Un kiter sedotto dalle isole dell’amore: un itinerario da sogno dalle spiagge del Kenya
Un istruttore di kitesurf della scuola Watamu Kiteboarding, in Kenya, va alla scoperta della costa per raggiungere una suggestiva baia puntellata di isolotti che formano una laguna dai colori incredibili e dall'atmosfera un po' fuori dal tempo. Surfare in questo spot africano affacciato sull'oceano ha un sapore magico e regala grandi emozioni.
Un istruttore di kitesurf della scuola Watamu Kiteboarding, in Kenya, va alla scoperta della costa per raggiungere una suggestiva baia puntellata di isolotti che formano una laguna dai colori incredibili e dall'atmosfera un po' fuori dal tempo. Surfare in questo spot africano affacciato sull'oceano ha un sapore magico e regala grandi emozioni.
Avere la fortuna di surfare in uno spot da sogno è pericoloso per la vita di un kiter. L’oceano Indiano che regala mille sfumature di verde, la sabbia bianca come borotalco, l’acqua che segna una temperatura di 28 gradi e il vento che soffia 20 nodi tutti i giorni ti rapiscono e non vuoi più andare via. Il rischio è di mettere radici su quella spiaggia, rimanere piantati lì senza nessuna intenzione di muoversi per non rinunciare a queste condizioni fantastiche. Ma spostarsi, esplorare nuove spiagge e promuovere la disciplina del kitesurf lungo la costa del Kenya è uno dei compiti che mi sono stati assegnati.
A caccia di nuove spiagge lungo costa
La scuola che gestisco si chiama Watamu Kiteboarding e si trova si trova all’interno del Garoda Resort, un’elegante struttura in stile africano affacciata sulla spiaggia del Parco Marino di Watamu: lo spot secondo una classifica stilata nel 2016 dalla Cnn rientra tra i 25 più belli al mondo. Il centro kite insomma si trova in un angolo di paradiso, ma abbiamo appena inaugurato la stagione e occorre farci conoscere, battere il territorio a caccia di altre spiagge dove portare i nostri allievi e reclutarne di nuovi.
L’occasione di uscire da questo giardino dell’Eden arriva proprio da un mio allievo. Si chiama Michele e si trova qui in Kenya come responsabile del tour operator Bravo presso un altro resort di Watamu, il Seven Islands. Il villaggio ha una clientela giovane ed è ubicato in una tra le più suggestive location di questo tratto di costa: la spiaggia delle Isole dell’Amore. Michele mi propone di partecipare al briefing introduttivo che accoglie i suoi ospiti, presentare la mia scuola e proporre delle lezioni dimostrative. Così una mattina decido di andare.
In questo pezzo d’Africa regnano gli animali
Preparo l’attrezzatura, un’ala da 12 metri quadrati, trapezio, una tavola per le mie session in acqua e un kite trainer a due cavi con cui fare le lezioni. A presidiare la scuola lascio Tom, un ragazzo del posto che lavora con me come assistente, e m’incammino verso l’accesso principale del Garoda. Lungo il tragitto attraverso l’area “tecnica” del resort che comprende il retro delle cucine, lo spazio per lo smaltimento dei rifiuti, il deposito di gas metano e la lavanderia.
Proprio qui davanti vedo alcune guardie dell’hotel con la classica divisa kaki e il manganello. Sento vociare e scopro che una di loro ha appena catturato un piccolo cobra che costeggiava l’ombra del muro. Ora lo tiene appeso a un bastone per mostrarlo a tutti. Butto l’occhio anch’io: è nero e lucido. Non è il primo serpente che vedo nei paraggi, d’altronde siamo in Africa, a un passo dalla savana e la natura non è che si ferma di fronte a qualche turista con il cocktail in mano. Qualche metro dopo a sottolineare che qui ci sono più animali che cristiani sono le scimmie che se ne stanno sedute tra i rami degli alberi e quando passo saltano sul muro per avvicinarsi e vedere se ho qualcosa per loro. Mi scrutano con quei piccoli occhi lucidi, attentissimi, poi quando si rendono conto che non ho nulla si guardano tra loro, come a rincuorarsi, oppure fanno finta di osservare da un’altra parte con aria superiore.
