“No more trouble – Cosa rimane di una tempesta”: Tommaso Romanelli racconta il padre Andrea nel suo primo film – L’intervista di DN
Tommaso Romanelli, figlio del navigatore e ingegnere navale Andrea Romanelli, offre il suo sguardo sulla vita del padre scomparso in mare nel 1998 mentre navigava a bordo di "Fila" di Giovanni Soldini
Tommaso Romanelli, figlio del navigatore e ingegnere navale Andrea Romanelli, offre il suo sguardo sulla vita del padre scomparso in mare nel 1998 mentre navigava a bordo di "Fila" di Giovanni Soldini
Articolo riservato agli utenti registrati
Sali a bordo della community DN Plus.
Per te, un'area riservata con: approfondimenti esclusivi, i tuoi articoli preferiti, contenuti personalizzati e altri vantaggi speciali
Accedi Registrati“No more trouble - Cosa rimane di una tempesta” si apre con una scena di un mare calmo, di un blu intenso, sovrastato da un cielo senza nuvole che infonde serenità. Ma quello stesso mare la notte del 3 aprile 1998 era molto arrabbiato. Una tempesta violenta in Atlantico del nord l’aveva ingrossato, formando onde talmente alte da nascondere l’orizzonte. E in quel mare, in quei giorni, navigava “Fila”, il 60 piedi di Giovanni Soldini, impegnato nel tentativo di battere il record di velocità da New York all’Inghilterra.
La notte del 3 aprile un’onda più cattiva delle altre fece ribaltare la barca, inghiottendo i due velisti che erano di turno fuori n quel momento: Andrea Romanelli, che aveva anche disegnato Fila, e Andrea Tarlarini. Il primo venne inghiottito dal mare, il secondo si salvò, rientrando a bordo dal boccaporto di poppa pensato proprio dal suo compagno di turno. Andrea aveva 34 anni, suo figlio Tommaso, che di lui non ha ricordi, appena 4.
Dopo 26 anni quella tragedia torna al pubblico, ma con un altro tono. Quello di “No more trouble – Cosa rimane di una tempesta”, il documentario intenso e commovente che il figlio Tommaso ha deciso di girare dopo aver trovato in casa dei vecchi filmini, cassette audio e foto del padre. Per scoprire, lui per primo, quel lato di suo papà che aveva definito la sua esistenza: la passione per la vela. E per trovarsi occhi negli occhi, per la prima volta. Una scoperta che si dipana dolcemente attraverso i racconti e i ricordi dei navigatori, dei parenti e dei colleghi che hanno voluto bene e che hanno navigato insieme ad Andrea.
Daily Nautica ha incontrato Tommaso Romanelli a Torino, in occasione della presentazione di “No more trouble - Cosa rimane di una tempesta” al cinema, per parlare del suo film e del viaggio catartico che ha rappresentato per lui girarlo.
Cos’hai provato quando hai visto per la prima volta le immagini dei giorni prima che tuo papà Andrea scomparisse in mare?
"Inizialmente proprio un senso di gioia, di stupore, perché erano delle immagini stupende e incredibilmente potenti. Poi quando ho riconosciuto mio papà ero molto scosso: non ho ricordi di lui e, nel momento in cui guarda in macchina, è stato come se questa persona un po' sconosciuta ma anche molto familiare, mi guardasse per la prima volta. Ho provato gioia perché lo vedevo proprio felice, facendo la cosa che amava e sono diventato molto curioso di capire che cos’era questa cosa che amava così tanto".
Come vivi il mare pensando che è stata la passione ma anche la fine di tuo papà?
