24 giugno 2021

Giovanna Vitelli a LN: “Il turismo nautico in Italia? Si potrebbe fare molto di più. Ecco come”

24 giugno 2021

Giovanna Vitelli, vice presidente di Azimut Benetti, dialoga con Liguria Nautica sul turismo nautico in Italia, sulla legislazione che regola il diporto nel nostro Paese e propone alcune idee per rendere l’Italia del mare e dei porti più attrattiva

Giovanna Vitelli a LN: “Il turismo nautico in Italia? Si potrebbe fare molto di più. Ecco come”

Giovanna Vitelli, vice presidente di Azimut Benetti, dialoga con Liguria Nautica sul turismo nautico in Italia, sulla legislazione che regola il diporto nel nostro Paese e propone alcune idee per rendere l’Italia del mare e dei porti più attrattiva

14 minuti di lettura

“Il turismo nautico in Italia è soltanto marginalmente sfruttato“. Lo sostiene Giovanna Vitelli, vice presidente del Gruppo Azimut Benetti. A spiegarne i motivi è lei stessa in un intervento nel volume “Turismo di Alta gamma. Leva strategica per l’Italia”, il “libro bianco” di Altagamma, associazione di cui è vice presidente per la nautica. Si tratta di un rapporto di studi,  che tocca vari ambiti del lusso, come la moda, i motori, l’accoglienza alberghiera, la gioielleria, il cibo e ovviamente la nautica, declinati come motori del turismo in Italia.

Giovanna Vitelli individua le lacune di un Paese dal potenziale altissimo ma non così attrattivo come alcuni Paesi vicini, nella mancanza di infrastrutture, in anni di disinteresse, o peggio scarsa percezione, della classe politica nei confronti della nautica e in una legislazione a cui manca sempre qualcosa per essere efficiente ed efficace.

LN – Dottoressa Vitelli, il turismo nautico in Italia è come si diceva di certi allievi a scuola: è capace ma non si applica. Voi cantieri italiani siete i migliori al mondo nella produzione di superyacht, l’Italia ha 8 mila chilometri di coste stupende: un potenziale altissimo, ma che lei definisce “solo marginalmente sfruttato”. Cosa non funziona?

GV – Secondo me, sono due le componenti che partecipano a un potenziale non completamente sfruttato. Da un lato un aspetto infrastrutturale, quindi più connesso proprio alla tipologia e alla distribuzione delle nostre marine e un altro aspetto che attiene proprio alla attrattività. Mi riferisco alla legislazione, intesa ad ampio spettro, del nostro Paese.

Alla fine, gli hub veramente di successo sono quelli dove non solo arriva il turista in transito per qualche settimana d’estate, ma che si propongono come degli hub stanziali per tutto l’anno. Per fare questo bisogna avere una bandiera attrattiva, bisogna avere equipaggi facilmente reperibili in loco, cioè bisogna avere una serie di elementi che rendano facilmente gestibile la barca e tenibile in un determinato territorio. Quindi direi che questi sono i due grandi capitoli che meritano riflessione, attenzione e auspicabilmente intervento.

LN – Parliamo di porti. L’eccellenza dei nostri marina, i tanti servizi offerti e gli incantevoli contesti paesaggistici in cui si trovano talvolta non bastano per arrivare al successo. Perché? Forse il problema è proprio arrivare in questi porti?

GV – Esatto. Allora, cominciamo a toccare il tema delle infrastrutture. Intanto abbiamo un’offerta di posti barca estremamente eterogenea sul nostro territorio. Alcune marine sono attrattive per un turismo più ricco, che quindi ha più ricadute sul territorio.

Giovanna Vitelli durante un’intervista a LN con Giuseppe Orrù

Questa ricerca di Altagamma vuole guardare proprio a quello, cioè al turismo di fascia alta, che pur rappresentando una percentuale minima sul turismo totale, in termini di posti letto, ecc.. in realtà partecipa al 25% della ricaduta sul territorio, per cui poco ma di grande valore.

Naturalmente il turismo nautico potrebbe avere un ruolo fondamentale, perché noi portiamo, potenzialmente, il turista in grado di spendere più di tutti, già solo per il bene che possiede. Da qui il ragionamento e l’origine del nostro contributo ad Alta gamma.

Dicevamo, le infrastrutture: le più attrattive, per attirare il turista più alto spendente, sono i cosiddetti marina, cioè dei luoghi in cui io non trovo solo un garage” dove ormeggiare la barca, ma trovo dei servizi a terra, trovo anche un contesto piacevole, ristorantini, negozietti.

