Rapporto NOAA 2023: identificati 7 Paesi che praticano la pesca illegale
I sette Paesi responsabili di attività di pesca illegali, non dichiarate e non regolamentate sono Angola, Grenada, Messico, Cina, Taiwan, Gambia e Vanuatu
I sette Paesi responsabili di attività di pesca illegali, non dichiarate e non regolamentate sono Angola, Grenada, Messico, Cina, Taiwan, Gambia e Vanuatu
La National Oceanic and Atmospheric Administration degli Stati Uniti ha pubblicato il rapporto 2023, redatto per il Congresso e relativo al miglioramento della gestione internazionale della pesca, identificando 7 nazioni responsabili di attività di pesca illegali, non dichiarate e non regolamentate (IUU – Illegal, Unreported and Unregulated fishing).
La NOAA Fisheries analizza i sistemi di pesca utilizzati a livello mondiale, l’utilizzo di reti da posta derivanti in alto mare, le catture accessorie e, da quest’anno, anche la pesca degli squali e il lavoro forzato. “La pesca illegale, non dichiarata e non regolamentata – spiega – è un grave problema globale che minaccia gli ecosistemi oceanici e la pesca sostenibile, fondamentale per la sicurezza alimentare ed economica globale, mettendo in svantaggio i pescatori e i produttori di prodotti ittici rispettosi della legge negli Stati Uniti e all’estero”.
Il rapporto biennale identifica le nazioni che non rispettano i parametri indicati ma contemporaneamente aiuta chi cerca di migliorare la situazione negativa pregressa: in questo senso sono state date certificazioni positive a Paesi in via di sviluppo come Costa Rica, Guyana e Senegal, che hanno attivato pratiche per eliminare la pesca indiscriminata e le hanno portate avanti negli ultimi due anni.
Sette sono invece i Paesi che partecipano attivamente alla pesca IUU: Angola, Grenada, Messico, Cina, Taiwan, Gambia e Vanuatu. Particolarmente grave la situazione della Repubblica Popolare Cinese, indicata nel rapporto anche per la cattura indiscriminata degli squali (con Vanuatu) e per il lavoro forzato (insieme alla rivale di sempre, Taiwan). Incredibile che nel XXI secolo si debba parlare ancora di una questione così grave di cui è responsabile una superpotenza: sembra di ritornare agli uomini imbarcati a forza sulle navi pirata del Seicento.
Per tutte le nazioni indicate nel rapporto, il principale punto discusso riguarda le catture accessorie, il bycatch, che minaccia le specie protette e quelle in via di estinzione a causa della raccolta indiscriminata di tutto ciò che si trova sotto la superficie. “I pescatori – sottolinea la NOAA Fisheries – a volte catturano e scartano animali che non vogliono, non possono vendere o non sono autorizzati a tenere, creando ciò che conosciamo come catture accessorie. Le catture accessorie possono riguardare pesci ma anche mammiferi marini, tartarughe marine e uccelli marini che rimangono agganciati o impigliati negli attrezzi da pesca. Le catture accessorie sono una questione globale complessa che minaccia la sostenibilità e la resilienza delle nostre comunità di pescatori, delle nostre economie e degli ecosistemi oceanici”.

Il vicepresidente di Oceana per gli Stati Uniti, Beth Lowell, ha plaudito la pubblicazione del rapporto. “Gli Stati Uniti per la prima volta – ha dichiarato Lowell – identificano nel rapporto i Paesi che praticano sia la pesca IUU che il lavoro forzato, tra cui Cina e Taiwan. Il rapporto sottolinea che c’è ancora del lavoro da fare ma siamo incoraggiati dall’azione della NOAA, volta a garantire che i pescherecci rispettino la legge. Tutti i prodotti ittici venduti negli Stati Uniti dovrebbero essere sicuri, catturati legalmente, provenienti da fonti responsabili ed etichettati in modo onesto. L’azione della NOAA contro i Paesi che non rispettano le regole è uno strumento essenziale nella cassetta degli attrezzi del governo degli Stati Uniti per migliorare la pesca in tutto il mondo“.
Fonte foto: FAO e NOAA