"Il mare mi affascina in un modo molto profondo. Esercita su di me un potere molto seduttivo, perché tiene insieme questo senso di gioia, ma anche questo senso di paura per qualcosa che non conosco. La cosa che più mi angoscia quando penso a mio papà, è non sapere cos’è successo quella notte. È una cosa difficile da accettare che sia scomparso nel nulla: solo il mare sa cos’è successo. Quello che ho capito è che per mio padre il mare era come un banco su cui mettersi alla prova e dimostrare una capacità di controllarlo, senza mai dominarlo. Era un maestro della marineria, dell’ingegneria, della progettazione e parte tutto da quella paura che fa il mare: tu, uomo, riesci ad attraversarlo, dimostrandoti così davvero uomo. Più vado avanti, più sento da un lato di comprendere cosa lo spingeva, dall’altro anche di comprendere come il mare possa far paura, cambiando la vita delle persone o togliendola".
Navigare da adulto ti ha fatto capire come mai tuo papà ne fosse così attratto?
"Sì, soprattutto navigare con Giovanni (Soldini, n.d.r), perché ho visto proprio quella che era la loro filosofia. Vedere Giovanni in barca è un’esperienza molto forte perché ho visto quella necessità di avere la barca come oggetto sotto controllo in ogni suo dettaglio, ma non per dominare il mare, quanto per esprimere una libertà assoluta attraverso di esso. Solo usando quelle risorse che sono lì, in quel momento, puoi andare in qualsiasi luogo e sei padrone di te stesso. Per certi versi è stato bello avvicinarmi alla vela da adulto, con un pregresso di esperienze completamente diverso: perché per Giovanni e gli altri che navigano con lui è normale, e lo era anche per mio padre. Stare in barca in quel modo era ed è nella loro indole, mentre la mia era diversa. Quindi vederla dall’esterno te la fa anche in qualche modo apprezzare di più, vedendone il senso, forse più di loro. Navigando con loro mi sono reso conto quanto profondo sia quel loro desiderio di comunione con una macchina: la barca diventa veramente un'estensione de proprio corpo".
Dopo aver fatto questo film come ti senti quando incontri Giovanni Soldini e tutti gli altri amici che navigavano con tuo padre?
"Un film fa parte di un dialogo, è un atto di dialogo e il mio è molto derivato da quei rapporti che si sono creati con Giovanni e con tutti gli altri e a sua volta il film li ha rimodulati ancora, perché è stato come se gli raccontassi cosa avevo capito di mio padre. È stato per tutti un incontro necessario ed estremamente liberatorio, e mi hanno trattato come un figlio ritrovato. E attraverso il film hanno anche ritrovato un amico: si vede che Giovanni e tutti gli altri vorrebbero tantissimo che ci fosse ancora il loro amico, quindi li vedi proprio felici. Attraverso il film si cerca di dare un senso a questa cosa che è successa, anche se non ci sono delle certezze materiali sulla dinamica, quindi mi devo fidare ciecamente delle persone che me l’hanno raccontato. Il dolore rimane, ma viene un po' messo in secondo piano da tutta la gioia e le cose belle".
“No more trouble – Cosa rimane di una tempesta” si chiude con la stessa scena dell’apertura. Un mare calmo, di un blu intenso, sovrastato da un cielo senza nuvole, che infonde serenità. Come la chiusura di un cerchio. Un sentimento, la serenità, che forse oggi accompagna Tommaso Romanelli, che con “No more trouble – Cosa rimane di una tempesta” è riuscito a cambiare, per sempre, la narrativa della storia di suo papà. Da tragedia in mare, a trama di un film pieno di amore.
Il film è visibile nelle seguenti sale con presentazione di Tommaso Romanelli:
PADOVA / LUX
SABATO 14 DICEMBRE
VENEZIA / ROSSINI
DOMENICA 15 DICEMBRE
TRIESTE / NAZIONALE
LUNEDÌ 16 DICEMBRE:
TRENTO / CINEMA MODENA
MARTEDÌ 17 DICEMBRE
NAPOLI / MODERNISSIMO
MERCOLEDì 18 DICEMBRE
Senza presentazione di Tommaso Romanelli:
ROMA / TROISI
LUNEDì 16 DICEMBRE
SABATO 28 DICEMBRE
Argomenti: Giovanni Soldini, vela