Perché i francesi ci hanno un po’ sorpassato da tanti anni? Perché già dall’inizio degli anni ’70, hanno impostato il loro sviluppo portuale in quella direzione: ovvero il marina tende ad essere un luogo che diventa un club, perché ho a terra tutta una serie di servizi piacevoli e questo non è così diffuso da noi sul territorio.

LN – In Italia, però, abbiamo anche tantissimi porti turistici di eccellenza.

GV – Le marine migliori, lo dobbiamo dire, sono poi state quelle sviluppate dai privati, che hanno questa sensibilità all’offerta di un servizio a 360º e non solo il parcheggio. Noi abbiamo forse le coste tra le più lunghe del Mediterraneo, tuttavia il cliente che arriva in barca ha bisogno, nell’ambito di questi servizi, di alcune comodità, quali un aeroporto vicino, delle strade ben collegate, ristoranti e servizi alberghieri all’altezza.

Nell’ambito del Gruppo, noi abbiamo una divisione dedicata ai porti turistici. Ne abbiamo aperti nel tempo più di uno, il più recente dei quali è a Malta. Uno dei primi incarichi che proprio ebbi da papà fu quello di perlustrare a fondo tutto il Sud Italia per capire, tra i vari file che avevamo sulla scrivania di porti in vendita, che cosa potesse essere interessante o meno.

LN – E come andò a finire?

Yacht al Marina di Varazze

GV – Naturalmente il privato ha un interesse, nel nostro caso, strategico, perché non è solo speculativo. Noi, di tutti i porti che abbiamo, continuiamo a mantenere più del 50% della proprietà perché vogliamo offrire un servizio di qualità al diportista, e non solo fare un’operazione “mordi e fuggi”. Per fare questo deve avere una sua redditività. Il Sud Italia, pur molto attrattivo dal punto di vista paesaggistico, risente della mancanza di queste infrastrutture che citavo.

Con un aeroporto ben servito e collegato alle principali capitali europee, magari con voli low cost, è facile tenere un porto pieno non solo del diportista locale che è residente, ma anche attrarre una fonte di ricchezza superiore. Questo significa avere dei buoni collegamenti e un aeroporto vicino. Io ero giunta alla conclusione che lì il privato da solo non ce la può fare, ci vuole un progetto condiviso pubblico/privato, dove il privato fa il suo nella costruzione/gestione del marina, ma il pubblico ti fa un progetto integrato, un piano di sviluppo finalizzato a questo. E questo manca.

Fossi io il legislatore, darei concessioni o comunque consentirei la maggiore attenzione nell’ampliamento a quegli ormeggi che sono ben integrati in un luogo circostante. Quando ho un porto che è collegato al paesino o inserito nel paesino, la fruizione dei negozi, dei ristoranti, delle visite culturali è ovviamente molto più piacevole e quindi quel luogo diventa più attrattivo.

Noi abbiamo in Italia, invece, anche questi famosi garage che sono un po’ lontano da tutto e da tutti e che rendono oggettivamente meno attrattiva la destinazione. Quindi, in assoluto, non è che abbiamo pochi posti barca, ma li abbiamo a volte con caratteristiche che li rendono poco adatti ad attrarre il diportista nautico che vogliamo attrarre.

LN – Poi c’è il rapporto con i diportisti locali, che talvolta temono chi decide di investire nel loro territorio.

GV – Le faccio l’esempio del Marina di Varazze dove c’è stata, da questo punto di vista, un’ottima collaborazione pubblico/privata. Noi abbiamo dovuto, ovviamente e di buon grado, destinare una parte dei posti barca ai residenti a tariffe calmierate. Come prima cosa, questi residenti, rispetto al vecchio porto fatiscente e poco sicuro, si sono trovati in un bel porto, ben gestito, pieno di verde, che ha retto bene a tutte le recenti ondate di maltempo perché è stato anche ben costruito.

Alla fine c’è sempre un po’ di scontro momentaneo com il diportista locale, che quando c’è l’ampliamento o il rinnovamento di un porto si vede tagliato fuori, ma in realtà poi non è così, perché è giusto. Anche la Francia fa così: un occhio di favore, ovviamente democratico, a chi ha la sua barca lì, ma una grande spinta ad attrarre. Forse da noi spesso manca questa spinta ad attrarre.

LN – Forse c’è stata qualche responsabilità della classe politica italiana, un po’ di trascuratezza nei confronti della nautica?

Giovanna Vitelli, vice presidente di Azimut Benetti Group

GV – Questo sì. Forse perché si è sempre un po’ guardato all’argomento in un modo un po’ ideologizzato. Cioé, la nautica è un grande settore che crea grande lavoro, che crea grande valore nel nostro Paese. Non è il bene finale che va a pochi ricchi sulla Terra.

