Immergersi a Mnemba nell’Oceano Indiano – Foto e video
L’isola è semplicemente magnifica e assomiglia alle Maldive: blu notte il mare, azzurro il cielo e bianche le spiagge circondate dal verde delle palme
L’isola è semplicemente magnifica e assomiglia alle Maldive: blu notte il mare, azzurro il cielo e bianche le spiagge circondate dal verde delle palme
Zanzibar, l’isola delle spezie, è uno straordinario luogo di vacanza molto frequentato dai turisti italiani, al largo della costa orientale africana. Nel 1964, in maniera molto “furba”, i rivoluzionari che avevano deposto il sultano e il governo liberamente eletto decisero l’unione col poverissimo Tanganika, che per ringraziarli cambiò il suo nome in Tanzania e trasmise loro la medesima povertà. L’isola è rinomata per le sue magnifiche spiagge e per la capitale, Stone Town, patrimonio dell’Umanità dell’UNESCO e luogo di nascita di Freddie Mercury. Imperdibili poi le coltivazioni di spezie, Prison Island (il luogo di quarantena degli schiavi) con le sue tartarughe giganti e Nakupenda, una striscia di sabbia che emerge dal mare sulla quale si fanno delle fantastiche grigliate di pesce fresco.
Zanzibar è però anche un’interessante, sebbene poco conosciuta, meta per le immersioni subacquee. Vicina al continente africano, l’isola presenta due realtà differenti: la costa ovest offre una minore visibilità ma correnti accettabili, mentre sul lato orientale, rivolto verso l’oceano e soggetto al fenomeno delle maree, le correnti sono molto forti. Su quest’ultimo lato uno dei luoghi più conosciuti per ammirare i paesaggi sommersi è l’atollo di Mnemba, un’isola corallina di proprietà privata posta di fronte alla costa nord-orientale, circondata da una magnifica barriera. Qui ho fatto magnifiche immersioni, tra un mare da sogno e subacquei da incubo, esperienze ed emozioni che non si possono dimenticare.
Un inizio “complicato”
Avevo contattato da casa l’efficientissimo (si fa per dire) diving center inglese situato a pochi chilometri dal mio resort. Mi ero premurato di dare conferma e infine avevo mandato un messaggio una volta giunto sul posto, per ribadire la mia presenza il giorno successivo. La sveglia è prima dell’alba ma è sempre meglio fare le cose con calma, anche saltando la colazione. Le speranze e l’emozione quelle di sempre, una volta programmata una discesa nel blu. Uscito dal muro che circonda il resort, mi siedo su un muretto in compagnia del guardiano zanzibarino a fumare una delle ultime sigarette della mia vita, mentre il sole si alza alle mie spalle illuminando la giungla. Dopo un po’ di tempo mi sono chiari due concetti: il primo è che gli abitanti dell’isola sono molto socievoli e amano chiacchierare, anche quando la differenza linguistica non è d’aiuto, il secondo è che il diving si è chiaramente dimenticato di me. Del pick up non c’è traccia e il loro telefono suona muto.
Mi trovo però in Africa, dove la gente si aiuta a vicenda anche per le questioni più sciocche. La soluzione viene così dal mio nuovo amico, che, grazie a una serie di passaparola, fa arrivare un’auto con un conducente che sa dove portarmi. Arrivati al centro immersioni trovo delle persone estremamente scostanti, innervosite dal dover pagare il “tassista”, che trattano con una forma palese di razzismo. Io sono solo di un piccolo gradino più in alto in quanto turista pagante ma rimango un italiano “pizza e mandolino”, è chiaro. La colpa del mancato transfert è mia, perché avrei dovuto telefonare per la quarta conferma. In più mi fanno pagare le uscite in anticipo: una cifra spropositata che permette loro di recuperare ampiamente la spesa del trasferimento col tassista improvvisato. Una vera simpatia a pelle.
Verso il sito di immersione
Salgo quindi su un camioncino che attraversa la giungla e mi porta all’enorme spiaggia di Muyuni, dove arrivano i pescatori col pesce. La distesa di sabbia è immensa e il suo candore accecante contrasta con l’incredibile azzurro del cielo, qualche alga, il legno delle barche e la pelle dei pescatori, il cui sorriso è però identico. Qui facciamo un lunghissimo tratto a piedi con l’attrezzatura, per poi entrare in acqua e salire, arrampicandoci in mezzo alle onde, su una piccola barca di legno. Questa, a sua volta, si dirige verso la barca grande, che ci ospiterà per la giornata di immersioni, le quali si fanno decisamente desiderare. La barca grande inizia così ad attraversare il tratto di mare fino a Mnemba, dove butterà l’ancora in una baia riparata ma senza la possibilità di scendere sull’isola, vietata ai turisti in quanto privata. La bellezza del luogo non riesce tuttavia a trasmettermi serenità, perché la sensazione che provo è di un costante fastidio, causato in parte dalle difficoltà di trasferimento (che immagino si ripeteranno al ritorno) e in parte dal comportamento dei titolari: i semidei, circondati dai privilegiati subacquei inglesi e tedeschi, poi io e finalmente gli zanzibarini, considerati al livello della servitù. Non riesco a non parteggiare per questi ultimi.
