INCHIESTA PORTI – Ecco perché il sistema non funziona
Aspettando la riforma dei porti Liguria Nautica approfondirà in più puntate la situazione del sistema portuale italiano. Si parte con una fotografia sull'attuale stato di salute degli scali italiani.
Aspettando la riforma dei porti Liguria Nautica approfondirà in più puntate la situazione del sistema portuale italiano. Si parte con una fotografia sull'attuale stato di salute degli scali italiani.
Con le clamorose dimissioni del Ministro alle Infrastrutture e I Trasporti Maurizio Lupi, a seguito dell’inchiesta aperta dalla Procura di Firenze, ci si chiede se la tanto strombazzata riforma strutturale della logistica portuale resterà solo un fascicolo polveroso all’interno di qualche umido scantinato del ministero. Intanto il premier Matteo Renzi ha già annunciato di aver assunto ad interim la delega ai Trasporti. A questo punto per ingannare l’attesa non ci resta che riordinare le idee e provare a costruire un quadro del sistema portuale italiano alla luce della situazione attuale e ragionando su possibili linee di sviluppo in prospettiva. E’ chiaro fin da subito, ed è per questo che noi di Liguria Nautica insistiamo un giorno si e uno no sull’argomento, che dalla nautica e dalla portualità dipende in buona parte il rilancio del Paese in termini di competitività e sviluppo.
L’Italia infatti è per vocazione storica, geografica e culturale “una piattaforma logistica naturale nel mezzo del Mediterraneo”. In questo bacino transita il 19% dell’intero traffico commerciale mondiale. Ma a fronte di questa consapevolezza le cifre sono impietose. Rotterdam, Anversa e Amburgo muovono in tre il 62% dei containers in arrivo in Europa. Tutti i porti italiani messi insieme con Genova, La Spezia e Gioia Tauro in testa non vanno oltre il volume di 6,4 milioni di containers. Pensiamo solo che lo scalo olandese di Rotterdam da solo ne muove 11 milioni! Risultato: tra i primi dieci scali commerciali del mondo non c’è traccia di un porto italiano. I motivi di questo “innaturale” distacco con le percentuali di produttività dei porti del Nord Europa sono riconducibili in modo rilevante ai costi sistemici dell’intera struttura logistica nazionale oltre ovviamente alle miopie che nel corso degli anni hanno colpito le élite politico-economiche. Ruggine burocratica, accavallamento di una molteplicità di enti in merito a controlli e autorizzazioni nello sdoganamento delle merci e nelle procedure di import/export, assoluta mancanza di un efficiente tessuto infrastrutturale che favorisca il trasporto intermodale dal nodo portuale all’interno del sistema territoriale, sono infatti le principali cause strutturali che hanno tarpato le ali al settore strategico per eccellenza del nostro Paese.
Se pensiamo che nel loro complesso i porti italiani svolgono in prevalenza servizi di transhipment (operazioni di trasbordo delle merci) è chiaro che i fattori precedentemente elencati, insieme al prorompente sviluppo di alcuni scali del Nord Africa, pesano come un macigno. Ma anche l’assenza di una visione strategica d’insieme sull’ importanza del Sud come cerniera tra il Mediterraneo e l’Europa. Ed è un vero delitto in quanto i porti di Taranto, Gioia Tauro e Cagliari rappresentano per l’Italia dei potenziali nodi di eccellenza del transhipment a livello internazionale per la loro posizione privilegiata nelle emergenti rotte Sud-Est (il traffico mercantile di Cina e India è in ascesa astronomica). Ma anche in questo caso carta canta: Gioia Tauro ha perso il 3,8% nel 2014, Cagliari è in fase di stallo, Taranto è invece in rosso con un pesante deficit del traffico e i lavoratori in cassa integrazione. Tralasciando la balbettante competizione internazionale, numeri alla mano e prendendo in considerazione solo dati nazionali possiamo dire che il porto di Trieste guida la classifica dei porti italiani per il traffico di merci annuale con 56, 6 mln di tonnellate complessive. Seguono Genova con 47,9 e Cagliari-Sarroch con 35 mln (Assoporti 2013).
In generale sta sicuramente meglio, per via della tradizionale vocazione turistica del nostro paese, l’ambito del trasporto passeggeri. Crociere e cabotaggio rappresentano infatti delle voci importanti del sistema portuale italiano di cui bisogna tenere conto. Messina, Reggio Calabria, Olbia e Napoli muovono infatti ogni anno milioni di passeggeri. L’esempio della piccola Capri, con un traffico annuo di circa 6 milioni di passeggeri, è emblematico in tal senso. Bisogna chiarire che queste cifre riguardano però in prevalenza i trasporti locali e i collegamenti tra le isole e le regioni di appartenenza. Per quanto riguarda invece il traffico internazionale di passeggeri la percentuale complessiva nazionale si attesta attorno al 7,4% e coinvolge soprattutto il versante adriatico con la testa di ponte del porto di Ancona (1,5 milioni di passeggeri all’anno) e i suoi collegamenti con Balcani, Grecia e Albania. Sembra sorridere, pur con tutti i suoi limiti sistemici, anche il mondo dei porti turistici e della nautica da diporto.
L’Italia può contare infatti su una robusta spina dorsale fatta da piccoli e medi porti. Nati intorno agli anni settanta (Porto Sole a Sanremo, Punta Ala a Grosseto, Marina di Punta Faro a Lignano Sabbiadoro) per ospitare i grandi yacht, si sviluppano più compiutamente e diffusamente in tutta la penisola grazie al progressivo successo delle barche di media dimensione (trai i dieci e i quindici metri). Attualmente sono soprattutto la Liguria, il Nord Adriatico e in misura minore la Toscana ad avere acquisito la leadership del settore. Nonostante la crisi infatti, secondo uno studio di Assomarinas, dal 2007 a oggi sono stati realizzati ben 17 mila nuovi posti barca, soprattutto nel sud Italia, oltre 20 mila ormeggi di ultima generazione sono ancora in costruzione lungo tutte le coste italiane e altri 45 mila sono in fase di progettazione. Segnali che inducono sicuramente all’ottimismo e che attestano il settore del turismo nautico come uno dei comparti economici con maggiori possibilità di sviluppo.
L’importanza strategica per la nostra economia risiede principalmente nelle profonde interazioni dirette e indirette che un porto turistico attiva con il territorio di appartenenza. Un indotto di vitale importanza che genera produzione e commercializzazione di imbarcazioni, noleggio, rimessaggio e manutenzione delle barche oltre ovviamente agli approdi e alle strutture stesse. In particolare l’attivazione di sinergie tra i porti e le infrastrutture ricettive (alberghi, ristoranti, centri sportivi) sembra rappresentare la chiave di volta per fare del turismo nautico uno dei settori di punta del nostro paese. In questo senso il provvedimento sull’istituzione dei Marina Resort che equipara i porti turistici alle strutture ricettive con l’Iva al 10% e i progetti di riqualificazione dei waterfront come il Blue Print di Renzo Piano per Genova sembrano andare in questa direzione. Ma la strada è ancora in salita. Senza una coerente e innovativa visione strategica del sistema portuale nel suo complesso si rischia di perdere la partita della competitività con le migliori strutture del Mediterraneo. (Continua)
Salvatore Gaglio
Argomenti: Daily Nautica, Genova