Alla fine noi dobbiamo guardare all’industria che questo settore crea. A volte c’è la distorsione del giudicare l’oggetto finale e chi lo possiede, ma bisogna guardare invece a che cosa porta nel nostro Paese e sui nostri territori questa industria. E ricordiamoci che l’Italia è leader al mondo nella costruzione di megayacht. Così come siamo fieri di avere la Ferrari, di avere la moda di lusso, così dobbiamo essere fieri di questo settore che, è vero, si rivolge a pochi fortunati, ma genera tantissimo valore nel nostro Paese.

Quindi, è forse questo punto di vista che, magari politicamente, è stato sempre letto più da una direzione che non dall’altra e che forse è un approccio sbagliato nel valorizzare, invece, quello che è una componente importante della nostra economia.

LN – C’è un altro capitolo, quello della burocrazia. Sia per le bandiere che per la tassazione, che spesso è penalizzante rispetto a quella dei Paesi vicini. Cosa chiederebbe al legislatore?

GV – Se fossi il legislatore non dovrei neanche mettere mano al portafoglio. Dovrei solo fare due cose, che vedo più urgenti e che non richiedono denaro, ma semplicemente attuazione di una volontà politica e un minimo di organizzazione.

Avere una bandiera attraente per le grandi barche significa portare in Italia oggetti che rilasciano sul territorio delle cifre molto significative. Normalmente solo per la parte ordinaria, quindi il posto barca, la manutenzione ordinaria ecc., possiamo stimare che è circa il 10% del valore del bene. A questo possiamo aggiungere tranquillamente un altro 10% che è quello che normalmente viene rilasciato in beni, chiamiamoli voluttuari, quindi quello che uno spende in shopping, ristoranti e altro. Lei si immagini questo valore, che cosa significa se rimane sul nostro territorio per tutto l’anno.

I casi emblematici di luoghi che sono veramente esplosi nella loro ricchezza, fama e benessere sono la Costa Azzurra, Palma di Maiorca nelle Baleari, di recente Malta e Montenegro, la Grecia che sta crescendo. Questi luoghi, che si sono proposti come hub per tutto l’anno di grandi barche, godono oggettivamente di una positiva ricaduta. Per fare questo ci vuole una bandiera attrattiva.

Nel nostro ordinamento esiste, e per fortuna c’è già stata, una manifestazione legislativa più volte espressa per dare attuazione al cosiddetto Registro commerciale bis. Questo registro attende solo un decreto ministeriale di attuazione finale, il cui testo peraltro è già stato più volte scritto e proposto. Quindi, si tratta solo di dare una spinta a questa norma. Si tratta di un registro che è nato per le navi commerciali e che ha semplicemente bisogno di un adattamento al porto. Quindi, parliamo di tecnicismi, di norme, non di fondi. Questo sarebbe un grandissimo passo avanti per poter dire: “Venite in Italia perché anche in Italia abbiamo una bandiera agevole, facile per le grandi navi”.

Il secondo aspetto è il Registro telematico del diporto. Lei sa che ci abbiamo messo degli anni e solo a partire dall’inizio del 2021, la nautica ha un registro telematico. Fino all’anno scorso ciascuno di noi doveva immatricolare la barca andando nelle Capitanerie di Porto, che a mano, su un registro cartaceo, dovevano registrare l’immatricolazione. Ora, per fortuna, è passato il concetto che serve un sistema tipo l’Aci, quindi un registro telematico.

Le risparmio tutti i problemi che questo sistema ha dato in termini di truffe, perché bastava registrare una barca a San Marino, o anche solo Italia su Italia, che difficilmente in un altro luogo si sapeva che la stessa barca veniva registrata due volte. Non le dico i pasticci e i buchi che sono stati generati da questo sistema.

LN – No, no, diciamoli pure. Quali sono i problemi?

GV – Il problema è che è stato attuato questo registro telematico facendo il copia e incolla di quello della Motorizzazione civile. Per gli operatori è un problema, intanto perché è complicato e poi perché bisogna affidarsi a pochi agenti marittimi che hanno la pazienza e la briga di fare questa procedura. Parlavo con uno di questi proprio l’altro giorno, che mi diceva: “Ma sai che la situazione è drammatica, perché c’è certa gente che addirittura sta andando a registrare a Malta, invece che in Italia perché là ci mettono tre giorni e qui è diventata una cosa di settimane, di mesi”.

E tra l’altro questo agente mi diceva: “Io ho solo una Pec a cui scrivere a Roma, quindi non ho un volto, un nome e cognome, un ufficio. Per cui, aspetto fiducioso che qualcuno mi risponda gentilmente a questa Pec. Quindi, non sono neanche in grado di rispondere ad un armatore sulle tempistiche, perché non le so”.