Quando arrivo al cancello del Garoda, la guardia di turno mi sorride e mi viene incontro: “Good morning mr. David. Are you ok?”. È una donna che mi conosce bene perché spesso presta servizio in spiaggia. Chi esce dal resort per ragioni di sicurezza deve dire chi è, dove va e per che ora pensa di tornare. Se si è in macchina questa viene perquisita, portabagagli compreso. Per me akuna matata, cioè nessun problema, quindi esco dal cancello augurandole buona giornata.
Spostarsi a bordo dei Bajaji, il casco è un optional
Per raggiungere il Seven Islands che si trova a circa 6 chilometri a Nord di Watamu, devo prendere un mezzo. La scelta è tra il classico taxi, utile per le lunghe distanze, il tuk tuk, sorta di Ape Car che vibra tutto sulle strade sterrate come se fosse sempre sul punto di spaccarsi e il Bajaji. Quest’ultimo è una moto che prende il nome dall’azienda indiana che la produce, la BajajiAuto Ldt: qui in Kenya vendono un solo modello, il CT 100, per agevolare la manutenzione e il reperimento dei pezzi di ricambio. I Bajaji sono ovunque, guidati per lo più da ragazzi che lavorano per le agenzie di taxi. I più fortunati ne comprano uno usato per 600-800 euro e si mettono in proprio. Di fatto è il mezzo più economico e ci si viaggia in due, ma anche in tre, tutti rigorosamente senza casco. Dal Garoda ai villaggi di Watamu e Timboni la tariffa è di un euro a tratta. Chi vive qui come me di solito ha la sua rete di Bajaji fidati che puoi chiamare a tutte le ore. Io questa mattina opto per Kalimba, un tipo rasta che sulla moto ci vive h24 masticando rametti di Marunghi, una pianta stimolante locale.
Prima di avviarci gli dico di accostare un attimo al mercatino di fronte al Garoda. Devo regalare un pallone a Luky, un ragazzino di 10 anni figlio del titolare di un baracchino che vende frutta, farina e sigarette. Qualche giorno prima passeggiavo lì davanti e ho visto il suo gruppetto di amichetti che si rincorrevano tra gli alberi. Sono ragazzini che non hanno nulla e passano le giornate così, sotto al sole a giocare nella polvere e tra i rifiuti accatastati vicino le baracche. Ho organizzato al volo una gara di corsa e al vincitore, Luky appunto, ho promesso un pallone. Ne ho comprato uno rosso fuoco, di finta pelle cucita, per pochi euro. Quando glielo consegno, Luky sorride felice circondato dagli altri bambini e iniziano tutti a rincorrere la palla tirandogli calci a casaccio in mezzo ai campi.
Tra mercatini, villaggi e terreni in vendita
Kalimba riavvia la moto e si riparte. Qui in Kenya la guida è a sinistra, retaggio dell’antico dominio britannico. Le macchine però sono poche, qualche pick up da lavoro, le mastodontiche jeep dei safari a 8 posti e gli autobus che trasportano il personale dei resort. La gente comune va per lo più a piedi macinando chilometri tutto il giorno, alcuni hanno biciclette sgangherate su cui accatastano montagne di roba. Dalla strada principale si diramano dei sentieri di sabbia che portano ai villaggi delle tribù dei Ghiriama nell’entroterra o a qualche terreno di proprietari italiani, inglesi o tedeschi venuti a vivere in questa zona. Oggi con la crisi molti di loro vanno via e spesso si vedono cartelli con su scritto “in vendita”.
Alle entrate maestose dei resort, come il Medina, l’Hemingways, l’Ocean Sports, lungo la strada si alternano agglomerati di baracche che vendono cianfrusaglie, agenzie di safari o piccole rosticcerie dove si mangia carne di pollo cotta alla brace. Kalimba guida silenzioso avvolto nel suo piumino smanicato e scolorito attento a evitare i dossi rallenta-traffico e piccoli branchi di caprette che ogni tanto abbandonano l’ombra degli alberi e ci tagliano la strada all’improvviso. Il vento intanto in lontananza comincia a spazzare le fronde delle palme e s’insinua tra i rami disposti a raggiera dei baobab. Anche oggi sarà una bella giornata di kite.
