Gianni Risso a DN: “Le mie immersioni con Vittorio Emanuele di Savoia” – Foto
Il fotografo e giornalista subacqueo Gianni Risso racconta le sue immersioni in Corsica con il principe Vittorio Emanuele di Savoia scomparso nei giorni scorsi
Il fotografo e giornalista subacqueo Gianni Risso racconta le sue immersioni in Corsica con il principe Vittorio Emanuele di Savoia scomparso nei giorni scorsi
Vittorio Emanuele di Savoia, figlio dell’ultimo re d’Italia Umberto II, è scomparso lo scorso 3 febbraio e di lui si è scritto molto in questi giorni. Molti però non sanno che una delle più grandi passioni di questo personaggio controverso, costretto all’esilio dopo l’entrata in vigore della Costituzione repubblicana, era quella per la subacquea.
A svelarci alcuni curiosi aneddoti di Vittorio Emanuele in versione sub, il nostro storico collaboratore Gianni Risso, fotografo e giornalista subacqueo, che si è immerso più volte con lui nei fondali della Corsica. Una serie di avventure nel mondo sommerso ma non solo, da cui è nata una vera e propria amicizia.
In quale occasione ha incontrato Vittorio Emanuele di Savoia in Corsica?
Io conosco molte persone che lavorano nel mondo della subacquea, nel giornalismo e nella fotografia. Il principe era molto appassionato di archeologia subacquea e quando soggiornava in Corsica, all’Isola di Cavallo, passava tante ore in cerca di reperti. Vittorio Emanuele aveva commissionato una muta dello spessore di 5 millimetri alla società Ascanio, di proprietà del mio amico Parodi, che la disegnò e la modellò. Il principe, soddisfatto dell’indumento, chiese a Parodi se conosceva un fotografo subacqueo, perché voleva essere ripreso durante le immersioni e Parodi ha subito fatto il mio nome.
Può rivelarci qualche aneddoto delle sue immersioni con il principe?
Be’, mi volete compromettere con la casa Savoia? Posso dire che prima e dopo l’immersione si brindava con un alcolico “forte”: ci bevevamo un bel grappino! Ovviamente proposto e offerto da Vittorio Emanuele. Diciamo che eravamo un po’ allegri ma le immersioni erano sempre in assoluta sicurezza.
Vittorio Emanuele le avrà raccontato delle immersioni che aveva fatto in giro per il mondo?
Certo, ricordo ancora le sue parole, anche perché le avevo registrate. Le più belle sono quelle che fece a Papeete e nel sud del Messico, quando praticamente non c’era turismo e i pesci vivevano indisturbati e senza inquinamento. Raccontava sempre che una volta, ai Caraibi, trovò una murena gigante con un collo enorme e i denti simili a quelli di un labrador: era un animale rappresentativo del patrimonio naturalistico di quell’isola e aveva più di cento anni. In Messico fu affascinato dalle grandi cernie e dai pesci sega e rimase estasiato quando vide i grandi branchi di mante. Si trovavano nei pressi di alcuni faraglioni: erano pesci inoffensivi di oltre cinque metri di larghezza e formavano dei muri che oscuravano i raggi del sole che penetravano nelle acque. Raccontava poi delle forti emozioni che provò nella Baja California. Una volta, rientrando a nuoto, si imbatté in un’orca. Furono momenti terribili, aveva paura e pensava che fosse finita ma fortunatamente l’orca non lo attaccò. Inoltre, raccontava che sugli scaffali di casa sua, una dimora tutta scavata nella roccia nell’Isola di Cavallo, aveva più di 1.700 conchiglie diverse, raccolte personalmente durante i suoi viaggi.
Ricorda altre avventure vissute con lui?
Durante il secondo invito da parte di Vittorio Emanuele a Cavallo, ci siamo organizzati per un’immersione alla ricerca di qualche raro pezzo archeologico. Nella compagnia c’erano René e mio figlio Iskandar e il principe si era munito di un metal detector. Ci immergemmo per trovare un esemplare da museo ma la ricerca si fece dura, nonostante il solito grappino iniziale. Finalmente il principe trovò un reperto, ma si trattava di una pallina da golf che, chissà come, era finita tra le posidonie. Così per quel giorno finì tutto a risate, grazie anche al grappino di fine immersione.
E a proposito della sua passione per la subacquea, cosa le disse il principe?
Lo ricordo bene. Disse: ‘Avrò avuto 14 anni, ero nella piscina di mia madre a Ginevra e il professor Piccard mi fece provare per la prima volta una maschera con il tubo respiratore. Alcuni anni dopo, in Costa Azzurra, mi immersi con le bombole con il leggendario Cousteau e fui folgorato dall’ambiente sottomarino straordinario, magnifico. L’acqua era limpida come qui a Cavallo. Mi entusiasmai subito'”.
Parlaste anche di aree marine protette?
Era assolutamente contrario alla possibilità di pescare nelle aree marine. Affermava convinto che le riserve dovrebbero essere aperte liberamente ai sub, rispettando semplici regole e naturalmente con il divieto di fare pesca subacquea. La riserva di Lavezzi dovrebbe costituire un ottimo esempio in questo senso. Aveva un solo rimpianto per Lavezzi, ovvero il fatto che potevano esserci ancora le foche monache se i pescatori non le avessero uccise tutte perché danneggiavano le reti.
Antonio Bovetti