Il relitto della Fremur nel Canale della Manica
La Fremur era in origine un piccolo mercantile, costruito nel 1939 in Olanda e varato col nome di Doggersbank
La Fremur era in origine un piccolo mercantile, costruito nel 1939 in Olanda e varato col nome di Doggersbank
Saint-Malo è una città magnifica e affascinante. Distrutta quasi per intero dai bombardamenti americani durante il secondo conflitto mondiale, è stata ricostruita in maniera più fedele possibile al passato e, ancora oggi, in essa si respira un’aria d’altri tempi che si può comprendere solo conoscendone la storia, così legata alla sua posizione. Il centro storico è costruito su un’isola collegata alla costa ed è cinto da possenti bastioni che si affacciano sul Canale della Manica, dove le acque sono soggette al famoso fenomeno delle maree, che qui hanno un’ampiezza superiore ai dieci metri.
L’antica città gallo-romana di Aleth prese il nuovo nome nel VI secolo dal monaco Mac Low, venuto dal Galles per evangelizzare i suoi abitanti, così fortemente legati al mare. Nei secoli successivi la città fu conosciuta per i suoi tentativi di indipendenza sia dai francesi che dai bretoni ma soprattutto fu considerata la “città dei corsari“. A differenza dei pirati, che agivano per proprio esclusivo interesse, i corsari erano in possesso di una patente che legalizzava, da parte del re, la “guerra di corsa” contro le navi di altre nazioni. Il nemico numero uno, come ancora indica con una mano la statua del grande corsaro Surcouf, era l’Inghilterra.
Erano grandi velisti assuefatti alle burrasche dei mari del nord, come Jacques Cartier, lo scopritore del Canada, che prese possesso di quelle terre nel 1534 in nome del re di Francia Francesco I. Questa passione per la vela non è mai venuta a mancare, tanto che, ancora oggi, la città viene considerata la capitale francese della vela, come testimonia una delle più note regate transatlantiche, la Route du Rhum, che ogni quattro anni vede i protagonisti attraversare l’oceano in solitaria da Saint-Malo fino all’isola di Guadalupa, nelle Antille.
Nelle acque antistanti la città e la sua costa vi sono infiniti relitti visitabili dai subacquei, navi affondate per tempeste, errori umani o eventi bellici. Io mi sono immerso su alcuni di essi con un eccezionale centro immersioni malouino, il Saint Malo Plongée Émeraude. Scendere sott’acqua nel Canale della Manica non è particolarmente difficile ma costringe a tenere ben presente alcune caratteristiche dei suoi fondali: la visibilità non è mai eccezionale e può scendere di colpo e l’acqua è di un “rasserenante” grigio-verde. D’estate la temperatura è intorno ai 16 gradi, che ti fanno ringraziare di aver portato la muta stagna, e la superficie del mare non è mai calma.
Il punto principale da tenere in considerazione è però la fortissima corrente, causata dalle maree: si scende sotto la superficie solo nel cosiddetto “cavo di marea“, cioè quando la marea entrante e quella uscente si vanno a sostituire. In quel momento preciso si ha un periodo di relativa calma, con la corrente che prima spinge da una parte e poi dall’altra. È quindi indispensabile organizzare le uscite con chi conosce bene questo mare, altrimenti si rischia di scoprire nuovamente il Canada come Cartier, galleggiando nella muta.
Le origini del relitto della Fremur
Un’immersione poco interessante dal punto di vista storico ma molto gradevole da quello subacqueo è quella sul relitto della Fremur. Il piccolo mercantile venne costruito nel 1939 in Olanda, presso i cantieri Bodewes Scheepswerven Martenshoek, vicino a Groeningen, e varato col nome di Doggersbank. Era lungo 39 metri per 6 di larghezza, aveva (secondo alcune fonti) un peso di 208 tonnellate ed era mosso da un motore diesel Bolnes a tre cilindri da 180 CV. La sua vita industriosa ebbe anche un momento di gloria. A cavallo tra maggio e giugno 1940 partecipò infatti all’operazione Dynamo, l’evacuazione delle truppe alleate dalle spiagge di Dunkerque: in tre viaggi riuscì a rimpatriare ben 1.200 militari, riportandoli sulle coste britanniche.
La nave rimase olandese fino al 1949, quando venne venduta alla Société Bretonne de Cabotage di Paimpol, che ne mutò il nome in Goelo, continuando a destinarla al trasporto di materiale grezzo, come il cemento. Nel 1959 l’imprenditore Daniel Rouiller acquistò però un capannone sulle banchine di Saint-Malo e, dotandolo di un macchinario per la lavorazione del maerl, fondò la società TIMAC, acronimo per “Trasformazione Industriale del Maerl in Ammendanti Calcarei”. Ma di cosa si tratta?
