Scoperta roccia che contiene gli scheletri dei pirati di Black Sam Bellamy
Il Whydah Pirate Museum, dedicato alla nave Whydah Gally del pirata Black Sam Bellamy, ha annunciato il recupero di una roccia che contiene 6 scheletri dei pirati della nave concrezionati ad essa
Il Whydah Pirate Museum, dedicato alla nave Whydah Gally del pirata Black Sam Bellamy, ha annunciato il recupero di una roccia che contiene 6 scheletri dei pirati della nave concrezionati ad essa
“Quindici uomini sulla cassa del morto yo-ho-ho e una bottiglia di rum per conforto!”. Chi non ha letto l’Isola del Tesoro di Robert Louis Stevenson? Oro, oro, i famosi pezzi da otto. Questo cercavano di arraffare i pirati navigando per i sette mari ma soprattutto lungo le rotte che le navi cariche di preziosi seguivano dalle Americhe fino in Spagna.
Brutti, lerci, con l’uncino e la gamba di legno. Pochi uomini sono entrati nei nostri sogni di bambini come loro. Diciamo anche da adulti, con la saga dei Pirati dei Caraibi e Johnny Depp alla caccia di fantastici tesori. A Cape Cod, nel Massachusetts, c’è chi trasforma questi sogni in realtà: è l’équipe di Barry Clifford, famoso esploratore subacqueo che con il suo team di archeologi marini ha trovato, nel 1984, i resti della Whydah Gally, la nave del pirata Black Sam Bellamy.
Sam Bellamy era una leggenda. Nato in Inghilterra nel 1689, era l’ultimo di sei figli e sua madre morì dandolo alla luce. A otto anni era già imbarcato come mozzo su una nave di Sua Maestà Britannica. Dopo mille avventure, diverse battaglie, una moglie e un figlio, si trasferì a Cape Cod, dove si innamorò di Maria Hallett, una ragazza di 15 anni che rimase incinta.
Partito per cercare fortuna, finì per diventare un pirata e presto il capitano di una nave. Bello, con i capelli lunghi raccolti in una coda (era senza parrucca, per questo il soprannome di Black), quattro pistole alla cintura e una fortuna sfacciata: in un anno di carriera catturò 53 navi. Il suo equipaggio lo adorava, costituito com’era da schiavi liberati e uomini a caccia di tesori che lui accumulava facilmente. Inoltre, era generoso con gli uomini che catturava e affascinante con le donne.
Nel 1717 il suo colpo più importante: la Whydah, diretta verso la Giamaica con un carico di oro e pietre preziose (dopo aver scaricato gli schiavi provenienti dall’Africa). Una vera fortuna per il “Principe dei Pirati” e il suo equipaggio, anche se fu l’ultima. Infatti, mentre stava ritornando dalla bella Maria, una terribile bonaccia, seguita da una tempesta improvvisa, fece affondare la nave, che portò con sé quasi tutti i pirati e la sua leggenda. Si salvarono solo due uomini sui 146 dell’equipaggio. Bellamy aveva solo 29 anni.
Barry Clifford è riuscito a trovare i resti della nave e parte del carico, finito prima nel Museum of Natural Science di Houston e poi in quello costruito appositamente a Cape Cod, il Whydah Pirate Museum, dedicato all’unico relitto appartenente con sicurezza ad una nave pirata. In questi anni i ricercatori non hanno mai smesso di indagare e cercare nuovi reperti. Sono riusciti a rintracciare il discendente inglese di Sam Bellamy nel Devon e a confrontare il suo Dna con quello di una fossa comune dove erano stati sepolti i resti dei marinai raccolti sulla costa dopo la tempesta. Niente, nessun riscontro.
Hanno poi continuato a scavare sul fondo trovando altri pezzi della nave e hanno scoperto che la cabina del capitano si trovava negli ambienti dell’equipaggio, confermando le voci relative alla sua liberalità (davvero anomala a quei tempi), al fatto che si sentisse primus inter pares, primo tra uguali, ovvero non superiore ai suoi uomini, che per questo lo adoravano. Pensate al sentimento degli ex schiavi neri, divenuti grazie a lui uomini liberi e quindi con gli stessi diritti degli altri marinai. Era una forma ante litteram di democrazia: Sam Bellamy era il capitano perché erano i suoi a volerlo.
Pochi giorni fa la rete americana WBZ, affiliata alla CNN, ha emesso un comunicato del Whydah Museum in cui si annuncia che i ricercatori subacquei hanno recuperato una roccia che contiene 6 scheletri dei pirati della nave concrezionati ad essa. Che uno di essi sia del loro principe? Gli uomini del museo lo sperano. Le ricerche sono sempre difficili in quella zona, a causa delle forti correnti, delle nebbie e delle condizioni meteomarine instabili, che hanno fatto ribattezzare l’area “The Graveyard of the North Atlantic”, il cimitero del Nord Atlantico.
In più la visibilità sotto la superficie, a volte, è veramente terribile. Barry Clifford ha raccontato che la nave si è capovolta durante l’affondamento, facendo finire il suo contenuto su un banco di sabbia. Cercare qualcosa là sotto è come cercare un penny caduto su un cumulo di neve a gennaio e volerlo ritrovare a luglio. Dove può essere finito? Questo il grande problema degli archeologi del museo, progettato per visitatori “tra i 6 e i 106 anni” che vanno a vedere l’unico vero tesoro di pirati del mondo: un’esperienza eccezionale. Le rocce rinvenute questi giorni sembrano contenere, oltre alle ossa, anche piccoli lingotti d’oro, monete d’argento e una pistola. Forse proprio una di quelle che usava Black Sam Bellamy.
Argomenti: Daily Nautica, mare