Carpenteria in acciaio nel refit: questione di spessori per capire lo stato di salute di uno scafo
La carpenteria in acciaio è molto diffusa nel refit di barche di grandi dimensioni. All’abilità dei carpentieri, però, va affiancata la tecnologia per scoprire ciò che non si vede a occhio nudo
La carpenteria in acciaio è molto diffusa nel refit di barche di grandi dimensioni. All’abilità dei carpentieri, però, va affiancata la tecnologia per scoprire ciò che non si vede a occhio nudo
La carpenteria in acciaio è molto diffusa nel refit di barche di grandi dimensioni. All’abilità dei carpentieri, però, va affiancata la tecnologia per scoprire ciò che non si vede a occhio nudo.
La carpenteria in acciaio viene impiegata in un panorama di barche molto ampio e si utilizza anche per riportare a nuovo barche di 60 o 70 anni. Solitamente le barche d’acciaio sono imbarcazioni molto grandi e il loro refit deve essere affidato ad aziende specializzate.
A spiegare le varie fasi della lavorazione dell’acciaio e come si lavora l’acciaio nel refit è Fulvio Montaldo dei Cantieri Navali di Sestri, azienda genovese specializzata anche nel refit di grandi imbarcazioni e navi di lusso.
LA RICERCA DEL PROBLEMA
La prima fase del refitting di un’imbarcazione in acciaio riguarda la ricerca del problema. “Il modo migliore e più consigliato per capire lo stato di salute di uno scafo in acciaio – spiega Fulvio Montaldo a Liguria Nautica – è la sabbiatura esterna, che consente di riportare la lamiera sottostante al vivo. Così si vedono eventuali problemi diversi dal buco o da criticità più evidenti“.
La fase successiva consiste nell’utilizzo degli ultrasuoni, con cui si analizzano vari punti dello scafo per constatare lo spessore e, in base ai piani di costruzione, si confronta con quello originario. “Per essere in sicurezza al momento della verifica– sottolinea Montaldo – lo strato di acciaio non deve avere uno spessore inferiore al 25%. Sopra al 20% di riduzione, i registri accettano per buono lo spessore“.
“LEGGERE” LO SCAFO
L’ultrasuono funziona meglio dopo la sabbiatura dello scafo ma analizza un punto preciso. Su uno scafo di 25 metri, ad esempio, si fanno anche 500 o 600 battute. La sabbiatura permette di far emergere zone più critiche, che nei casi più gravi si possono evidenziare già a occhio nudo.
Un’altra tecnica consiste nell’uso delle radiografie, per analizzare la qualità della saldatura, che a occhio nudo sembra sempre perfetta. I saldatori dell’acciaio devono essere in possesso di “patentini” adatti. La saldatura, infatti, è una di quelle operazioni in cui emergono l’abilità e la professionalità della manodopera.
I NUOVI INSERTI
Dopo aver individuato le parti più ammalorate, si interviene con i nuovi inserti. Vale a dire che si taglia la parte ammalorata di acciaio e si sostituisce con una nuova lastra. Attenzione, però, non bisogna coprire la lamiera ammalorata, perché non è certo un lavoro a regola d’arte. Anzi, non è consentito e non è una buona pratica. Tra la vecchia e la nuova lamiera, infatti, si creano delle intercapedini da cui parte la marcescenza.
“La procedura corretta – precisa Montaldo dei Cantieri Navali di Sestri – consiste nel tagliare la lamiera ammalorata, fino ad arrivare all’ossatura centrale e fino a trovare lo spessore originale. Qui si salda poi la nuova lamiera. Non è sempre facile saldare dentro e fuori, come invece sarebbe ideale“.
LA PROTEZIONE CATODICA
Le lamiere da saldare non devono avere spigoli vivi, perché dallo spigolo potrebbe partire una crepa. Devono essere sempre arrotondate. Le dimensioni devono essere tali da sostituire la porzione di fasciame che è sotto lo spessore minimo richiesto.
Lo stesso vale per l’alluminio, che però si comporta in modo diverso: durante la saldatura scalda di più. Le lamiere vengono poi protette con un ciclo di pitturazione idonee, che le preservino.
Un altro passaggio molto importante per tutelare l’acciaio è la protezione catodica. Una volta terminato il lavoro di sostituzione delle parti ammalorate, si applicano degli anodi di zinchi sacrificale, che protegge lo scafo dalle correnti galvaniche.
Gli anodi vengono posizionati dopo uno studio, a seconda di spessori, utenze interne e altri elementi. Lo zinco deve coprire tutta l’area dello scafo e deve essere distribuito con criterio. Anche questa fase richiede un’attenta ricerca e un’ottima preparazione professionale degli addetti al refit.
Argomenti: Cantieri Navali, Daily Nautica