Il maerl
Il maerl è una piccola alga rossa con uno scheletro calcareo simile al corallo che non rimane fissa sul fondo del mare ma tende a rimanerne vicino e a formare degli strati spessi anche diversi metri, grazie alla pesantezza dello scheletro. Le proprietà di quest’alga sono conosciute dalla fine del Seicento. I carbonati contenuti nello scheletro neutralizzano l’acidità dei terreni granitici bretoni e la sua ricchezza di magnesio e ferro fornisce a questi terreni materia organica e oligoelementi: un fertilizzante naturale molto efficace. Oggi viene utilizzato anche in farmacia, nella cosmetica, nell’alimentazione animale e nel trattamento delle acque. La sua raccolta, fatta per molto tempo in maniera indiscriminata, rischia di degradare un habitat particolare per le specie marine.
L’affondamento
Alla TIMAC di Saint-Malo mancava solo una cosa: una nave adatta alla raccolta. Acquistò quindi il piccolo mercantile nel 1960, lo rinominò Fremur (un fiume della zona) e lo trasformò in draga, destinandolo alla raccolta di maerl al largo di Erquy, nella Côtes d’Armor. Nel 1972 stava ritornando verso Saint-Malo, dopo aver riempito di alghe le sue stive. Era troppo carica e sedeva bassa sull’acqua. Una volta superato Cap Fréhel, il vento aumentò e lo stesso fece il mare, con onde sempre più alte che spazzavano il ponte.
Una volta arrivato al largo di Saint-Cast-le-Guildo, la Fremur stava imbarcando più acqua di quanta le pompe riuscissero a smaltire. I tre marinai fecero in tempo a lanciare un SOS e a scendere nella scialuppa di salvataggio, poi la nave si capovolse vicino all’Ile des Ébihens, alle quattro del mattino. Miracolosamente i membri dell’equipaggio vennero raccolti da un’altra draga, la Fort Lalatte di Caen, giunta in seguito alla chiamata di soccorso.
La nave si poggiò su un fondo sabbioso, tra i 20 e i 25 metri di profondità. Costituendo un potenziale pericolo per la navigazione, le autorità decisero di demolirla con l’esplosivo. Oggi è difficile da localizzare, in quanto la prua, che costituisce la parte più integra del relitto, si alza solo di due o tre metri dal fondale. Il problema principale per le immersioni rimane però la corrente, che in quest’area può essere davvero violenta e che costringe a riservare le discese ai rari momenti di calma piatta. Forse per le condizioni marine, o perché il relitto non costituisce il classico punto di ferraggio dei pescatori, o perché visitato solo di rado, fatto sta che è sempre un’incredibile oasi di vita marina.
L’immersione
La mia immersione si è svolta in ottime condizioni meteomarine: una ragguardevole temperatura esterna di ben 21 gradi (ad agosto) e 17 sul fondo, con una visibilità superiore alla media. Il relitto è orientato in direzione nord-sud, con la prua rialzata dal fondale che punta a meridione ed è ricchissima di vita marina. Qui abbondano i merluzzi gialli e i merluzzetti striati (i tacauds della cucina bretone) ma si trovano anche astici e aragoste, granseole e granchi di varie specie, branzini, gronghi, seppie, sardine, alcionari, cerianthus, ecc. Ne risulta un’immersione meravigliosa, durante la quale i pesci si spostano a malapena al passaggio di un subacqueo: d’altronde è casa loro.
La prua rovesciata è ancora ben distinguibile, con un occhio di cubia che offre rifugio a qualche animale, mentre la parte centrale del relitto è molto rovinata e lascia intendere parte dello scheletro con chiglia e ordinate, altrimenti solo un mucchio di lamiere, fra le quali sembra ancora di distinguere la vecchia vernice blu. Il breve passaggio sotto le lamiere della prua è emozionante e ricco di pesci, che ti passano molto vicini. Il resto dell’immersione è proprio rivolto a cercare la vita marina, fotografandola o giocando con essa.
Passando da queste parti, è un relitto che merita di essere visitato, un’immersione che ricorderete per la sua storia e la sua ricchezza di vita e che suscita emozione come ogni cosa nelle terre e nelle acque della Bretagna. Per altre storie di mare e di immersioni subacquee, vi rimando alla lettura di “Storie Sommerse – Esplorazioni tra i relitti“, edito da Il Frangente di Verona.