Nelle stive sommerse del Re d’Italia trovata la cassaforte con l’oro della battaglia di Lissa
Una equipe di subacquei croati è riuscita ad entrare nel relitto della pirofregata speronata dagli austriaci alla profondità di 115 metri
Nelle stive sommerse del Re d’Italia trovata la cassaforte con l’oro della battaglia di Lissa
Una equipe di subacquei croati è riuscita ad entrare nel relitto della pirofregata speronata dagli austriaci alla profondità di 115 metri
Nel 2005, il subacqueo croato Lorenz Marović fu il primo a localizzare il relitto del Re d’Italia affondato durante la battaglia di Lissa e ad entrare nelle sue stive. Oggi, lo stesso Marović ha annunciato ai media croati che la sua squadra è riuscita a raggiungere la cassaforte che, secondo conteneva l’oro che il Regno d’Italia aveva stanziato per aprire un sistema bancario in Dalmazia, nell’ipotesi, molto accreditata all’epoca, di una prossima colonizzazione italiana delle terre dall’altra sponda dell’Adriatico, in caso di sconfitta austriaca.
Secondo le fonti, la cassaforte dovrebbe contenere 250 mila lire dell’epoca in monete d’oro, per una valore stimato di varie decine di milioni di euro. “Non sappiamo ancora cosa contenga la cassaforte -ha spiegato Andy, figlio di Lorenz Marović che fa parte della sua squadra di cacciatori di tesori di Komiža– non è facile immergersi a quelle profondità ed organizzare il recupero ma sono certo che ce la faremo. Il Ministero per i Beni Culturali croato ci ha assicurato il permesso di continuare ad immergerci sul relitto e di tentare l’operazione. Ce la faremo. In fondo, abbiamo portato in superficie ancore romane che pesavano anche di più”.
Il relitto del Re d’Italia giace in assetto di navigazione, leggermente reclinato sul lato di dritta, su un fondale che va dai 105 ai 115 metri di profondità, a circa 7 miglia nautiche a nord di Lissa. L’immersione è riservata a subacquei super esperti, in grado di usare complesse miscele e di sopportare tappe di decompressione dalla durata di non meno di 5 ore. La Re d’Italia era una pirofregata – cioè una nave dotata sia di impianto velico che di motore a vapore – varata nel 1863 a New York. Assieme alla sua gemella, Re del Portogallo, faceva parte del piano di potenziamento della Regia Marina Militare voluto da Camillo Benso, conte di Cavour.
La storia di questa nave cominciò già male. Si arenò in un banco di sabbia nella baia di New York durante il viaggio di inaugurazione. Anche i materiali costruttivi si rivelarono scadenti. La cattiva qualità del legno e la sistemazione raffazzonata delle piastre di metallo che dovevano corazzarla costrinsero la Marina a riportarla in cantiere dopo neppure un anno dal varo ma i lavori di ristrutturazione non riuscirono comunque a mascherarne i difetti di costruzione. La corazzatura non copriva tutta l’opera viva – la parte della nave sotto la linea di galleggiamento – e neppure il timone. Cosa che risulterà fatale alla nave durante la sua ultima battaglia. Anche il motore si rivelò presto difettoso e in soli due anni la sua velocità massima scese dai 12 iniziali agli 8 nodi.
In realtà, la pirofregata non era né carne né pesce. Non era un veliero e non era neppure una delle moderne corazzate a motore che stavano preparandosi a dominare i mari. Era nata dalla parte sbagliata della storia e nella sua costruzione sommava le arretratezze dalla navigazione a vela alle deficienze di una tecnologia a vapore che non era stata ancora adeguatamente sviluppata.
Ma allo scoppio della terza guerra d’Indipendenza, alla Re d’Italia fu affidato comunque il compito di guidare la flotta italiana verso le coste dalmate per bombardare l’isola di Lissa, incrociare e distruggere la squadra navale austriaca. La flotta dei Savoia, che contava 12 navi corazzate, 10 pirofregate – tra le quali la Re d’Italia – e 4 cannoniere in legno, salpò da Ancona il 16 luglio del 1966 e si diresse ad est. L’attendeva la più cocente sconfitta della storia della Marina Militare italiana.
La battaglia che ne conseguì il 20 luglio fu una sommatoria di errori degli ufficiali e di inadeguatezza dei mezzi navali della Marina Regia. Prima ancora di arrivare allo scontro, le navi italiane si sparpagliarono sul mare di Lissa e non riuscirono più a recuperare la formazione a causa della lentezza di alcune unità. L’ammiraglio austriaco Wilhelm von Tegetthoff ebbe buon gioco a spezzare in due il fronte italiano con la classica manovra del taglio del T, sfruttando al massimo i propri cannoni ed impedendo agli italiani di riorganizzarsi. La pirofregata Re d’Italia si trovò ben presto isolata. Il comandante Faà di Bruno ordinò l’indietro tutta per cercare di smarcarsi ma il timone era stato distrutto da una cannonata. La manovra riuscì solo a far perdere tutto l’abbrivio della nave che si ritrovò immobile in mezzo al fuoco nemico, senza possibilità di far manovra.
Alla fine, la corazzata Ferdinand Max decise di speronarla di prua, aprendo uno squarcio di 15 metri e causandone l’immediato affondamento. Quel giorno il mare e la guerra trascinarono sul fondo 27 ufficiali e 364 marinai. Alcuni di loro furono addirittura uccisi dal fuoco amico dei cannoni della Palestro e della San Martino che cominciarono a sparare verso la Kaiserin Elizabeth proprio mentre questa stava pietosamente raccogliendo i naufraghi italiani. Tra le vittime del Re d’Italia ci fu anche il celebre pittore Ippolito Caffi che si era imbarcato sulla pirofregata per dipingere la battaglia.
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