Strade polverose, pizzerie turistiche e scuole di volontari
Superiamo lo svincolo per Timboni con il suo grande mercato all’aperto e raggiungiamo il villaggio di Watamu. Chiedo a Kalimba di fermarsi di fronte alla Equity Bank perché ho bisogno di prelevare al bancomat e lui ne approfitta per fare il pieno. In Kenya come moneta si usa lo scellino (kes) che secondo l’attuale tasso di cambio equivale a circa 90 centesimi di euro, in pratica però ovunque uno scellino equivale a un euro. Il costo della vita è piuttosto basso, ma in compenso se si va nelle strutture turistiche gestite da italiani, ristoranti, pizzerie, gelaterie, i prezzi sono molto simili alle nostre grandi città: una pizza 8 euro, una coppa di gelato 6 euro, e così via. I tassi d’interesse delle banche sui conti correnti sono piuttosto alti, alcuni arrivano anche all’11 per cento. Certi europei qui campano così: gruzzolo in banca e stanno al mare tutto il giorno.
Al Seven Islands mi aspettano, mi rimetto in sella con tutta l’attrezzatura e Kalimba accelera deciso. Un gruppo di bambini in uniforme, camicia e pantaloni corti, ci sfila accanto sorridendo: sono ragazzi delle scuole primarie che tornano a casa dopo le lezioni. Una di queste scuole la conosco bene: si chiama Happy House e la gestisce da 16 anni una signora inglese, Sue Hayward, con l’aiuto di alcuni volontari; accoglie soprattutto bambini orfani e disagiati, ma anche quelli inseriti nel processo di adozione da parte di famiglie europee.
Giovani Masai a guardia del resort
Arriviamo finalmente al resort, saluto Kalimba e il guardiano mi fa scortare fino alla reception da un Masai. È un ragazzo altissimo che indossa la tradizionale coperta rossa shuka incrociata sulle spalle e tenuta in vita da una cintura di cuoio; ha i lobi delle orecchie allungati e porta una quantità di collane di perle e bracciali in metallo; ai piedi ha dei sandali con la punta all’insù ottenuti da vecchi copertoni di automobile. “Non li cambio da 16 anni”, mi dice orgoglioso. I Masai qui vengono reclutati per sorvegliare la struttura e la spiaggia e impedire l’accesso agli estranei.
Michele mi accoglie sorridendo e offrendomi un succo d’ananas ghiacciato. Ci vuole sotto a questo sole equatoriale che martella, anche se siamo a febbraio. Gli ospiti sono già arrivati e li raduniamo per il breifing al bar di fronte la piscina: hanno la pelle ancora chiara, sono un po’ stanchi del lungo viaggio, ma eccitati dalla nuova esperienza. Gli racconto della scuola, delle lezioni, gli spiego le attrezzature e li invito a raggiungere la spiaggia per provare a pilotare il kite.
Sette isole nella laguna a forma di cuore
Superiamo un fitto giardino tropicale con palme e bouganville profumate e attraverso una scaletta in legno guadagniamo l’accesso in spiaggia: eccole finalmente le famose Isole dell’Amore. Il colpo d’occhio sulla grande baia è qualcosa che toglie il fiato. A quest’ora c’è la bassa marea che ci mostra, come uno scrigno aperto, un’enorme distesa di barriera corallina dai colori brillanti, verde smeraldo, turchese e blu intenso. Lingue di sabbia bianca si alternano a piccole piscine naturali di acqua placida, limpida e caldissima. Sullo sfondo, a una distanza di 500 metri dal bagnasciuga, ci sono sette isolotti di grandezza diversa che emergono dal mare come enormi funghi e formano una laguna riparata. Sono costoni di roccia ricoperti di rigogliosa vegetazione che si possono raggiungere a piedi approfittando dell’acqua bassa che rivela un’infinità di stelle marine, granchi, conchiglie e pesci tropicali. Vengono chiamate “Isole dell’Amore” proprio perché durante la bassa marea la laguna che circondano assume la forma di un cuore gigantesco. Lo scenario è di una bellezza assoluta, ricorda alcune spiagge della Thailandia o meglio ancora della Polinesia.
