Subacquea, storia ed evoluzioni dei rebreather
Compatti apparati a circuito chiuso supportati dall'elettronica, i Rebreather si basano sul principio della calce sodata che imprigiona l'anidride carbonica
Compatti apparati a circuito chiuso supportati dall'elettronica, i Rebreather si basano sul principio della calce sodata che imprigiona l'anidride carbonica
È iniziata la stagione delle immersioni e i rebreather sono sempre di più. Compatti apparati a circuito chiuso supportati dall’elettronica, che gestiscono i gas di respirazione in funzione della profondità e consentono immersioni oltre i cento metri in autonomia, i rebreather si stanno diffondendo sempre più fra i subacquei sia per immersioni ricreative che professionali.
L’evoluzione e la diffusione di queste apparecchiature hanno spinto i costruttori a studiare nuovi sistemi di facile utilizzo e con costi più accessibili. Basta pensare che i primi apparati costavano più di 10 mila euro. Il rebreather, come l’ARO, è un autorespiratore che può essere utilizzato solo dopo corsi dedicati ad esperti e si basa sull’insostituibile principio della calce sodata che imprigiona l’anidride carbonica, il sottoprodotto del consumo dell’ossigeno utilizzato dal nostro corpo.
Apparecchio di respirazione a circuito chiuso inventato alla fine dell’Ottocento come sistema di emergenza per intervenire nelle miniere invase da gas non respirabile, il suo primo adattamento all’uso subacqueo fu dell’inglese Herry Fleuss. Poi restò nel limbo fino a quando l’ingegnere ed eroe di guerra Teseo Tesei, palombaro della Marina Italiana, lo modificò rendendolo utilizzabile anche per immersioni prolungate, con la collaborazione del comandante Angelo Belloni.
Nell’ultimo conflitto divenne un mezzo bellico militare gelosamente tenuto nascosto. Il gruppo della Decima MAS, infatti, ne fece ampio uso per molte imprese contro navi nemiche. Questo respiratore, grazie alla sua leggerezza, consentiva infatti ai sommozzatori una permanenza in immersione di circa tre ore, rendendoli invisibili perché non rilasciava bolle che potevano essere avvistate dalle vedette delle navi, entrando così nella storia delle imprese belliche. Al temine del conflitto venne divulgata la sua utilità e commercializzato come autorespiratore ad ossigeno (ARO) da Egidio Cressi, fondatore della Cressi Sub.
Purtroppo, a causa dell’uso errato di questo particolare respiratore, si verificarono molti incidenti mortali per la tossicità dell’ossigeno (se inspirato oltre i 6 metri) o per errate manovre che impedivano al gas respirato di essere riciclato dal canestro della calce sodata, deputata a trattenere l’anidride carbonica. Nel 1947, durante la prova di un prototipo, perse la vita un famoso subacqueo del dopoguerra, Dario Gonzatti.
Per non dimenticarlo, i suoi amici Egidio Cressi e Duilio Marcante (con cui collaborava per testare il respiratore) gli dedicarono due suggestive immersioni nel parco marino di Portofino, oggi conosciute da tutti i subacquei, la “Targa Gonzatti” e la “Secca Gonzatti“. Oltre a queste due immersioni, l’amico di sempre Duilio Marcante, a seguito della perdita del suo compagno, maturò l’idea di una raffigurazione che proteggesse tutti i subacquei e nel 1954 realizzò la sua impresa posizionando sott’acqua il “Cristo degli Abisssi“.
Argomenti: #subacquea, Daily Nautica
Solo una precisazione, l’A.R.O. non deriva direttamente dall’apparecchio Fleuss ma dal Davis ideato dal LTC Swid Momsen per la fuoriuscita d’emergenza dai sommergibili in seguito modificato e sperimentato dall’ingegner Belloni ed applicato dal T.V. T. Testi per l’utilizzo sui SLC. Modificato a sua volta ( riduzione) dal T.V. Wolk per l’utilizzo con gli uomini gamma. Il limite dell’utilizzo dell’apparecchio ad ossigeno è di 12 m ovvero ad una pt di 2,2 Atm equivalente alla pp. dell’ossigeno. Esiste una tabella che indica i tempi di esposizione in immersione all’ossigeno puro. Per esempio 12 m max 15′.
Cordialmente.
Paolo Vivaldi.