ha visto al lavoro – aggiunge Rollandi – ha coinvolto istituti di ricerca e le Aree Marine Protette. Poi, con i sub, abbiamo effettuato campagne di censimento degli esemplari, fornendo al Parco Naturale delle Cinque Terre i dati sulla presenza, le dimensioni, lo stato di salute, se vivono in sofferenza oppure sono deceduti”.
Il censimento ha riguardato tutte le aree di riserva: le due zone A di riserva integrale di Punta Mesco e Capo di Montenero, le due aree in zona B di riserva parziale e la zona C. “Abbiamo registrato – sottolinea Rollandi – una diffusa moria causata da un parassita a livello branchiale ma con la pandemia del 2020 e di parte di quest’anno abbiamo potuto verificare anche una leggera ripresa. Il successivo passaggio, coordinato da studi francesi, prevede il reimpianto in natura di diversi esemplari, dopo l’allevamento in cattività, così si potrà scoprire se la Pinna nobilis riesce ad attecchire”.
Una curiosità: da questo mollusco madreperlaceo all’interno e molto ruvido all’esterno fuoriesce una “bava“, formata da cheratina, che a contatto con l’acqua si solidifica e una volta lavorata diventa bisso, splendente come oro, soffice e forte.
Guido Ghersi
Argomenti: Daily Nautica
Munifico servizio, che fa onore a questo magnifico esemplare faunistico bivalve, pressappoco estinto non tanto, almeno in Sardegna come sopra detto per il menzionato parassita, quanto per lo scellerato sfrontato disinteresse delle istituzioni nonostante la paventata legge europea che prevedeva l’impiccagione, la palificazione, l’apposizione in vergine di ferro ai rei di azioni di pesca o conservazione anche post mortem del sopra menzionato mollusco…… questo sulla carta ma visto che navigo da quarant’anni a vela dunque non sono più giovinetto, non posso dimenticare quando diversi anni fa in Sardegna, nello specifico nella cala di Porto Palma sede dello storico centro velico di Caprera, causa crollo istituzionale dell’ente parco Nazionale dell’arcipelago della Maddalena dove furono messi al rogo alcuni vertici dirigenziali per i soliti interessi personali…..bene, per un paio d’anni il sistema parco rimase allo stato brado nel più sfrontato disinteresse delle istituzioni che fece sì, nello specifico caso della Maddalena, che nell’ansa di porto Palma non misero i campi boa estivi e questo determinò un Far West di scellerati e pirateschi ancoraggi giornalieri da parte di migliaia di barche le quali con le loro ancore distrussero letteralmente le centinaia e centinaia di famiglie di Pinna Nobilis…. una vera vergogna di stato. Rispetto alle due righe con cui avete concluso il servizio, posso aggiungere che il menzionato Bisso era un raro e prezioso filamento naturale di qualità al di sopra della seta che era già conosciuto dai tempi dell’età del ferro e trovato a mò di ricamo su tessuti pregiati dentro tombe Egizie. Con questo prodotto, ottenibile dal mollusco bivalve di esclusiva provenienza dell’area mediterranea, dopo una lunga lavorazione dal prodotto vergine fino ad una vera e propria tessitura a mano da parte di artigiane altamente specializzate, si produceva un filato dorato unico al mondo di consistenza e qualità superiore a qualsiasi migliore seta. Per chi volesse approfondire, basta andare sul sito dell’ultima maestra vivente che custodisce il segreto della lavorazione di questo prodotto del mare….. Chiara Vigo (chiaravigo.it).