Quando però arriviamo alla baia d’ormeggio, ogni pensiero negativo svanisce come nebbia al sole. L’isola è semplicemente magnifica e assomiglia alle Maldive, il mare ha dei colori meravigliosi e il ragazzo di fronte a me (che peserà 200 kg) sta cominciando a preparare il pranzo: riso e della frutta incantevole che mi consente di rubare per riempire la pancia che si sta lamentando. Mentre assaporo la frutta succosa ho davanti agli occhi uno scenario pazzesco, con il sole che brucia e accende di colori pastello l’ambiente circostante: blu notte il mare, azzurro il cielo e bianche le spiagge circondate dal verde delle palme. Un vero paradiso.
L’immersione
Una volta finita la preparazione dell’attrezzatura, scopro con grande piacere di essere l’unico subacqueo affidato a una guida a me dedicata. Perfetto, cosa volere di più? Questa guida, di cui non ho mai compreso il nome, mi fa una raccomandazione che ripete per ben tre volte, per essere certo che il suo Zanz-english sia riuscito a collimare col mio Ital-english: si scende e poi a metà bombola si torna indietro. Nessuna eccezione. Ok, ho capito, inutile insistere. Saliamo sulla barca piccola, che si sposta di un centinaio di metri, e sbrighiamo gli ultimi preparativi. Un sorriso, l’ok e l’erogatore in bocca.
Scendiamo direttamente sotto la superficie e mi trovo davanti a un vero spettacolo. Il reef è bello, anche se non ai livelli del Mar Rosso, ma la vita marina presente è di un quantitativo e di una varietà impressionanti. Non sono però i pesci a circondarci ma siamo noi ad attraversare come frecce i diversi banchi, lanciati da una specie di fiume sommerso a una velocità pazzesca, da pass maldiviana, nel quale le pinne servono solo come timone per modificare, almeno in parte, la direzione. La visibilità è intorno ai 30 metri e la temperatura è eccezionale, intorno ai 30 gradi sia in profondità che in superficie, tanto da farti sentire completamente a tuo agio con un mutino shorty da 3 mm.
Attraversiamo nuvole di grunt fish, sfioriamo jack fish enormi (simili alle nostre ricciole), pesci pagliaccio, scatola, palla, napoleone e poi balestra di diverse specie, cernie, pesci foglia e coccodrillo, polpi, tartarughe e murene, in mezzo a colori e a una luce incredibili. Ci sono anche diverse specie che non conosco, in esemplari singoli o in gruppi più o meno grandi, ma il gioco sta diventando quello di cercare il banco di grugnitori più grande, per poi attraversarlo ridendo come bambini. Riesco a fare foto e a filmare nei rari tratti in cui la corrente pare quietarsi un poco, però mi rimane un tarlo per tutta l’immersione: come cavolo torniamo indietro pinneggiando? Comincio quindi a segnalargli i miei consumi. “150 bar. Torniamo?”. Mi guarda come stupito e alza le spalle. Probabilmente si sta divertendo come un pazzo anche lui. E quando gli ricapita un italiano con una grande macchina fotografica che non crea problemi e non fa altro che divertirsi? Passati i 100 bar ormai è ovvio: risaliremo chissà dove. A saperlo prima stavo più sereno.
L’immersione, fatta praticamente senza sforzo e a basse profondità, dura parecchio tempo e quando arriviamo insieme ai 50 bar, la guida lancia il pallone e torniamo in superficie. Il cielo è azzurro, il mare blu notte e il sole è giallo sopra di noi ma non si vede nient’altro. Siamo in mezzo all’oceano e non si vede nulla, a parte un’infinita distesa di acque blu. Mi sento più perplesso che spaventato. Immagino che il diving non si ponga grandi problemi per la perdita di una guida ma alla fine io sono pur sempre un subacqueo pagante. Ah già, dimenticavo: ho saldato in anticipo. Dopo un quarto d’ora passato a galleggiare come un turacciolo, comincio a diventare nervoso. Passano pochi minuti e ho la sensazione di sentire una zanzara in lontananza. Sì, è una barca che, grazie a Dio, si sta avvicinando. Per caso, una botta di fortuna. Quando è ormai vicina, la guida comincia a sbracciarsi freneticamente e in swahili chiede al pescatore un passaggio fino a Mnemba. Quest’ultimo sembra abituato, ci raccoglie e i due si mettono a chiacchierare tranquilli mentre io li guardo. Niente da fare, le emozioni oggi vanno come un roller coaster e infatti, quando poco dopo incrociamo una famigliola di delfini, il “capitano” mi lascia tuffare in mezzo a loro per vivere dei momenti che non dimenticherò mai.
Il rientro sulla barca grande mi regala un piacevole senso di sicurezza e il mio amico gigante mi riempie il piatto di cibo e di frutta zanzibarina, che ha un sapore difficile da ritrovare. È quindi il momento della siesta, cullati da dolci onde e da una brezza rinfrescante. Magnifico, me la sono proprio meritata. Ma appena mi addormento sento una mano scuotermi la spalla: è la mia guida, che mi avverte che è giunto il momento di prepararmi per la seconda immersione. “Adesso scendiamo da quella parte ma fai attenzione, a metà consumo ci giriamo e torniamo indietro”. Seee, immagino. E infatti è un’altra bella immersione in drift, veloci come siluri, stavolta però recuperati dalla barca piccola del diving center.