La pulizia della carena di navi e yacht: dai raschietti degli anni ’70 ai più moderni sistemi idraulici
Dopo un'accurata pulizia dello scafo, le imbarcazioni riescono a recuperare la velocità iniziale risparmiando tempo e carburante
Dopo un'accurata pulizia dello scafo, le imbarcazioni riescono a recuperare la velocità iniziale risparmiando tempo e carburante
Nei primi anni ’70 il naviglio mercantile era particolarmente numeroso: nella rada del porto di Genova, non si riuscivano a contare le navi mercantili in attesa di sbarcare o imbarcare le loro merci e vi era anche una notevole presenza di navi passeggeri. Le imbarcazioni dovevano rispettare le date di arrivo nei vari scali per la consegna o l’imbarco delle merci, quindi ogni nave doveva rispettare le velocità dichiarate, anche per risparmiare carburante. E questo poteva avvenire solo se lo scafo era pulito.
Tuttavia, dopo pochi mesi dall’applicazione dell’antivegetativo allo scafo e specialmente per chi navigava in mari caldi, l’opera viva veniva aggredita dalla vegetazione marina, che proliferava soprattutto nelle soste precedenti all’entrata nei porti. La vegetazione, saldamente attaccata alla carena, formava una rugosità che ne rallentava la fluidità in acqua (compresa l’azione dell’elica) facendo perdere molta velocità.
Gli armatori iniziarono così a pulire gli scafi servendosi dei sommozzatori, che inizialmente intervenivano con raschietti a mano mentre, con l’evolversi della tecnologia, passarono dalle spazzole rotanti alimentate ad aria adattate all’immersione a sistemi idraulici più complessi. Dopo un’accurata pulizia dello scafo, indispensabile soprattutto per le petroliere che eseguivano lunghe navigazioni con la maggior parte dello scafo immerso, le imbarcazioni riuscivano a recuperare la velocità iniziale, risparmiando tempo e carburante e rientrando ampiamente delle spese per l’utilizzo dei sommozzatori.
Dal 1975 alla fine degli anni ’90 questa attività conobbe un’ascesa significativa, tanto che le case produttrici di sistemi subacquei si impegnarono nella costruzione di impianti sempre più evoluti, consentendo ai sommozzatori di eseguire le pulizie di carena in una sola giornata mentre la nave eseguiva lo sbarco o l’imbarco delle merci. E questo sistema di pulizia veniva utilizzato anche dalle navi passeggeri.
Agli inizi degli anni 2000, la “Convenzione internazionale per la prevenzione dell’inquinamento causato da navi”, nota anche come “Marpol“, vietò di eseguire la pulizia dell’opera viva a nave galleggiante a mezzo sommozzatori perché, insieme alla vegetazione, veniva asportata anche parte della pittura antivegetativa (composta da rame e piombo) dannosa per l’ambiente marino.
È importante ricordare quindi che chiunque si appresti a pulire in proprio la carena può incorrere in una denuncia per inquinamento e dovrà sostenere un processo (di solito tramutato in una sanzione pecuniaria). La sanzione scatta sia per il proprietario sia per la persona a cui è stato eventualmente affidato il lavoro.
L’unica pittura antivegetativa su cui è consentito intervenire anche a nave galleggiante è quella siliconica, perché non contiene inquinanti. L’evoluzione che ha caratterizzato le antivegetative nel corso degli anni consente oggi di mantenere lo scafo pulito quasi fino al rinnovo obbligatorio del bacino ogni quattro anni circa. Pertanto anche il lavoro dei sommozzatori è terminato, salvo in qualche Paese dove ancora non vengono applicate le normative Marpol.
Argomenti: Daily Nautica
Esiste da qualche anno un nuovo sistema, detto in cavitazione, che consente la pulizia dello scafo senza asportare la vernice antivegetativa. Grazie a questa particolarità, le capitanerie autorizzano la pulizia subacquea della carena, non essendoci appunto inquinamento ambientale. In europa l’unico costruttore di questo tipo di macchine è la società Cavitcleaner, con sede in Montenegro.