12 agosto 2022

Ocean to Ocean RIB Adventure: Sergio Davì racconta la sua ultima impresa

12 agosto 2022

Anche per questo viaggio Sergio Davì si è affidato a Suzuki, come fa ormai da ben 10 anni

Ocean to Ocean RIB Adventure: Sergio Davì racconta la sua ultima impresa

Anche per questo viaggio Sergio Davì si è affidato a Suzuki, come fa ormai da ben 10 anni

6 minuti di lettura

Suzuki ha intervistato Sergio Davì al rientro dalla sua ultima impresa, l’Ocean to Ocean RIB Adventure, che lo ha visto affrontare 10 mila miglia nautiche da Palermo a Los Angeles a bordo del Prince 38 “Aretusa Explorer”, RIB di Nuova Jolly spinto da una coppia di fuoribordo Suzuki DF300B. Anche per questo viaggio il comandante si è quindi affidato all’azienda giapponese, come fa ormai da ben 10 anni.

Qual è stata la tratta più veloce e quale la più lenta?

Sicuramente il tratto più veloce e che mi ha anche stupito è stato dalle Isole Canarie a Capo Verde, cioè la Gran Canaria-Mindelo, quando, malgrado avessi il gommone molto carico di carburante per poter affrontare le quasi 900 miglia nautiche, sono riuscito a mantenere una buonissima media. Come tratto più lento possiamo dire quello da San Carlos a Ensenada, a causa di un costante e fortissimo vento di prua che mi ha accompagnato per tutta la tratta.

Dopo così tante ore di navigazione, quando vedi terra cosa pensi?

Mi sento emozionato, perché fare gli atterraggi con un natante è un’esperienza incredibile. E soprattutto, quando vedo dei posti nuovi sono sempre estremamente curioso.

Riguardo i porti, dov’è che ti hanno accolto meglio e dove, invece, ti saresti aspettato di più?

In generale posso dire di non aver avuto in alcun posto problemi di accoglienza. Praticamente ovunque ho ricevuto calore, oltre che ospitalità. La gente locale è sempre stata molto gentile. Ero atteso in tutti i porti, grazie soprattutto al lavoro di organizzazione svolto sia prima della partenza sia durante il viaggio. Ovviamente, culture diverse, accoglienze diverse. Pertanto non posso dire di aver avuto un’accoglienza “peggiore” in qualche posto. Forse, più che accoglienza peggiore, inizialmente in Messico è stato un po’ problematico approdare nel primo porto d’ingresso a causa delle lungaggini burocratiche. Tuttavia, la gentilezza e la disponibilità dei locali non è mai mancata.

Un momento particolare che hai vissuto durante l’Ocean to Ocean RIB Adventure?

È accaduto a Puerto San Carlos, in Messico, perché lì non esistono marina e ho dovuto ormeggiare Aretusa Explorer a circa 250 metri dalla riva. Nonostante ciò, quando c’era la bassa marea il gommone sembrava come “seduto”. Guardarlo da lontano, dalla finestra della mia camera, mi ha dato una certa suggestione, quasi malinconica, come se l’avessi lasciato lì da solo in mezzo all’immensità dell’oceano.

La cosa più affascinante che hai visto?

Il gioco fra le correnti, le maree e il vento. Il mare che da calmo diventa mosso in un attimo e il cambiamento repentino del meteo in alcuni posti.

Il momento più felice durante quest’ultimo raid?

Sicuramente quando sono arrivato nella Guyana Francese. È stata un’emozione incredibile, come lo è stato anche attraversare il Canale di Panama. Da questo punto di vista mi sono sentito davvero un privilegiato ed ero felice come un bambino.

Come ci si alimenta durante una traversata così lunga?

In realtà non cucinavo. Ho acquistato una buona dose di cibo in scatola assortito, tonno, piselli, contorni di verdure, ecc. e pane in cassetta, perché è molto più agevole per soddisfare i pasti della giornata in navigazione. Soprattutto durante la prima parte del viaggio, quando faceva ancora freddo, assumevo anche della cioccolata in barrette, mentre durante le soste ne approfittavo per mangiare la cucina tipica locale, che, oltre a far bene allo stomaco, ha fatto bene anche all’animo.

