La temibile piovra gigante, il più famoso mostro degli oceani – Parte 2
Cosa c’è di vero e cosa c’è di leggendario nella mitologica creatura che ha terrorizzato i marinai di tutti i secoli
La temibile piovra gigante, il più famoso mostro degli oceani – Parte 2
Cosa c’è di vero e cosa c’è di leggendario nella mitologica creatura che ha terrorizzato i marinai di tutti i secoli
Il polpo, come abbiamo già intuito nella prima parte di questo nostro racconto, non è mai stato un animale capace di attirarsi le simpatie dell’uomo. Alle leggende antiche, come quella di Plinio il Vecchio di cui abbiamo scritto, si sono aggiunte le fantasie dei cartografi medioevali che, quando si trattava di adornare le loro mappe con i presunti mostri che, a loro dire, abitavano gli oceani, non mancavano mai di disegnare mostruosità tentacolate dalle enormi e zannute fauci.
Questi fantasiosi cartografi, altro non facevano che ripercorrere le antiche mitologie in cui la piovra veniva sempre rappresentata come un essere abominevole scaturito dagli abissi infernali. Così era il Kraken che incuteva timore anche agli impavidi marinai vichinghi o il meno conosciuto alle nostre longitudini, ma non per questo meno terrificante, dio Akkorokamui, al quale il popolo ainu, che vive nel nord dell’arcipelago giapponese, dedica ancora oggi santuari e cerimonie sacrificali affinché non trascini negli abissi gli incolpevoli pescatori, ghermendoli con i suoi lunghi tentacoli.
A parlar male del polpo si sono messi anche gli scrittori ottocenteschi che l’hanno trasformato nel pericolo numero uno dei Sette Mari. Ricordiamo solo Victor Hugo che descrive una spettacolare battaglia contro una piovra gigante nel suo “Les Travailleurs de la Mer”. E non dimentichiamoci neppure di Julius Verne. Nel suo capolavoro, “20 mila leghe sotto i mari”, una mostruosa piovra gigante per poco non stritola tra i suoi potenti tentacoli il Nautilus, capitano Nemo compreso!
Ma è davvero così cattivo e pericoloso il polipo? Assolutamente no. Tante volte abbiamo incontrato questi animali nelle nostre immersioni e li abbiamo sempre scoperti socievoli e giocherelloni. Una volta, nelle acque del Tirreno, un simpatico polpo si è attaccato alla frusta del mio erogatore di riserva e si divertiva a farne uscire l’aria strizzandolo tra i tentacoli. Un’altra volta, un polpo un po’ più timoroso, spaventato per l’arrivo di queste strane creature con maschera e pinne, ha pensato bene di fingersi morto. Si è lasciato scivolare sul fondo, senza dare nessun segno di vita, salvo poi precipitarsi sparato nella sua tana, non appena ci siamo allontananti quel tanto che gli sembrava sufficiente per mettersi in salvo.
Alcuni etologi, paragonano la loro intelligenza a quella dei gatti e io non stento a credergli. Eppure le dicerie che li diffamano continuano a sopravvivere. Gli inglesi li chiamano ancora oggi blood sucker, come fossero dei vampiri marini, e fino a pochi anni or sono i marinai della “perfida Albione” credevano che i polpi potessero davvero succhiare sangue dai tentacoli. Ma i segni rossi che possono lasciarvi sulla pelle, quando vi abbracciano, sono dovuti solo alla pressione delle loro ventose e scompaiono in pochi minuti.
I casi in cui questi animali abbiano intenzionalmente attaccato l’uomo però, sono più unici che rari. Giancarlo Costa, nel suo bellissimo libro “Leggende e fantasmi del mare“, edito da Mursia, riporta il caso di un palombaro di nome Lédu che si era immerso nel 1912 davanti a Tolone per recuperare il carico della corazzata Liberté, affondata l’anno precedente a causa di un innesco spontaneo nella Santa Barbara. Ebbene, il nostro palombaro fu assalito da una piovra dal peso di 60 chili e dal diametro della “testa” di ben 8 metri, come riportarono i giornali dell’epoca, che tentò di stritolarlo. Lédu fu tratto in salvo per miracolo dai marinai che lo issarono bordo tirando il cavo di sicurezza, con l’animale ancora attaccato al corpo. Vien da pensare che il polpo abbia scambiato il nostro palombaro, attrezzato con tuta e scafandro, per una cozza gigante.
Secondo la letteratura scientifica, le massime dimensioni alle quali una piovra può aspirare sono di 2 metri e mezzo di diametro per 30 chili di peso. Ma qualche caso eccezionale ci può sempre stare. In fondo, è sempre l’eccezione quella che conferma la regola. Infatti nel 1912, nella costa californiana degli Stati Uniti, è stato pescato un polpo ancora più grosso di quello che aveva attaccato Lédu. Pesava 125 chili e, sempre secondo i quotidiani dell’epoca, aveva un diametro di poco inferirore ai 10 metri. Plinio, a ben guardare, non aveva esagerato di tanto!
Ma l’ipotesi che un esemplare di piovra, anche di dimensioni eccezionali, possa davvero rivelarsi pericoloso per una nave, ghermire un vascello in navigazione e trascinarlo nel profondo, è davvero insostenibile anche per una categoria, come quella dei marinai, che – al pari di Plinio e dei suoi “colleghi” giornalisti – non ha mai lesinato con la fantasia.
Ma come sono nate allora le leggende dei mostri del mare? Per rispondere a questa domanda, bisogna fare un po’ di chiarezza e distinguere tra polpi e calamari. Due molluschi che appartengono alla medesima classe, quella del cefalopodi, ma ben diversi l’uno dall’altro. I primi appartengono al superordine degli Octopodiformi, i secondi a quello de Decapodiformi. Essendo accumunati dal fatto di essere entrambi animali tentacolati e, per di più, di brutto aspetto, è logico che, soprattutto nei secoli passati, qualche marinaio ignaro dei dotti insegnamenti di Carl Linneo, abbia fatto confusione, finendo per confondere il povero e diffamato polpo con un animale oceanico, questo sì assai meno raccomandabile: l’Archoteutis, detto anche calamaro gigante.
Ma di questo poco docile animale che mi auguro di non incontrare mai in immersione, parleremo nell’ultima e conclusiva parte del nostro racconto.
Argomenti: Daily Nautica