I cantieri si sono messi, noi per primi, a cercare di risolvere un problema pratico. Io ricordo di aver dato più volte il contatto, e si sono anche sentiti con il nostro ufficio legale interno, per dare le indicazioni di come adattare questo sistema alla nautica, quindi quali sono i campi che hanno senso, quelli che non lo hanno, in un sistema di riempimento digitale. Quindi qui è proprio una di quelle tematiche all’italiana, di lungaggini, di mancanza di volontà di chiudere l’argomento che fa piuttosto arrabbiare.

LN – Anche l’upload dei documenti è complicato, proprio per il sistema informatico di per sé.

GV – Certo, perché non è adattato alla nautica. Quindi devi cercare di cacciare dentro un po’ fantasiosamente i documenti e i dati di una barca, laddove invece dietro il sistema è stato pensato per registrare un’automobile.

LN – Parliamo di Azimut Benetti. Il vostro semestre come è andato?

GV – Questo è assolutamente l’anno della rinascita. L’anno scorso in quest’epoca, mentre vivevamo un momento di lockdown, di cantieri chiusi, chi mai avrebbe immaginato questa esplosione, questo boom della nautica.

Un boom che è stato molto forte, che ha riguardato tutti i segmenti. Noi andiamo dal più piccolo 40 piedi di Azimut agli oltre 100 metri di Benetti. Ecco, stiamo vivendo in modo trasversale un grande boom di vendite, sia grazie a chi la barca la vuole o l’ha voluta per la stagione in corso, sia grazie a chi la ordina, ovviamente dovendo aspettare gli anni della costruzione. Quindi, un anno abbastanza eccezionale che mi spiego in due modi.

Benetti Oasis 40M is one of the most successful models

Da un lato questa situazione pandemica ha fatto riemergere agli occhi di tutti come la barca è il luogo più sicuro, è uno dei pochi luoghi che mi consente di vivere la libertà che ci è stata tolta in sicurezza, perché posso comunque girare scegliendo con chi andare. Questo ha avuto una grandissima attrattività, oltre al fatto meramente psicologico che chi ha delle disponibilità è più propenso a utilizzarle, visto che abbiamo scoperto di essere tutti un po’ appesi a un filo con questa pandemia.

Noi, nello specifico, siamo stati un po’ bravi e un po’ fortunati, sicuramente ben apprezzati, perché questo boom è arrivato nel momento in cui avevamo appena lanciato tutta una serie di modelli nuovi sia a marchio Azimut che Benetti, che interpretano molto bene lo stato dei tempi e, per certi versi, sono veramente in linea con forse anche un po’ un cambio di approccio alla vita a bordo, alla barca, che magari questa pandemia ha pure ulteriormente enfatizzato.

L’idea di vivere più a contatto col mare, di vivere un lusso che sia forse più elegante e meno opulenza, il fatto di ritrovare veramente il gusto della natura e quindi anche un po’ più di attenzione agli aspetti tecnologici legati alla questione green. Tutta una serie di tematiche che il nostro Gruppo ha fatto sue da tempo, ma che forse la situazione contingente ha reso più che mai tema all’ordine del giorno.

LN – E che voi avete declinato, poi, con l’Oasis Deck

GV – Ecco, per esempio, questa è certamente una barca che sintetizza bene quello che le sto dicendo. Ma le potrei dire la stessa cosa, in qualche modo, di questa convivialità, vicinanza all’acqua ecc, persino dell’Azimut Verve, sia il 47 che il 42. Posso citare il B.Yond di Benetti che è in costruzione, dove il cantiere ha creduto fermamente alla necessità di adottare la normativa Tier III e quindi inserire le famose marmitte catalitiche, quelle a urea, ben prima che la normativa diventasse obbligatoria, ovvero per gli scafi che hanno cominciato la costruzione nel 2021.

Quella barca ha iniziato il suo processo di costruzione ben prima, ma noi abbiamo deciso di metterle perché la combinazione di questo beneficio, più il beneficio che abbiamo inserito con il sistema ibrido Siemens, farà sì che quella barca, quando toccherà l’acqua l’anno prossimo, sarà una delle soluzioni più green esistenti al mondo nella sua categoria, con un serio abbattimento delle emissioni.

Siamo alla sesta unità in corso di definizione e la barca non ha ancora visto la luce, se non in costruzione. Per cui, forse siamo stati anche bravi a cogliere questa onda di ripresa sensibile, con una gamma di prodotto che forse interpreta bene il momento storico.

 

Giuseppe Orrù

Benetti Oasis Deck

B.NOW 66M Oasis di Benetti

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