Alla scoperta del Megalodon: poteva mangiare prede delle dimensioni di un’orca
Incredibili scoperte rivelano come era fatto un Megalodon e la sua vita negli oceani
Incredibili scoperte rivelano come era fatto un Megalodon e la sua vita negli oceani
Del Megalodon, enorme ed estinto super predatore degli antichi oceani, si conoscevano fondamentalmente i denti. E il motivo è chiaro: sono pesci cartilaginei, la cui delicata struttura tende quindi a scomparire nel tempo. I denti sono l’unica parte dell’animale che si è ben conservata durante milioni di anni. Come erano fatti? Probabilmente come giganteschi squali bianchi, in grado di mangiarsi grosse prede negli oceani di tutto il mondo. Una nuova ricerca, effettuata con mezzi all’avanguardia da un team di studiosi provenienti da Svizzera, Regno Unito, Stati Uniti, Australia e Canada, ha svelato segreti persi nel tempo.
Il punto di partenza è stato una scoperta fatta oltre 150 anni fa in Belgio, quando studiosi dell’epoca trovarono delle enormi vertebre nella roccia, in seguito portate al Museo di Storia Naturale di Bruxelles. Riprese in esame negli anni Novanta del secolo scorso, fu subito chiaro a quale animale potessero appartenere: un esemplare di Otodus Megalodon di circa 46 anni di età, morto appoggiandosi sul fondo del mare circa 18 milioni di anni fa. I sedimenti marini hanno poi fatto una cosa unica: hanno conservato 141 vertebre cartilaginee del gigantesco squalo.
Adesso il team di ricerca ha lavorato per rispondere a delle domande chiave, come quanto poteva essere grande, quali erano le dimensioni delle prede, la velocità, le sue abitudini alimentari e così via. Così, grazie a questi studiosi, oggi sappiamo molto di più sulla vita di questo particolare animale. Ma come hanno fatto? Procedendo ad una ricostruzione computerizzata in 3D. Hanno infatti preso le immagini delle vertebre, inserendole nel programma, quindi hanno cercato in natura quale potesse essere l’animale più simile, individuandolo nel Grande Squalo Bianco, e poi hanno adattato il suo cranio alle dimensioni e alla forma delle vertebre. Infine, è stata aggiunta la carne, per creare la massa, e da lì è stato facile calcolare matematicamente il resto.
Il risultato? Una macchina da guerra che poteva raggiungere i 20 metri di lunghezza. Si immaginava che, essendo il predatore apice, si rivolgesse a prede di grosse dimensioni, come balene e altri squali, anche per le dimensioni dei morsi riscontrati in alcuni fossili ritrovati. La ricostruzione in scan 3D lo conferma: il Megalodon aveva uno stomaco di 10.000 litri, in grado di ingurgitare prede di otto metri, grandi quindi come una moderna orca adulta. Pur necessitando di circa 98.000 calorie giornaliere, poteva immagazzinare cibo in grado di mantenerlo in vita per due mesi senza più necessità di nutrimento.
La sua velocità si aggirava tra 1,3 e 1,4 metri al secondo, consentendogli di percorrere gli oceani del mondo e andare ovunque il suo istinto poteva condurlo. L’animale fungeva, quindi, da regolatore trofico in due sensi: viaggiando distribuiva i suoi scarti nei mari, anche dove c’era carenza di nutrimento, favorendo così la vita. Inoltre, teneva sotto controllo le popolazioni di grandi dimensioni, limitandone probabilmente l’accrescimento. Forse la sua estinzione, dovuta secondo alcune ipotesi al raffreddamento delle acque oceaniche, favorì l’accrescimento smisurato delle balene.
Come afferma uno degli studiosi, la professoressa Catalina Pimiento dell’Università di Zurigo, “i risultati suggeriscono che questo squalo gigante fosse un predatore transoceanico super-apice. L’estinzione di questo iconico squalo gigante probabilmente ha avuto un impatto sul trasporto globale di nutrienti e ha liberato i grandi cetacei da una forte pressione predatoria”.
Ecco uno stupendo filmato sull’argomento, illustrato con chiarissimi disegni e animazioni 3D.
Fonte foto: Wikipedia
Argomenti: Daily Nautica