Dall’isola d’Elba arriva il Vinum Insulae prodotto con l’uva fatta appassire in fondo al mare
Un viticoltore di Porto Azzurro ha sperimentato una antica tecnica greca depositando sette nasse riempite di grappoli nei fondali marini
Un viticoltore di Porto Azzurro ha sperimentato una antica tecnica greca depositando sette nasse riempite di grappoli nei fondali marini
Una ricetta dimenticata, un vino antico, un’immersione subacquea e un esperimento coraggioso. Ci sono tutti gli ingredienti per un romanzo d’avventura. Si tratta invece di un vino. Ma una vino come nessun altro al mondo. Un vino prodotto da un vitigno antico, i cui grappoli sono stati fatti appassire negli azzurri fondali dell’isola d’Elba. Su Liguria Nautica avevamo già scritto di un vino sommerso. L’azienda Bisson di Sestri Levante, infatti, fa invecchiare le sue bottiglie più pregiate sul fondale. Ma in questo caso, è proprio l’uva che viene immersa in mare.
Proprio come tanti romanzi d’avventura, tutto nasce da un incontro casuale, quello tra il professore di Viticoltura dell’Università di Milano, Attilio Scienza e il l’agricoltore elbano Antonio Arrighi. Il docente aveva studiato le antiche tecniche di viticoltura applicate dai produttori greci dell’isola di Chio oltre 2500 anni fa. Per accelerare la fase di disidratazione dell’uva ed eliminare la pruina dalla superficie degli acini, gli antichi viticoltori greci infilavano i grappoli in ceste di vimini che calavano nel fondale. Il sale marino fungeva da conservante e antiossidante, permettendo ai viticoltori di evitare l’uso dei solfiti e di altre sostanze chimiche che erano sconosciute ai tempi degli antichi greci.
“Da tanto tempo sognavo di incontrare qualcuno disposto a sperimentare questa tecnica – ha dichiarato in un’intervista a Radio Capital il dottor Scienza – quando si è fatto avanti Antonio Arrighi, uno dei più importanti produttori di vino dell’isola d’Elba, quasi non ci credevo!”.
I due si incontrano in occasione della rassegna di vini pregiati ElbAleatico che si svolge ogni anno all’isola d’Elba. Antonio Arrighi è un produttore coraggioso e non nuovo a sperimentazioni. Nella sua azienda vitivinicola, a Porto Azzurro, ha già ricreato vini antichi incrociando uve provenienti da altre regioni. Per il suo vino più famoso, l’Hermia, Arrighi ha optato per la vinificazione in anfore di terracotta, invece che nei consueti contenitori in acciaio o nelle botti in legno, così come si faceva ai tempi della Roma Imperiale.
Su suggerimento del professor Scienza, il viticoltore elbano sceglie l’ansonica, un vitigno di uva bianca che, tra l’altro, è originario proprio dell’isola di Chio. Per l’esperimento, Arrighi riempie di uva sette grandi nasse di vimini, intrecciate a maglia fine dagli artigiani di Castelsardo, in Sardegna. Due subacquei suoi amici si incaricano di depositarle sul fondale antistante Porto Azzurro ad una profondità di sette metri e, per sette giorni, di monitorare il processo di disidratazione degli acini. Una settimana dopo, l’uva viene riportata in superficie e macerata in anfore di terracotta.
Tutto questo accadeva nell’autunno di un anno fa. Da questa prima vendemmia sommersa sono state prodotte una quarantina di bottiglie. Il primo assaggio è avvenuto nella primavera ed i risultati sono stati talmente positivi che Antonio Arrighi ha deciso di ripetere l’esperienza questo autunno, con un quantitativo assai più considerevole di uva, per dare il via alla commercializzazione di questo nuovo, e nel stesso tempo antico, vino. Il nome scelto è Vinum Insulae, il vino dell’isola. “Assaporare questo vino – ha dichiarato il professor Scienza – è come evocare un mito e associare alla memoria di qualcosa di antico un gusto moderno”.
Argomenti: Daily Nautica
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