Lezioni di kite e surf sulle onde del reef
Preparo l’attrezzatura per le lezioni e gli ospiti del Seven Islands si alternano alla conduzione del trainer, un piccolo kite cassonato a due cavi. Il vento è fresco e l’aquilone è molto veloce e reattivo. L’emozione di giocare con l’ala è forte, è un po’ come tornare bambini e il tempo vola via tra spiegazioni, chiacchiere e risate sotto gli sguardi curiosi dei beach boys, ragazzi locali che vivono in spiaggia e cercano di sbarcare il lunario vendendo un po’ di tutto. Alcuni di loro mi chiedono di provare e li accontento immedesimandomi nella loro voglia di divertirsi senza pensare agli scellini.
Sta arrivando l’alta marea e decido di entrare in acqua per una session. Il vento tipico della stagione invernale è il monsone Kusi e anche in questa baia a Nord di Watamu entra da Nord-Nord Est, side on mure a dritta. Con le isole davanti sembra di surfare in un anfiteatro naturale dai colori meravigliosi. Appena superati gli isolotti il vento si distende e diventa più vigoroso. Mi diverto per un po’ con le onde che si formano sul reef poi rientro in laguna schivando i Dhow tradizionali in legno dei pescatori locali disposte al gavitello. Dall’acqua ammiro la linea di costa che dopo il Seven Islands sulla destra prosegue con la spiaggia del Temple Point e poi con quella del Sun Palm Beach Hotel e del Marijani, tutte strutture piuttosto chic, immerse nel verde e dall’atmosfera rilassata. Il tempo di qualche foto e torno a terra estasiato.
Un carpaccio di pesce nell’oasi magica del PapaRemo
Riprendo il trainer e tenendolo in volo faccio un giro tra lettini e ombrelloni a caccia di potenziali aspiranti kiter. Incontro Erika, una ragazza di Livorno, a cui chiedo di provare a pilotare l’ala. Mi risponde: “È inutile, tanto non so nuotare”. “Ah, proprio come i kenyani”, gli rispondo spiegandogli che qui la gente del posto ha paura dell’oceano e agli stessi bambini nessuno insegna a nuotare. Perfino i pescatori spesso a stento si tengono a galla. Mentre chiacchieriamo mi racconta che ha lasciato il suo lavoro di agente di commercio in Italia e dopo una vacanza ha deciso di trasferirsi da qualche mese qui a Watamu. Ora gestisce un lodge affittandolo ai turisti.
Decidiamo di mangiare qualcosa e andiamo al PapaRemo. Questo suggestivo beach bar affacciato sulle Isole dell’Amore è molto rinomato sia per la cornice da favola che per l’atmosfera fuori dal tempo che vi si respira. Anche la sua storia, così come il nome, sono piuttosto originali: “papà” Remo è un signore che arrivò in questo posto molti anni fa quando ancora era incontaminato e selvaggio e vi si accampò per oltre un mese con una tenda. S’innamorò a tal punto di questo tratto di costa africana che decise di trasferirsi qui e aprire il locale con la moglie e i due figli, Roberto e Laura, che ora portano avanti il suo sogno con la stessa passione.
Dopo avere gustato un carpaccio di pesce fresco e un’insalata di frutta tropicale sotto l’ombra delle palme mi congedo da Erika. È ora di rientrare al Garoda e sistemata l’attrezzatura vado a salutare Michele. Mentre chiamo Kalimba parte la segreteria con una musica africana di sottofondo e dò un’ultima occhiata a questa baia magica che ti riempie il cuore di bellezza e di pace. Caro Remo, come ti capisco…
David Ingiosi
Foto di proprietà di Liguria Nautica riproducibili previa citazione della fonte con link attivo
Argomenti: surf