Kitesurf alle Olimpiadi? Prima praticare, poi parlare
In molti ne parlano, ma pochi, a parte chi lo pratica sul serio, conoscono realmente il fenomeno. Il kitesurf sembra di nuovo in lizza per diventare disciplina olimpica ai Giochi di Tokyo 2020. Una campagna che passa attraverso dibattiti e aspre polemiche, detrattori e sostenitori all'interno della comunità velica. Vediamo i punti critici della vicenda e facciamoci qualche domanda
In molti ne parlano, ma pochi, a parte chi lo pratica sul serio, conoscono realmente il fenomeno. Il kitesurf sembra di nuovo in lizza per diventare disciplina olimpica ai Giochi di Tokyo 2020. Una campagna che passa attraverso dibattiti e aspre polemiche, detrattori e sostenitori all'interno della comunità velica. Vediamo i punti critici della vicenda e facciamoci qualche domanda
Il kitesurf non è un gioco, tantomeno un gioco olimpico, almeno per ora, ma potrebbe diventarlo a Tokyo 2020. In realtà ha già rischiato di prendere parte ai Giochi di Rio 2016, salvo poi perdere la partita contro la classe di tavole a vela RS:X reintegrata all’ultimo momento dalla Federazione Internazionale della Vela (World Sailing). Ora ci risiamo e questa volta la sfida sembra ancora più difficile.
Cosa sta succedendo? Concluse le Olimpiadi di Rio 2016, il Comitato Olimpico Internazionale ha chiesto alla World Sailing di rivedere le classi veliche ammesse alle Olimpiadi e si prospetta l’eventualità di inserire tra queste il kitesurf, stavolta al posto del mitico Finn. La decisione dovrebbe essere presa entro febbraio 2017 e sarà rimessa al futuro presidente di World Sailing. Nel frattempo, e puntualmente, è scoppiato il putiferio nella comunità velica. Soprattutto sono riaffiorati i tradizionali schieramenti tra chi sostiene la campagna olimpica del kitesurf e i suoi detrattori.
Una disciplina velica? Sì, ma non troppo
Nel 2016 c’è ancora chi fatica ad accettare il kitesurf come disciplina velica, liquidandolo tra gli sport da tavola privi di quella marinità propria dello yachting e relegandolo alla tribù dei rider. Perché questa diffidenza? Un po’ per colpa dello stesso kitesurf. A dispetto della sua grande popolarità, infatti, questa disciplina si è sviluppata in maniera tanto veloce da prendere in contropiede l’esigenza di attribuirgli un’identità precisa e definitiva. Surf da onda evoluto? Vela acrobatica? Sport da traino, di tavola o parapendio acquatico? Cos’è veramente? Probabilmente un mix geniale di tutto questo. Inoltre all’inizio il kiteboarding si presentava come uno sport estremo, adatto esclusivamente a qualche discepolo della dea adrenalina, poi con l’evoluzione di materiali e dispositivi di sicurezza, si è ridimensionato ad attività per tutti, ragazzi compresi. A sostenere però che il kitesurf è una disciplina velica a tutti gli effetti è la stessa Federazione della Vela, per buona pace dei velisti più conservatori. Quindi sarebbe bene tirare dritti, almeno su questo punto.
Sul Finn non si transige
Poi ci sono coloro che legittimamente difendono il Finn. Non una barca qualunque, parliamo di una classe leggendaria, nata nel 1949 per mano dello svedese Rickard Sarby ed entrata nei Giochi Olimpici nel 1952 e che soprattutto esprime oltre 60 anni di evoluzione tecnica della vela, oltre ad avere sfornato campioni mondiali del calibro di Paul Elvström, Valentin Mankin, Russell Coutts e Ben Ainslie. Difficile per il mondo velico dimenticare i propri miti. In confronto la mitologia del kitesurf è ancora tutta da scrivere.
Date alla vela il suo futuro
La vela però in generale ha due problemi seri. Il primo è proprio la necessità di svecchiarsi e riuscire a intercettare i frutti dell’evoluzione tecnologica che passa anche attraverso nuove forme di navigazione, al passo con i tempi, efficaci e, non dimentichiamolo, nel caso del kitesurf anche più economiche. Il passato deve cioè contribuire a veicolare il futuro, non ad arrestarlo. La storia insegna come tante classi veliche innovative all’inizio osteggiate, poi sono diventate espressioni eccellenti di questa disciplina. Promuovere classi più attuali significa anche gestire meglio il fattore visibilità e comunicazione. Le Olimpiadi, insieme al Tour de France e alla FIFA World Cup, sono gli eventi sportivi più seguiti al mondo, un’opportunità mediatica ed economica in termini di sponsor che la vela attuale sinceramente non soddisfa in pieno per varie ragioni. Servono alternative, e pure in fretta.
E se il kitesurf battesse la playstation?
Il secondo problema è il ricambio generazionale. I giovani devono prendersi una pausa dalla playstation e ritrovare il gusto di andare a vela. Forse le nuove classi, veloci e adrenaliniche come il kitesurf, possono avere più appeal nei confronti dei ragazzi. I numeri per il momento confermano questa tendenza. I praticanti del kite sono stimati a livello mondiale in circa 1,5 milioni con un età media di 20 anni. A confermare che alle nuove generazioni, compresi i giovanissimi, il kite piace sono le nuove linee Kids di tavole e vele proposte ormai da qualche anno dai grandi brand del mercato. Se i ragazzi non tornano ad amare la vela, questo sport semplicemente muore.
Sciogliere i nodi, poco marinari, delle istituzioni
Il kitesurf dunque le carte per diventare disciplina olimpica ce le avrebbe. Non mancano tuttavia alcuni punti critici. Innazitutto serve cultura marinaresca, la sola che può restituire ai kiter quella dignità velica che alcuni ancora non gli riconoscono. Chi si avvicina a questo sport deve capire che non basta gestire le attrezzature e divertirsi, ma occorre imparare a essere marinai, rispettare un contesto naturale delicato, soggetto a regole precise e in cui bisogna privilegiare la sicurezza. Il mare non può essere solo un parco giochi. Scuole e istruttori devono essere scrupolosi divulgatori di questi fondamentali valori.
Poi ci sono i nodi istituzionali. Federazioni nazionali e internazionali di kitesurf che non si riconoscono e continuano a farsi la guerra, enti di promozione dissociati dai circuiti ufficiali, atleti che non si sentono rappresentati, mancanza di trasparenza, etc. Se questi nodi non vengono sciolti, è difficile intravedere un futuro brillante per questa disciplina, anche qualora diventasse olimpica.
Siamo sicuri del kitefoil?
Infine c’è un rischio, per il momento abbastanza defilato, ma pur sempre reale. Il kitesurf candidato alle Olimpiadi è il cosiddetto kitefoil, quello cioè che utilizza una tavola munita di hydrofoil, speciali appendici che permettono alla stessa di sollevarsi dall’acqua e planare sfruttando il minimo attrito idrodinamico. Il kitefoil è un’attrezzatura molto tecnica, dalle eccezionali prestazioni, ma anche limitata a condizioni metomarine particolari, poco diffusa a livello di praticanti e ancora per il momento piuttosto costosa. Si tratta certamente di una disciplina in continua evoluzione e molto affine a livello tecnologico a quella ricerca della velocità che oggi caratterizza gran parte della vela sportiva. Siamo sicuri tuttavia che il kitefoil sia l’espressione del kitesurf più popolare e più apprezzata dagli stessi praticanti? Non è che si finisce come l’RS:X per il windsurf?
David Ingiosi