Il tesoro della Nuestra Señora

Un incredibile bottino di 450 milioni di dollari in oro e pietre preziose. Un cacciatore di relitti che faceva l'allevatore di polli. Ecco la vera storia del ritrovamento subacqueo più mirabolante di tutti i tempi.

Il tesoro della Nuestra Señora

Il tesoro della Nuestra Señora

Un incredibile bottino di 450 milioni di dollari in oro e pietre preziose. Un cacciatore di relitti che faceva l'allevatore di polli. Ecco la vera storia del ritrovamento subacqueo più mirabolante di tutti i tempi.

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Lei era la nave più bella di tutta la flotta spagnola. Lui un allevatore di polli dell’Indiana con una sola grande passione: la ricerca di tesori perduti. E poi c’è il destino che aveva dato loro un appuntamento. Lei si chiamava Nuestra Señora de Atocha ed era ricca, ricchissima. Veleggiava verso i porti di Spagna con le stive cariche di oro, argento, preziosi smeraldi. Lui, Mel Fischer, era un uomo testardo. Tanto testardo da vendere la fattoria, diventare subacqueo e immergersi alla ricerca di lei per più di 16 anni  e mezzo di fila. E ogni volta, prima di infilarsi l’erogatore in bocca e tuffarsi nell’immenso mare blu della Florida, ripeteva alla moglie, ai figli e agli amici che lo prendevano per matto: “Oggi sarà il gran giorno!”

E il gran giorno arrivò. Era il 20 luglio dell’85. Una sabato. In futuro, quando racconterà la sua avventura ai giornalisti di mezzo mondo, Mel Fischer non riuscirà mai a trovare le parole sufficienti a descrivere l’emozione infinita che gli fece sobbalzare il cuore quando riconobbe il relitto della Nuestra Señora, adagiato sul fondale che lo stava aspettando.

Il galeone Nuestra Señora de Atocha

Un quadro raffigurante il galeone spagnolo Nuestra Señora de Atocha

I sedici anni e mezzo di “corteggiamento” furono ripagati dall’immenso tesoro che, nei giorni successivi, Mel riportò in superficie: oltre centomila monete d’argento (i famosi “real de a ocho” del XV secolo che venivano coniati dalla Corona spagnola ai tempi dell’impero coloniale), un migliaio di lingotti d’argento, smeraldi colombiani, gioielli inca, 40 tonnellate di oro. Il tesoro, cui fu dato il nome di Atocha Motherlode, fu stimato attorno ai 450 milioni di dollari. Sì, avete letto bene, 450 milioni di dollari che costarono una lunga causa legale al nostro Mel Fischer col governo degli Stati Uniti e con lo Stato della Florida che impugnarono la proprietà del ritrovamento. Otto anni di contenziosi nelle aule dei tribunali, sino a che la Corte Suprema (la nostra Corte di Cassazione) stabilì che, fatto salvo un 20% del ricavato che doveva andare allo Stato, il rimanente restava tutto nelle tasche del nostro ex allevatore di polli.

Ma non è questo il finale della nostra storia. Perché il vero tesoro della Nuestra Señora de Atocha è ancora tutto da trovare. Le ricerche sono tutt’ora in corso, anche se non è più Mel Fischer a condurle, essendo scomparso nel 1998. Troppi tesori che le antiche pergamene assicurano che erano imbarcati nell’Atocha rimangono ancora sepolti nel mare di Florida. I grandi cannoni di bronzo, ad esempio, che armavano la nave, non sono ancora stati trovati. Anche l’intero castello di poppa, che doveva contenere il “grosso” del tesoro, risulta ancora perduto. Nel giugno del 2011, i subacquei della compagnia Treasure, fondata proprio da Mel dopo il ritrovamento del galeone, hanno portato alla luce un antico anello con un enorme smeraldo che, da solo, è stato stimato valere oltre 500 mila dollari!

Gli ori della Nuestra Señora

Alcune delle monete e degli ori recuperati dal galeone spagnolo

La Atocha insomma, continua a far parlare di sé in questo ventunesimo secolo come in quel lontano 1622, quando la notizia del suo affondamento costrinse il giovane re di Spagna Filippo il Grande a cercare altrove il denaro necessario per proseguire la Guerra dei Trent’anni, indebitandosi con i banchieri genovesi, finendo per indebolire la dinastia degli Asburgo che doveva concludersi qualche anno dopo, col regno di suo figlio Carlo II e la conseguente guerra di Successione.

La grande nave era salpata da l’Avana il 4 settembre del 1622 assieme alla gemella Santa Margarita, scortata da un convoglio di 25 navi da battaglia della Tierra Firme, la flotta coloniale spagnola, per scongiurare qualsiasi tentativo dei pirati olandesi ed inglesi, che infestavano il mar dei Caraibi, di arrembarla. Le sue stive erano state caricate all’inverosimile di tutti i tesori che gli indigeni, costretti alla schiavitù, avevano estratto dalle miniere andine. Tesori sui quali, come abbiamo detto, re Filippo contava per coprire le sue ingenti spese militari. Ma né l’Atocha, né la Santa Margarita erano destinate a valicare l’oceano e riparare nei porti di Spagna.

Due giorni dopo un violentissimo uragano tropicale le travolse, allontanandole dalla flotta e trascinandole a naufragare sulla barriera corallina, a circa  30 miglia ad ovest di Cayo Hueso, dove oggi sorge la città di Key West, in Florida. Inutilmente, la Corona spagnola provò a recuperare i tesori dell’Atocha. Ci riuscì, ma solo in parte, perché quel tratto di mare, oggi come allora, è battuto da violenti uragani che sconquassano anche il fondale marino, con la Santa Margarita. Ma i 20 metri di profondità sui quali si era adagiata la Nuestra Señora, rendevano impossibile, con i mezzi d’allora, qualsiasi tentativo di recupero dell’oro.

E così, per 363 anni, l’Atocha è rimasta tranquilla a riposare nel fondo al mare, alimentando leggende di tesori perduti e narrazioni di antichi velieri, intrepidi marinai e terrificanti uragani, sino a che un pazzo sognatore vendette il suo allevamento di polli per diventare subacqueo e decise che era venuto il momento di ritrovarla, sicuro che “il gran giorno” prima o poi sarebbe arrivato.

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