Parlaci del Canale di Panama, quando sei passato da un oceano all’altro.

Attraversare Panama è stata un’esperienza incredibile. Io l’ho sempre immaginato, ho visto dei documentari, studiato sui libri, visto su Internet ed è veramente impressionante attraversarlo con un mezzo piccolo come l’Aretusa Explorer. Passare chiuse su chiuse e ritrovarsi nel lago che poi ti porta nell’Oceano Pacifico è un’esperienza veramente unica. Ti senti piccolo in questa enorme struttura che funziona da sempre 24 ore al giorno e dove tutto deve funzionare alla perfezione. Immaginate solo per un attimo se il Canale di Panama venisse improvvisamente chiuso. Sarebbe un guaio enorme!

Quando hai visto Los Angeles cosa hai pensato?

Quando sono partito da San Diego ho prestato molta attenzione alla tratta successiva, così come per tutte le tratte precedenti. Ricordo, però, che prima di mollare gli ormeggi ho ricontrollato l’intero gommone, i motori e le apparecchiature allo stesso modo di quando ho lasciato Palermo per affrontare il raid intero. Quando sono arrivato a Los Angeles sono stato sopraffatto da una gioia mista a commozione. Ammetto di aver ceduto alle lacrime nel vedere tutta quella gente che mi aspettava al molo. Ho realizzato in quel momento che stavo concludendo un lunghissimo viaggio fatto di tante cose belle ma anche di cose inaspettate che mi hanno costretto a registrare un notevole ritardo. Per cui l’emozione è chiaramente stata dettata dalla soddisfazione per un traguardo finalmente raggiunto, grazie anche allo sforzo di tutte le persone e degli sponsor che hanno collaborato con me.

Dal tuo diario di bordo abbiamo saputo che c’è stato anche l’incontro con dei pirati. Cosa è successo esattamente?

Mi avevano messo in guardia che in Venezuela, anche se in casi sporadici, alcune barche con dei delinquenti a bordo, appunto dei pirati, in piena notte cercano di fermare delle imbarcazioni, soprattutto quelle che vanno piano. Assaltano generalmente imbarcazioni a vela di privati, non certo grandi navi, per rubare tutto quello che c’è da rubare, barca compresa se è il caso. Di notte, durante un mio passaggio appunto davanti alle coste venezuelane, in acque internazionali, sono passato relativamente vicino a una barca che già da un po’ mi era stata segnalata dal radar. Aveva le luci spente e quando sono passato a poca distanza ha acceso le luci blu, provando a inseguirmi. Ovviamente non era la polizia, dato che ero in acque internazionali, e ho capito che erano pirati proprio perché mi avevano avvertito che spesso usano le luci blu per confondere. Hanno provato a inseguirmi per un po’, poi hanno desistito. Sono praticamente ritornati indietro perché ero troppo veloce per loro. I due fuoribordo Suzuki mi hanno aiutato a fargli perdere le mie tracce!

Adesso che hai terminato questo raid, che progetti hai per il futuro?

Per ora non penso a una prossima avventura ma ho tanti progetti. Sono focalizzato nella conclusione di questa e delle attività successive a essa legate.

Tirando le somme, cosa puoi dirci della Ocean to Ocean RIB Adventure?

È stato un lungo, lunghissimo lavoro, molto impegnativo sia da organizzare sia da concludere. Non dimentichiamo che appena pochi mesi dopo il mio arrivo a New York, avvenuto nel settembre del 2019, è scoppiata la pandemia da Covid. Per cui ci siamo ritrovati a lavorare in ufficio in un contesto molto particolare, del tutto nuovo, non facile da gestire dal momento che tutte le aziende chiudevano per il lockdown. Tutto era diventato difficile da gestire. Cose che in tempi normali si risolvevano in pochi giorni, ci siamo ritrovati a dover attendere mesi. Un impegno che si è moltiplicato almeno per dieci rispetto alla normalità. Per cui il raggiungimento di questo obiettivo, ossia il compimento della Palermo-Los Angeles in gommone, ha, più delle altre esperienze portate a termine in passato, il sapore della fatica, della lotta costante e in un certo senso anche della resilienza. E di questo ringrazio Suzuki, che mi è sempre stata accanto anche nei momenti particolarmente difficili.

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